
Umani e non più umani
contro i Rom e l’assedio delle donne alla parrocchia romana della Magliana, di cui ieri si leggeva su Repubblica? L’odio che li ha generati, ovviamente; ma non solo. In tutti e due i casi esso si è concentrato su un tratto basilare del nostro essere umani: il cibo.
A Torre Maura si è consumato l’oltraggio del pane: quelle michette frantumate dagli scherani di Casa Pound delineano un’ immagine che ferisce al cuore, sono un colpo di maglio sotto il quale si sbriciolano duemila anni di civiltà. E negli occhi delle donne che ieri hanno creato una barriera umana per impedire che i pacchi viveri della parrocchia fossero distribuiti anche ai Rom doveva esserci solo un vuoto grande.
Distruggendo il cibo e negando che lo si possa condividere si alza ancora una volta l’asticella dell’infamia che riteniamo accettabile: quelle persone invasate da un odio cieco e incapaci di vederlo (“Non siamo razziste”, dichiaravano ieri le donne della Magliana) si autoassolvevano da qualunque giudizio morale, rivendicando la piena legittimità dell’esclusione di chi non sia italiano dal diritto alla sopravvivenza. Perché distruggere o rifiutare il cibo significa rifiutare ad un altro essere umano il diritto alla vita. O meglio, negare che l’altro sia un essere umano.
Soprattutto si resta col gelo nel cuore davanti al pane calpestato di Torre Maura; e ancora una volta il significato delle parole ci aiuta a capire perché. Pane, dalla radice sanscrita pa-, vuol dire nutrire; dalla stessa radice viene la parola padre, colui che nutre. E da lì attraverso i latini ci è arrivata una delle parole più belle della nostra lingua, compagno: quello con cui dividiamo il pane e quindi la vita. Il pane che insieme al sale si offriva allo xenos, lo straniero, per dargli rifugio e accoglienza, quando non eravamo ancora xenofobi; il pane che ancora fino a non molti anni fa nelle nostre civiltà contadine si lasciava sul tavolo, con un po’ di olio, per il viandante che capitasse alla porta, quando le porte (e i cuori, e i porti) si lasciavano aperti per accogliere.
Il pane era sacro, e sprecarlo o disprezzarlo gesto da barbari; prima ancora del Cristianesimo, il pane costituiva il simbolo della vita, ed era il dono della dea madre, Demetra, Cerere. Marino Niola ci ha anche ricordato che nei tempi antichi a chi commetteva delitti efferati veniva vietato il consumo del pane, e non di altri cibi: un modo efficace di affermare l’esclusione dall’umanità. Deve essere per questo che quei panini calpestati fanno così male; e fanno paura. E per questo chi li ha calpestati si è messo fuori dall’umanità, ma con quel gesto ha distrutto anche la nostra.
Il muro umano (femminile!) che ha escluso gli odiati “zingari” dall’accesso ad un po’ di cibo impaurisce ugualmente; e lo fa soprattutto perché eretto davanti ad una chiesa. Davanti al luogo, cioè, che per eccellenza dovrebbe essere quello delle braccia e dei cuori aperti; e quel parroco che ha legittimato quel muro, dicendo che tanto i rom sono “più roba della Caritas”, dovrebbe essere ridotto allo stato laicale. Perché davvero non è adatto ad essere sacerdote, se non ha capito, e non ha saputo difendere, gli ultimi; che è poi, in ultima analisi, tutto ciò che Gesù è disceso sulla terra a fare. E anche questo riempie di sgomento; certo, non si pretende che tutti siano pronti al martirio. E come diceva Don Abbondio, “Il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Ma ci sono tempi, e momenti, nei quali ci si trova a dover stabilire un confine tra umanità, appunto, e non umanità. Ieri alla Magliana quel confine è stato superato, come a Torre Maura; e chi ha lasciato che lo si superasse è un uomo di Dio. E non sai se infuriarti o piangere, credente o ateo che tu sia.
In tutti e due questi orrendi episodi, poi, l’odio si è concentrato contro gli “zingari”, o Rom; anche qui le parole ci aiutano a dare senso alle cose. Li chiamiamo con tanti nomi: sinti, rom, gitani, zingari; etimologie diverse, ma tutti popoli che storicamente hanno scelto una vita nomade. E già questo interroga e inquieta la nostra confortevole stanzialità.
Rom vuol dire “Essere umano” in lingua romanì. Una tragica ironia, considerato che proprio il loro essere umani viene negato con la negazione del cibo. E che non fossero uomini, ma ripugnante sottorazza lo aveva già decretato Hitler. Ma non è forse quello che si è ripetuto a voce alta, senza alcuna vergogna, a Torre Maura e alla Magliana? Non significa forse la stessa cosa riempirsi la bocca di infamie come “Prima gli italiani”?
C’è stata però una risposta a questa non umanità; e l’ha data, bella e coraggiosa, nel codice più diretto, quello dialettale, il ragazzino che ha affrontato senza paura un fascista grande il doppio di lui: Nun me sta bene che no. E a nessuno, ma proprio a nessuno deve stare bene che non ci si salvi insieme. Altrimenti siamo tutti perduti. E come Don Tonino Bello, vi lascio con l’augurio di una Pasqua e di una vita scomode. Perché possa sempre turbarci l’ingiustizia verso gli ultimi.☺