Accoglienza straordinaria: i rifugiati di Termoli

“Dio si trova nei profughi che tutti vogliono cacciare”

Con queste parole papa Francesco ha ribadito con forza la vicinanza della Chiesa a quanti soffrono e si vedono costretti, con grande sofferenza, a lasciare la propria terra. Anche la diocesi di Termoli – Larino si è spesa tanto, nell’anno santo della misericordia, per dare un contributo significativo nella direzione indicata dal pontefice, siglando un accordo con la prefettura di Campobasso. Sono dieci i titolari di protezione internazionale affidati alle cure della Caritas diocesana a partire dal mese di marzo. Ad oggi sono 8 quelli che risiedono a Termoli. Otto ragazzi dalle facce pulite, otto giovani dal vissuto drammatico ma che, a sentirli parlare, non sono affatto diversi nei sogni, nei sentimenti e nei modi Dai nostri vicini di casa.

Parliamo di Yousif, 29 anni, pakistano. Non molto loquace, ma con una risata contagiosa, nel suo Paese faceva l’infermiere e, una volta superato il gap linguistico e i problemi burocratici, vorrebbe riprendere il suo lavoro al servizio degli ammalati

Sherif, 26 anni. Indossa sempre gli occhiali da sole per mascherare una forte timidezza. Ospite nel vecchio centro di accoglienza termolese, insieme ad altri amici ganesi aveva utilizzato il pocket money per comprare scopa e paletta e faceva il giro della città alla ricerca di aree sporche da ripulire. Era il suo, il loro modo di dirci grazie. Studiava ingegneria prima di lasciare la sua famiglia ed ora è ripartito da zero in Italia, superando brillantemente l’esame di terza media in italiano.

Moshin di anni ne ha 25, viene dal Panjab, dove era all’ultimo anno della facoltà di economia. Vuole studiare l’italiano e cercare di conseguire l’agognato titolo di studio, ma è pronto a rimboccarsi le maniche e lavorare come lavapiatti nei ristoranti delle nostre città.

La storia di Tyan è tra le più complesse. Ha 38 anni e una dozzina di figli che sono fuggiti dal Mali ed hanno trovato rifugio in Senegal. Lui si sente già italiano, adora i nostri costumi, la nostra lingua e non se la sente di parlare del passato, già proiettato com’è al futuro. Ci tiene però a ringraziare tutti e a ricordarci di quanto sia prezioso ciò che noi diamo per scontato: la pace. Inutile dirlo, il suo sogno è ricongiungersi ai suoi cari e portarli in Italia.

Negli occhi di Waheed si legge l’orgoglio del kashmir, storicamente conteso tra India e Pakistan, ma che rivendica l’indipendenza. Anche lui è di poche parole, ma ci tiene a mostrarci le foto di famiglia. Sogna di raggiungere un gruppo di amici a Milano, per lavorare in un ristorante.

Infine c’è Yousuf, un pakistano poliglotta che in virtù di una passione per le lingue e la psicologia ha da poco iniziato a collaborare con la Caritas come mediatore culturale. Ed è già prodigo di consigli per rompere il muro della diffidenza, tanto da un lato che dall’altro.