potere mendace  di Silvio Malic
4 Luglio 2013 Share

potere mendace di Silvio Malic

 

La linea di scontro tra verità e potere, nel mondo globalizzato, si attua perché il potere non può dire la verità sul mondo ma soprattutto su stesso; per poterlo conservare ed esercitare il potere deve necessariamente mentire.

             La guerra, dal 1945, non può più essere fondata sul diritto, perché è stata messa fuori legge; non può più essere fondata sulla ragione perché, papa Giovanni ha proclamato che ormai è “fuori dalla ragione”. La guerra, oggi, può essere fondata solo sulla menzogna. In particolare tutte le guerre combattute dopo il 1989, fine della guerra fredda, sono state fondate sulla menzogna: le due guerre del Golfo contro l’Iraq, come la intramontabile guerra dell’Afganistan, sono state fondate sulla menzogna. In questo scenario l’incompatibilità del potere con la verità toglie il velo a tutto il grande capitolo dell’informazione schiacciata sul potere e della manipolazione del consenso.

Le conseguenze che si delineano vanno molto al di là di quello che immediatamente è dato di percepire. A causa di questa scissione tra la verità e l’esercizio del potere si mette in pericolo la democrazia anche nei paesi di antica tradizione democratica. Perché la democrazia è fondata sul consenso, ma se venisse fuori la verità degli intrecci di interessi nelle guerre combattute, il consenso non lo si potrebbe ottenere e d’altra parte neppure il potere può efficacemente occultare la verità. Allora l’inevitabile tendenza a ridurre sempre più la possibilità di scelta da parte del popolo.

Mentre la FAO, l’ONU e le sue diverse agenzie ci informano delle crescenti povertà e ingiustizie, della forbice che separa i ricchi sempre più concentrati e le masse di povertà in costante aumento, si “costringe” l’elettore, quando va alle urne – come ad es. in Italia – ad un voto bloccato in cui si vota per un intero pacchetto di offerte comprendente il candidato del collegio, la lista la coalizione di governo e il primo ministro. La democrazia è sempre più incompatibile con un sistema che produce e perpetua l’iniquità. Per continuare a mantenere l’attuale rapporto tra ricchezza e povertà, tra fame e sazietà, tra dominatori e dominati e per occultare questa verità il potere non può far altro che riprodurre invariabilmente se stesso e sostenere che le scelte scellerate e ingiuste che compie sono “inevitabili”. La democrazia non deve più consentire alternative reali anche nei paesi fortunati, come il nostro, dove ne restano ancora le forme. La democrazia deve essere affievolita, come aveva suggerito la Commissione Trilaterale tra Stati Uniti, Europa e Giappone già alcuni decenni fa. La ricetta era: raffreddare la democrazia, e, soprattutto, che la democrazia cessi di essere rappresentativa, di rappresentare e mediare gli interessi di tutta la popolazione per assumere solo quelli dei ceti privilegiati che hanno interesse a mantenere la situazione com’é.

Ci si potrebbe chiedere allora: “Che senso ha il sistema maggioritario invocato perché garantisse efficienza e governabilità?”. Significa appunto che conta solo la maggioranza, cioè, una parte sola di cui si riesce a fabbricare il consenso. Gli altri o perché sconfitti o perché tenuti fuori dal sistema, come con successo si riesce a fare in America ma sempre più anche in Europa, non contano, sono irrilevanti finanche rispetto al rito di designazione del potere. Che deve fare la minoranza in parlamento? Parli! Non ha il potere di influire sulle decisioni e di concorrere alla formazione delle leggi, approvate sempre più per voto di fiducia blindato: è il cosiddetto diritto di tribuna. Ma se il parlamento da luogo di incontro per le decisioni si trasforma in tribuna per mostrare le opinioni, la democrazia diventa quella dell’Hyde Park: il potere decide nel palazzo, poi c’è una panchina nel parco in cui ognuno può dire quello che vuole alle quattro persone che lo stanno ad ascoltare; neanche la stampa c’è ad ascoltarlo, perché quella va alla conferenza stampa a Palazzo, dove succedono le sole cose che contano.

La democrazia si potrebbe definirla la democrazia del settimo giorno. Per sei giorni c’è un Dio che fa quello che vuole, compresa la guerra e al settimo giorno il popolo va al tempio a riempire le urne per il rito di investitura. In tal modo l’oggetto della politica è il potere che diventa il vero e solo trofeo della politica. Il fine della politica non è più il bene comune o l’interesse generale ma la riproduzione dell’ordine esistente. L’iniquità dei rapporti sociali sempre più ingiusti non è il male da rimuovere ma il prezzo da pagare al sistema. Le statistiche sulla fame, la povertà, la disoccupazione sono l’annotazione marginale annuale delle vittime offerte in sacrificio. In occasione dell’inizio della guerra in Afganistan un fondo del Corriere della Sera sentenziava “silete sociologi”, tacete sociologi, taccia la cultura, taccia la verità, dobbiamo vincere.

La democrazia invece va difesa e promossa verso forme sempre maggiori di partecipazione perché possa essere contrastato e rovesciato il potere della menzogna e possano instaurarsi poteri che concordino con la verità e la giustizia. E da questa simbiosi seguirà la pace. ☺

 

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