Nel modello ecologico precedente la modernità, ogni rapporto, fondandosi sull’essere ben più che sull’avere (sullo status più che sul contratto), vedeva prevalere una dimensione qualitativa rispetto a quella quantitativa. Ogni rapporto tra individui sfugge alla pura logica quantitativa ed è diverso, ieri come oggi, da ogni altro, in quanto caratterizzato da elementi relazionali unici, quali l’amore, l’odio, l’amicizia, il rispetto, la deferenza, l’ammirazione, il disprezzo, ecc., tutti elementi chiave nel determinare il funzionamento di una relazione. Soltanto la relazione astratta del rapporto di dominio tra l’individuo e la cosa, fra un soggetto e un oggetto inanimato del mondo esterno, può ridursi ad un rapporto quantitativo, misurabile attraverso un valore venale del bene. Finanche il rapporto di scambio contrattuale, sulla piazza del mercato medioevale o pre-moderno, si comprende meglio in chiave qualitativa che quantitativa: il contadino, al mercato, vende una pecora per ricavarne il denaro col quale acquistare un aratro. In tale scambio, pur quantitativo di oggetti, è il valore d’uso a presentarsi come elemento prevalente: quella pecora per quell’aratro. Il denaro costituisce un elemento di mediazione in uno scambio qualitativo, del tutto diverso, dalla quantificazione seriale di scambio denaro-merce-denaro con cui il capitalista acquista merci di qualunque tipo per rivenderle lucrando sulla differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita.
Naturalmente – la lunga storia delle privatizzazioni ne è testimone – gli aspetti qualitativi dell’esistere in una società fondata sullo status possono trasformarsi in elementi quantitativi proprio attraverso la recinzione dei beni comuni. L’intelligenza generale, che presiede agli aspetti ecologici della produzione, è la prima vittima di questi processi: la privatizzazione trasforma una comunità fondata sull’essere insieme nell’interesse di tutti, in un mercato fondato sull’individuo che ha e accumula per l’interesse proprio. La trasformazione dell’essere di tanti nell’avere di pochi è un processo assai antico di trasformazione del qualitativo nel quantitativo (ossia dall’ecologico all’economico). L’accumulazione originaria inaugura la modernità, uscendo dal Medioevo, attraverso due passaggi di importanza epocale. La modernità nasce con la distruzione del comune (common) e la sostituzione universale del paradigma dell’essere con quello dell’avere; insieme muore anche l’intelletto generale, quello che presiede ad una organizzazione ecologica e sostenibile delle società. La logica dell’avere, infatti, punta all’accumulo privato indipendentemente dai costi sociali che esso comporta, e che vengono scaricati sugli altri; una strategia produttrice di effetti esterni; ma sono sempre altre persone o comunità o territori queste “esternalità”. Due episodi chiave, tra i tanti, di questo passaggio – per richiamare esempi definiti e riconoscibili oltre le posizioni personali – sono rappresentati dalla recinzione dei beni comuni e dalla conquista del nuovo Mondo.
La Magna Charta del 1215, ritenuta la prima carta costituzionale dell’Occidente, riflette questa tensione. Tutti sanno che essa garantì rappresentanza politica alla nobiltà inglese (tra cui il clero) e alla proprietà privata (nel Parlamento) ma nessuno oggi ricorda che fu accompagnata da un documento Charter of the forest, che garantiva i beni comuni a quella parte di sudditi (la stragrande maggioranza) che non godeva di ricchezza e di proprietà; garantiva, infatti, l’accesso libero alle foreste e all’uso dei beni comuni in esse contenuti (legname, frutta, selvaggina, acqua, ecc.) contro la pretesa di chiunque, sovrano incluso, di riservarle a se stesso per cacciagione e svago. Questa precoce testimonianza dei beni comuni rispetto alla proprietà esclusiva (privata), collocati entrambi, sullo stesso piano costituzionale, non solo oggi è dimenticata e combattuta, ma la garanzia costituzionale dei common è stata, probabilmente, la più disattesa della storia. Si era partiti con tre soggetti, il sovrano, i signori e i common, per via sono rimasti due: lo Stato che rappresenta il pubblico e la proprietà, paradigma del privato, che rappresenta il “mercato”. Queste due nozioni dominanti, esaurendo rispettivamente l’ambito del pubblico e del privato, giocano uno scontro a somma zero. Appaiono contrapposte, ma nella comune logica assolutista e riduzionista sono figlie di una logica economica che, emarginando il comune, cancella la logica ecologica e umilia l’intelligenza generale, producendo pensiero unico: la logica implacabile dell’accumulo
La conquista del nuovo mondo fu, nella realtà, una violenta e indebita appropriazione privatistica da parte di piccole porzioni di mondo (stati) a danno di altri mondi (popoli, terre, animali, piante e prodotti del sottosuolo) ben più vasti e più numerosi per l’accumulo a favore delle prime tramite la spoliazione dei secondi. L’aggettivo privata con cui si definisce la proprietà (il proprio avverso al comune) significa anche tolta, sottratta, non più disponibile per chi un tempo ne poteva godere. La logica occidentale, oggi ancora pre-dominante, ci ha condotti al culmine drammatico che coinvolge l’esistenza stessa del pianeta e dell’intera famiglia umana: ogni riferimento ai valori qualitativi relazionali, o a quelli quantitativi merceologici del primo capitalismo, è scomparso lasciando spazio al recente liberal-capitalismo finanziario, dove lo scambio é solo denaro-denaro (mezzo e merce).
Non sono cambiate o passate di mano solo le proprietà, ma è cambiato interiormente l’uomo stesso. Allora bisogna mettere, con urgenza un punto e a capo per un mondo “inedito fattibile” come affermava P. Freire e creativa-mente (con mente creativa).
A livello personale: l’importante non è quello che accumuli; quello che ti edifica come persona non è quello che tu trattieni ma, paradossalmente, quello che tu dai. Tu sei quello che dai, e quello che dai veramente non lo perdi mai. Mentre tutto quello che trattieni, qui il Vangelo non risparmia l’ironia, lo perdi: per via dei ladri, del tempo, della crisi economica, del fallimento della tua banca. Quello che dai non lo perdi più, costruisce la consistenza della tua personalità.
A livello comunitario: quali i primi passi? “Rifiuteremo di prendere quello che non tutti possono avere” diceva Gandhi o come suggeriva Capitini con una “libera aggiunta”. Purché si parta, tutti, con passo deciso e creativa-mente, come nel piccolo indicano i “movimenti” presenti nel mondo, bollati per “antipolitica” mentre delineano la vera politica in sintonia con l’attesa dei popoli, seppure in modo informale e non strutturato.
Sarà la storia possibile generata a dare struttura all’attesa già chiara. ☺
“Non dovremmo più preoccuparci
di ottenere quello che possiamo,
ma rifiuteremo di prendere
quello che non tutti possono avere”
(Gandhi)
Nel modello ecologico precedente la modernità, ogni rapporto, fondandosi sull’essere ben più che sull’avere (sullo status più che sul contratto), vedeva prevalere una dimensione qualitativa rispetto a quella quantitativa. Ogni rapporto tra individui sfugge alla pura logica quantitativa ed è diverso, ieri come oggi, da ogni altro, in quanto caratterizzato da elementi relazionali unici, quali l’amore, l’odio, l’amicizia, il rispetto, la deferenza, l’ammirazione, il disprezzo, ecc., tutti elementi chiave nel determinare il funzionamento di una relazione. Soltanto la relazione astratta del rapporto di dominio tra l’individuo e la cosa, fra un soggetto e un oggetto inanimato del mondo esterno, può ridursi ad un rapporto quantitativo, misurabile attraverso un valore venale del bene. Finanche il rapporto di scambio contrattuale, sulla piazza del mercato medioevale o pre-moderno, si comprende meglio in chiave qualitativa che quantitativa: il contadino, al mercato, vende una pecora per ricavarne il denaro col quale acquistare un aratro. In tale scambio, pur quantitativo di oggetti, è il valore d’uso a presentarsi come elemento prevalente: quella pecora per quell’aratro. Il denaro costituisce un elemento di mediazione in uno scambio qualitativo, del tutto diverso, dalla quantificazione seriale di scambio denaro-merce-denaro con cui il capitalista acquista merci di qualunque tipo per rivenderle lucrando sulla differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita.
Naturalmente – la lunga storia delle privatizzazioni ne è testimone – gli aspetti qualitativi dell’esistere in una società fondata sullo status possono trasformarsi in elementi quantitativi proprio attraverso la recinzione dei beni comuni. L’intelligenza generale, che presiede agli aspetti ecologici della produzione, è la prima vittima di questi processi: la privatizzazione trasforma una comunità fondata sull’essere insieme nell’interesse di tutti, in un mercato fondato sull’individuo che ha e accumula per l’interesse proprio. La trasformazione dell’essere di tanti nell’avere di pochi è un processo assai antico di trasformazione del qualitativo nel quantitativo (ossia dall’ecologico all’economico). L’accumulazione originaria inaugura la modernità, uscendo dal Medioevo, attraverso due passaggi di importanza epocale. La modernità nasce con la distruzione del comune (common) e la sostituzione universale del paradigma dell’essere con quello dell’avere; insieme muore anche l’intelletto generale, quello che presiede ad una organizzazione ecologica e sostenibile delle società. La logica dell’avere, infatti, punta all’accumulo privato indipendentemente dai costi sociali che esso comporta, e che vengono scaricati sugli altri; una strategia produttrice di effetti esterni; ma sono sempre altre persone o comunità o territori queste “esternalità”. Due episodi chiave, tra i tanti, di questo passaggio – per richiamare esempi definiti e riconoscibili oltre le posizioni personali – sono rappresentati dalla recinzione dei beni comuni e dalla conquista del nuovo Mondo.
La Magna Charta del 1215, ritenuta la prima carta costituzionale dell’Occidente, riflette questa tensione. Tutti sanno che essa garantì rappresentanza politica alla nobiltà inglese (tra cui il clero) e alla proprietà privata (nel Parlamento) ma nessuno oggi ricorda che fu accompagnata da un documento Charter of the forest, che garantiva i beni comuni a quella parte di sudditi (la stragrande maggioranza) che non godeva di ricchezza e di proprietà; garantiva, infatti, l’accesso libero alle foreste e all’uso dei beni comuni in esse contenuti (legname, frutta, selvaggina, acqua, ecc.) contro la pretesa di chiunque, sovrano incluso, di riservarle a se stesso per cacciagione e svago. Questa precoce testimonianza dei beni comuni rispetto alla proprietà esclusiva (privata), collocati entrambi, sullo stesso piano costituzionale, non solo oggi è dimenticata e combattuta, ma la garanzia costituzionale dei common è stata, probabilmente, la più disattesa della storia. Si era partiti con tre soggetti, il sovrano, i signori e i common, per via sono rimasti due: lo Stato che rappresenta il pubblico e la proprietà, paradigma del privato, che rappresenta il “mercato”. Queste due nozioni dominanti, esaurendo rispettivamente l’ambito del pubblico e del privato, giocano uno scontro a somma zero. Appaiono contrapposte, ma nella comune logica assolutista e riduzionista sono figlie di una logica economica che, emarginando il comune, cancella la logica ecologica e umilia l’intelligenza generale, producendo pensiero unico: la logica implacabile dell’accumulo
La conquista del nuovo mondo fu, nella realtà, una violenta e indebita appropriazione privatistica da parte di piccole porzioni di mondo (stati) a danno di altri mondi (popoli, terre, animali, piante e prodotti del sottosuolo) ben più vasti e più numerosi per l’accumulo a favore delle prime tramite la spoliazione dei secondi. L’aggettivo privata con cui si definisce la proprietà (il proprio avverso al comune) significa anche tolta, sottratta, non più disponibile per chi un tempo ne poteva godere. La logica occidentale, oggi ancora pre-dominante, ci ha condotti al culmine drammatico che coinvolge l’esistenza stessa del pianeta e dell’intera famiglia umana: ogni riferimento ai valori qualitativi relazionali, o a quelli quantitativi merceologici del primo capitalismo, è scomparso lasciando spazio al recente liberal-capitalismo finanziario, dove lo scambio é solo denaro-denaro (mezzo e merce).
Non sono cambiate o passate di mano solo le proprietà, ma è cambiato interiormente l’uomo stesso. Allora bisogna mettere, con urgenza un punto e a capo per un mondo “inedito fattibile” come affermava P. Freire e creativa-mente (con mente creativa).
A livello personale: l’importante non è quello che accumuli; quello che ti edifica come persona non è quello che tu trattieni ma, paradossalmente, quello che tu dai. Tu sei quello che dai, e quello che dai veramente non lo perdi mai. Mentre tutto quello che trattieni, qui il Vangelo non risparmia l’ironia, lo perdi: per via dei ladri, del tempo, della crisi economica, del fallimento della tua banca. Quello che dai non lo perdi più, costruisce la consistenza della tua personalità.
A livello comunitario: quali i primi passi? “Rifiuteremo di prendere quello che non tutti possono avere” diceva Gandhi o come suggeriva Capitini con una “libera aggiunta”. Purché si parta, tutti, con passo deciso e creativa-mente, come nel piccolo indicano i “movimenti” presenti nel mondo, bollati per “antipolitica” mentre delineano la vera politica in sintonia con l’attesa dei popoli, seppure in modo informale e non strutturato.
Sarà la storia possibile generata a dare struttura all’attesa già chiara. ☺
Nel modello ecologico precedente la modernità, ogni rapporto, fondandosi sull’essere ben più che sull’avere (sullo status più che sul contratto), vedeva prevalere una dimensione qualitativa rispetto a quella quantitativa. Ogni rapporto tra individui sfugge alla pura logica quantitativa ed è diverso, ieri come oggi, da ogni altro, in quanto caratterizzato da elementi relazionali unici, quali l’amore, l’odio, l’amicizia, il rispetto, la deferenza, l’ammirazione, il disprezzo, ecc., tutti elementi chiave nel determinare il funzionamento di una relazione. Soltanto la relazione astratta del rapporto di dominio tra l’individuo e la cosa, fra un soggetto e un oggetto inanimato del mondo esterno, può ridursi ad un rapporto quantitativo, misurabile attraverso un valore venale del bene. Finanche il rapporto di scambio contrattuale, sulla piazza del mercato medioevale o pre-moderno, si comprende meglio in chiave qualitativa che quantitativa: il contadino, al mercato, vende una pecora per ricavarne il denaro col quale acquistare un aratro. In tale scambio, pur quantitativo di oggetti, è il valore d’uso a presentarsi come elemento prevalente: quella pecora per quell’aratro. Il denaro costituisce un elemento di mediazione in uno scambio qualitativo, del tutto diverso, dalla quantificazione seriale di scambio denaro-merce-denaro con cui il capitalista acquista merci di qualunque tipo per rivenderle lucrando sulla differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita.
Naturalmente – la lunga storia delle privatizzazioni ne è testimone – gli aspetti qualitativi dell’esistere in una società fondata sullo status possono trasformarsi in elementi quantitativi proprio attraverso la recinzione dei beni comuni. L’intelligenza generale, che presiede agli aspetti ecologici della produzione, è la prima vittima di questi processi: la privatizzazione trasforma una comunità fondata sull’essere insieme nell’interesse di tutti, in un mercato fondato sull’individuo che ha e accumula per l’interesse proprio. La trasformazione dell’essere di tanti nell’avere di pochi è un processo assai antico di trasformazione del qualitativo nel quantitativo (ossia dall’ecologico all’economico). L’accumulazione originaria inaugura la modernità, uscendo dal Medioevo, attraverso due passaggi di importanza epocale. La modernità nasce con la distruzione del comune (common) e la sostituzione universale del paradigma dell’essere con quello dell’avere; insieme muore anche l’intelletto generale, quello che presiede ad una organizzazione ecologica e sostenibile delle società. La logica dell’avere, infatti, punta all’accumulo privato indipendentemente dai costi sociali che esso comporta, e che vengono scaricati sugli altri; una strategia produttrice di effetti esterni; ma sono sempre altre persone o comunità o territori queste “esternalità”. Due episodi chiave, tra i tanti, di questo passaggio – per richiamare esempi definiti e riconoscibili oltre le posizioni personali – sono rappresentati dalla recinzione dei beni comuni e dalla conquista del nuovo Mondo.
La Magna Charta del 1215, ritenuta la prima carta costituzionale dell’Occidente, riflette questa tensione. Tutti sanno che essa garantì rappresentanza politica alla nobiltà inglese (tra cui il clero) e alla proprietà privata (nel Parlamento) ma nessuno oggi ricorda che fu accompagnata da un documento Charter of the forest, che garantiva i beni comuni a quella parte di sudditi (la stragrande maggioranza) che non godeva di ricchezza e di proprietà; garantiva, infatti, l’accesso libero alle foreste e all’uso dei beni comuni in esse contenuti (legname, frutta, selvaggina, acqua, ecc.) contro la pretesa di chiunque, sovrano incluso, di riservarle a se stesso per cacciagione e svago. Questa precoce testimonianza dei beni comuni rispetto alla proprietà esclusiva (privata), collocati entrambi, sullo stesso piano costituzionale, non solo oggi è dimenticata e combattuta, ma la garanzia costituzionale dei common è stata, probabilmente, la più disattesa della storia. Si era partiti con tre soggetti, il sovrano, i signori e i common, per via sono rimasti due: lo Stato che rappresenta il pubblico e la proprietà, paradigma del privato, che rappresenta il “mercato”. Queste due nozioni dominanti, esaurendo rispettivamente l’ambito del pubblico e del privato, giocano uno scontro a somma zero. Appaiono contrapposte, ma nella comune logica assolutista e riduzionista sono figlie di una logica economica che, emarginando il comune, cancella la logica ecologica e umilia l’intelligenza generale, producendo pensiero unico: la logica implacabile dell’accumulo
La conquista del nuovo mondo fu, nella realtà, una violenta e indebita appropriazione privatistica da parte di piccole porzioni di mondo (stati) a danno di altri mondi (popoli, terre, animali, piante e prodotti del sottosuolo) ben più vasti e più numerosi per l’accumulo a favore delle prime tramite la spoliazione dei secondi. L’aggettivo privata con cui si definisce la proprietà (il proprio avverso al comune) significa anche tolta, sottratta, non più disponibile per chi un tempo ne poteva godere. La logica occidentale, oggi ancora pre-dominante, ci ha condotti al culmine drammatico che coinvolge l’esistenza stessa del pianeta e dell’intera famiglia umana: ogni riferimento ai valori qualitativi relazionali, o a quelli quantitativi merceologici del primo capitalismo, è scomparso lasciando spazio al recente liberal-capitalismo finanziario, dove lo scambio é solo denaro-denaro (mezzo e merce).
Non sono cambiate o passate di mano solo le proprietà, ma è cambiato interiormente l’uomo stesso. Allora bisogna mettere, con urgenza un punto e a capo per un mondo “inedito fattibile” come affermava P. Freire e creativa-mente (con mente creativa).
A livello personale: l’importante non è quello che accumuli; quello che ti edifica come persona non è quello che tu trattieni ma, paradossalmente, quello che tu dai. Tu sei quello che dai, e quello che dai veramente non lo perdi mai. Mentre tutto quello che trattieni, qui il Vangelo non risparmia l’ironia, lo perdi: per via dei ladri, del tempo, della crisi economica, del fallimento della tua banca. Quello che dai non lo perdi più, costruisce la consistenza della tua personalità.
A livello comunitario: quali i primi passi? “Rifiuteremo di prendere quello che non tutti possono avere” diceva Gandhi o come suggeriva Capitini con una “libera aggiunta”. Purché si parta, tutti, con passo deciso e creativa-mente, come nel piccolo indicano i “movimenti” presenti nel mondo, bollati per “antipolitica” mentre delineano la vera politica in sintonia con l’attesa dei popoli, seppure in modo informale e non strutturato.
Sarà la storia possibile generata a dare struttura all’attesa già chiara. ☺
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