Università a confronto
3 Giugno 2015 Share

Università a confronto

Un televisore all’entrata che fornisce le generali informazioni riguardo alla lezione che si sta tenendo, un’aula magna da poco progettata, con pareti ricoperte da travi in legno disposte a scala e ondeggianti, avvolgenti l’intera aula stessa. Non ci sono angoli, le sedie sono disposte in circolo e rivolte verso il centro della sala dove cammina il giovane professore che, sorridente e partecipativo risponde ai nostri interventi.

“Toc toc toc”. “Co- sa sta succedendo?” chiedo alla mia compagna mentre una massa di studenti folli continua a battere le nocche sul banco. “È il nostro modo di mostrare quanto ci sia piaciuta la lezione. È feedback.”, risponde Giò.

Era la mia prima lezione nell’università di Lipsia e mi sentivo piuttosto soddisfatta dell’ambiente che mi circondava, il tutto mi sembrava così surreale: un consistente numero di ragazzi interessati che, ponendo attivamente domande al professore, apprendevano quotidianamente nozioni utili al superamento del corso.

Quello che per gli studenti tedeschi era la normalità non lo è stato per me. Mi sono sentita coccolata ed equamente gratificata: se hai una domanda oppure una problematica da presentare, i professori trovano sempre del tempo per te fissando un colloquio, o semplicemente rispondendo tempestivamente alle email. Si viene valutati in quanto persona, non in quanto numero. L’esame, infatti, si riduce ad un informale colloquio privato con il professore e non è consentito rifiutare il voto ricevuto. Certo se dovesse avvenire un’ingiustizia non ci sarebbe nessuno a poterlo testimoniare, ma d’altra parte ho notato che non si dà la stessa importanza che in Italia alle valutazioni formali. Non sono quelle che descrivono esaustivamente la persona che si è. Infatti se non si passa un esame, il prof. può fissare un colloquio per valutare personalmente la situazione dello studente.

Inevitabile comparare le due diverse realtà: mi trovavo in una nazione dove la cultura è alla portata di tutti, il suo valore è tangibile: mi è sembrato di entrare un mondo meritocratico dopo anni di ricerche e la frase di Erasmo da Rotterdam stava finalmente prendendo forma, “Il reciproco amore fra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza”.

È un’università in evoluzione, frequentata da migliaia di studenti provenienti da tutta la Germania, dove la tassa annuale è pari a 200 euro (fissa per tutti, indipendentemente dal reddito perché finanziato principalmente dallo Stato), e dove si possono incontrare diverse realtà pacificamente coesistenti sotto la stessa struttura: non è raro incontrare tra gli studenti ragazze madri, alle quali non viene negata la possibilità di vivere dignitosamente da studentesse universitarie. Possono, infatti, lasciare i bambini a giocare nel kindergarden (asilo nido) appositamente gestito dall’università.

Nella mia facoltà in Italia, all’ università La Sapienza, vige ancora tra alcuni professori l’idea che studiare e lavorare siano due attività che non possono esaustivamente coesistere, l’idea che se non si conosce con esattezza l’intero programma di esame, non c’è possibilità di passarlo, (anche se comunque verrebbe dimenticato nel giro di pochi mesi); l’idea che internet non è un portale informativo essenziale, dato che nessuno si degna di rispondere alle mail o di aggiornare tempestivamente gli studenti e quindi se sei studente pendolare rimane un tuo problema.

Questo antico autoritarismo gerarchico deve finire, ci soffoca e rischia di frenare la passione. Nessuno dovrebbe ancora trovarsi a vivere certe situazioni benché succedano ancora in poche facoltà italiane. Ognuno ha il diritto di essere spronato positivamente alla cultura. Avverto la sensazione che ci sia ancora una sorta di sadismo velato in ciò: che i professori pensino che la cultura la si debba guadagnare con le unghie e con i denti. Ma perché!? Perché renderla un sacrificio? Perché fondare un sistema universitario sulla sola modalità teorica di insegnamento?! Perché non evolversi a nuovi metodi? Perché non interessarsi al feedback studentesco? Trovo che questa sia una visione passiva dell’insegnamento e ciò non aiuta a renderci persone migliori e mantenere alto il grado culturale che ci ha sempre permesso di distinguerci.

Mi sembra ormai ovvia la concreta differenza di metodo tra i due sistemi, ma il mio scopo in questa sede, oltre che a fornirne una breve panoramica di ciò, non si esaurisce nell’adulare pedissequamente le università tedesche; il mio scopo in questa sede è di ispirare ad una riflessione: il mettersi in gioco entro un diverso sistema permette di conoscersi meglio. Si percepisce qual è il grado di elasticità mentale che ci caratterizza, entro cui riusciamo a mantenere salda e coerente la nostra persona dopo un costante processo autocritico di comparazione con differenti realtà in coesione. Ci permette di conoscere tutte le varianti a disposizione e decidere qual è quella che più si addice a noi.

Ciò che ho capito studiando all’ estero, e ciò che quindi consiglio, è di elevare i parametri di giudizio ad un grado comparativo più competitivo, entro una scelta mondiale, non solo nazionale, per concedere a se stessi una moltitudine di possibilità. Prendiamo ciò che c’è di buono dal processo di globalizzazione perché ciò possa renderci persone migliori, le persone che vogliamo diventare, slegandoci dagli stereotipi precostituiti dai sistemi. Pensiamo in grande per concederci una più ampia libertà d’arbitrio. ☺

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