parete di fuoco   di Dario Carlone
30 Dicembre 2011 Share

parete di fuoco di Dario Carlone

 

Ora che la nostra nazione sembra aver riconquistato una posizione di prestigio in mezzo agli altri Stati europei, pare che anche l’orizzonte “linguistico” abbia ritrovato la sua dimensione consueta, allontanandosi dal basso profilo che lo aveva caratterizzato negli ultimi tempi. In campo internazionale si fa sfoggio di espressioni e di vocaboli di quella lingua “comune” che è oggi l’inglese ed alla quale attingono, a volte con qualche fraintendimento, esponenti di primo piano  dell’intero mondo politico.

Non manca occasione per ascoltare il nostro attuale primo ministro usare, lui sì con competenza, espressioni anglofone quali spending review [pronuncia: spending riviù] per indicare il suo programma di controllo (e revisione) della spesa (pubblica), oppure, come avvenuto a conclusione di un incontro con un ministro statunitense, ripetere più volte il termine firewall [pronuncia: faiar-uol]. Quest’ultimo è un sostantivo composto tratto dal vocabolario dell’infor- matica, dove assume il significato di sistema di protezione di una o più reti da attacchi esterni: fire, traduce “fuoco”, e wall, “muro, parete”. Firewall suole indicare una barriera per difendersi dal fuoco, uno schermo reale, il parafiamma o il muro ignifugo.

La scelta del vocabolo operata dai responsabili dei governi nazionali si inserisce coerentemente nel programma di difesa del sistema economico: per risanare un’economia devastata da una (così ci fanno credere) pesante crisi è necessario mettere in atto un sicuro sistema di protezione, una barriera che impedisca al fuoco di propagarsi, di arrecare danni o distruggere in maniera irreparabile. Le discusse e discutibili risoluzioni prese, le manovre più o meno “eque” varate, sono esempi di come si stia cercando di erigere uno steccato, o meglio un muro, solido ed impenetrabile, contro il quale risulterebbe  vano qualsiasi attacco!

Quanto inquietante risuona però il vocabolo firewall! “Parete di fuoco” è l’idea che suggerisce l’accostamento delle due parti che compongono il sostantivo: il fuoco, elemento essenziale della realtà del mondo e delle persone, ma anche simbolo ambiguo di vitalità e distruzione. Col fuoco l’uomo delle ere primordiali ha conquistato autonomia, si è difeso e riscaldato, ha appreso l’arte di fabbricare utensili. Il mito di Prometeo narra che il fuoco ha rappresentato l’avvicinamento dell’umanità al mondo divino, ha fornito all’uomo la “pericolosa” dimensione della conoscenza.

Nel fuoco del firewall sembra invece leggersi l’aspirazione alla “sicurez- za”, obiettivo primario dei nostri giorni: schermo per proteggere l’economia, recinto in cui  racchiudere un sistema che si preoccupa poco delle persone; come afferma Umberto Galimberti il sistema si regge su “leggi che l’individuo può conoscere ed anche utilizzare, ma su cui non può influire mediante le proprie azioni… l’attività umana… diventa azione del sistema e quindi sottoposta ad una oggettività estranea all’uomo che la compie e che, compiendola, esprime se stesso come funzionario del sistema”.

L’aspetto rilevante che l’econo- mia ricopre all’interno della comunità sociale non va certamente sottovalutato, né “demonizzato”; sarebbe necessario però, senza limitarsi alla semplificazione che ci porterebbe a favoleggiare di un mondo senza ricevute e senza contratti, avviare una seria riflessione sul rapporto tra comunità umana e mercato. Il nostro tempo vede le merci e il denaro percorrere con molta libertà le vie del mondo, spesso più liberi dell’uomo: ormai viviamo, noi occidentali soprattutto, in una realtà in cui alla base c’è sempre il denaro e “là dove vige solo la legge del denaro, il territorio, che è poi il deposito di quegli usi, costumi e tradizioni che rendono fiduciario il rapporto tra gli uomini, rischia di sfaldarsi” (Galimberti). Da qui il terrore originato dalla crisi finanziaria; ad essa si cerca di reagire invocando sicurezza,  rinchiudendosi nel perimetro di protezione, erigendo la “barriera del fuoco” che, se per l’uomo delle caverne allontanava le belve, per noi oggi relega sullo sfondo i legami e le relazioni sociali oltre a tenere a distanza speculazioni e fallimenti.

 “Le mura dell’assedio intorno a noi e dentro di noi si fanno sempre più spesse – per dirla ancora con Galimberti – e non c’è via d’uscita, perché, piaccia o non piaccia, questo è il costo della nostra civiltà a cui nessuno è disposto a rinunciare”.☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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