
Posso battere Kennedy a golf
L’autorevolezza ed il garbo di Massimo De Luca hanno accompagnato le domeniche sportive di generazioni di radioascoltatori e telespettatori italiani, ma da alcuni anni De Luca ha deciso di dedicarsi anche al teatro: il suo spettacolo Posso battere Kennedy a golf, con il quale sta riscuotendo grande successo in tutto il paese è arrivato anche nella nostra regione, nel corso di una serata tenutasi al Teatro del Loto a Ferrazzano. Da solo sul palcoscenico, vestito da golfista degli anni ‘60 e con una sacca da golf d’epoca. Quattro storie “matrioska” con quattro tipi di microfoni a scandire il passaggio delle varie epoche. La grande Storia in cui affiorano i legami più o meno segreti avuti da capi di Stato, come appunto John Fitzgerald Kennedy e i vari dittatori, con l’universo olimpico.
Posso battere Kennedy a golf è un incrocio di quattro storie di sport e politica, ed è uno di questi intrecci che ha dato il titolo allo spettacolo. Una frase attribuita a Fidel Castro, pronunciata nel 1961, dopo il primo e unico giro di golf da lui mai giocato. Quel giorno, a L’Avana, il Lider Maximo, rientrando in clubhouse con Ernesto Che Guevara, disse di essere già pronto per sfidare l’allora emergente presidente americano. Oltre che di Kennedy, le storie raccontate hanno riguardato Hitler, Francisco Franco e Augusto Pinochet, fino alle Olimpiadi di Melbourne che seguirono di qualche tempo i fatti dell’Ungheria del 1956.
Primo episodio: la storica vittoria della Coppa Davis del tennis azzurro, nel 1976. E il primo “salto in altro”: il dittatore in campo, metaforicamente sulla terra rossa di Santiago del Cile, il generale Alfonso Pinochet. Questa storia comincia a Roma, prima della finale di Davis del dicembre ‘76, e la raccontano due spettatori, due tifosi sfegatati di Adriano, delusi dagli alti e i bassi del giovane gladiatore romano. Agli Internazionali del ’76 Panatta al primo turno annulla 11 matchpoint al modesto australiano Warwick, ma poi vince il torneo e fa il bis clamoroso a Parigi dove in finale supera il n.1 del mondo, Bjorn Borg, il quale al Roland Garros ha perso solo due volte nella sua breve e straordinaria carriera, e tutte e due le volte contro Adriano.
Secondo episodio: dal Cile, il golfista De Luca, un anno prima della finale di Santiago ci porta nella Spagna del dittatore Francisco Franco, e su un campo di pallone. Il precedente a quella sfida estremamente politica fu la partita di Coppa Uefa, del settembre ’75, tra la Lazio e il Barcellona di Cruijff . Quella gara si doveva disputare nei giorni in cui Franco morente (si sarebbe spento due mesi dopo) aveva condannato a morte cinque giovani dissidenti ai quali aveva concesso come pena capitale la fucilazione al posto della garrota. Papa Paolo VI all’Angelus aveva implorato di sospendere l’esecuzione, mentre la Federcalcio, minacciata dalla Cgil, che avrebbe indetto lo sciopero delle maestranze dell’Olimpico, ordinò l’annullamento di Lazio-Barcellona. E così fu, con la UEFA che decretò lo 0-3 a tavolino in favore dei blaugrana. Al ritorno la Lazio dovette presentarsi al Camp Nou per non incorrere in altre sanzioni.
Terzo episodio: si torna al titolo dello spettacolo, il quale prende spunto dalla fanfaronata di Fidel Castro che come tutti i cubani sapeva di baseball ma quasi niente di golf, che tuttavia aleggia, e viene raccontato, perfino sulla morte di Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre del 1963. John F. Kennedy amava il golf al punto da chiedere ai suoi collaboratori di girare un filmato in Super8 da inviare al grande campione Arnold Palmer per avere da lui dei consigli utili: voleva migliorare la sua tecnica che era già buona. Palmer, repubblicano e grande amico di Eisenhower, un maniaco di golf, è l’uomo che con le sue vittorie a ripetizione rivoluzionò il palinsesto della tv americana degli anni ’60, la quale cominciò a trasmettere le dirette dei tornei. Nell’agenda presidenziale, l’incontro alla Casa Bianca con Palmer per discutere di quel filmino era fissato per il giorno dopo il rientro dal viaggio di Kennedy a Dallas, ma quello fu un viaggio senza ritorno e un appuntamento mancato con il suo unico vero idolo sportivo.
Ultimo episodio: il nobile tennista barone Von Cramm, a sua volta orgoglio della Germania hitleriana, almeno fino a quando Von Cramm rifiutò di iscriversi al partito nazista. Poi, dopo una strana telefonata del Führer, nel 1937 perse la finale di Wimbledon contro Donald Budge e lì cominciò il suo declino politico che coincise con quello sportivo: venne imprigionato con l’accusa di omosessualità. Von Cramm è uno dei grandi campioni eliminati dal nazismo come il suo connazionale, il pugile sinti Trollman, la piuma del ghetto di Roma, Lelletto Efrati e il Mozart del calcio, Cartavelina Sindelar, il bomber della nazionale austriaca che si rifiutò di fare il saluto nazista e nella sua casa viennese venne trovato morto con la fidanzata, l’ebrea milanese Camilla Castagnoli.
Prima del finale, una storia olimpica: i Giochi di Melbourne 1956, l’anno della rivoluzione ungherese: la mitica sfida di pallanuoto tra l’Ungheria e gli “invasori” dell’URSS. Una battaglia, con la piscina di Melbourne che sul 4-0 per l’Ungheria si colorò di rosso: il sangue di Zador colpito all’occhio da un pugno sferrato dal sovietico Prokopov. L’ungherese Zador dopo le Olimpiadi non sarebbe più rientrato in patria, finì esule negli Stati Uniti, dove trovò lavoro come istruttore di nuoto alla piscina di Sacramento. E lì un giorno un papà si presentò da Zador e gli disse: “Vorrei che allenasse mio figlio”. Era il padre di Mark Spitz, la futura leggenda del nuoto americano, 7 ori alle Olimpiadi di Monaco ’72. Sulle lacrime, condivise da tutto il mondo, del celebre giornalista della CBS, Walter Cronkite, il golfista-narratore De Luca esce di scena, sempre più convinto che è bello parlare di sport, parlando d’altro. La signorilità di De Luca meriterebbe una trattazione a parte. Il sottinteso, in questo caso, ne è la migliore descrizione.☺