Libri: “Il sogno rapito” di Edith Bruck
“La mia realtà somiglia a un brutto sogno che avverto come una violenza per un bene superiore al mio”: chi parla è Sara, la protagonista del romanzo Il sogno rapito di Edith Bruck, ripubblicato a dieci anni dalla prima edizione del 2014, per La nave di Teseo.
La vicenda del romanzo ha luogo in un tempo preciso, quello della liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero per cinque anni nelle mani di Hamas, “in cambio di 1.027 reclusi palestinesi” [evento del 18 ottobre 2011, ndr]. L’io narrante, Sara, è una donna ebrea che ha sposato un medico italiano, Matteo, ma che vive su di sé il peso di una rete familiare complessa e multiculturale.
La madre di Sara è reduce dal campo di concentramento di Auschwitz, esperienza che ha segnato profondamente la sua esistenza, non superata neanche dal matrimonio con un gioviale italiano, cattolico, che presto la lascia vedova. L’affetto filiale della protagonista nei confronti della madre risente delle crisi che l’ex deportata sperimenta continuamente, oppressa dai ricordi e dalla depressione: “Ti conosco, sei figlia mia, del mio vissuto che t’ho trasmesso più con il sangue che con le parole. Che colpa ne ho io? Non puoi rimproverarmi di averti raccontato troppo del peso invisibile che porto dentro”.
Ma il dolore più grande Sara lo sperimenterà alla notizia del tradimento del marito: mentre l’uomo, con freddezza, le rivela di aspettare un figlio da un’altra donna, lei – ormai non più madre – vuole conoscere la ‘rivale’ e vorrebbe essere presente nella vita della nuova creatura che verrà al mondo, una bimba che sarà chiamata Aurora.
Lo sgomento iniziale che s’impossessa di Sara, di fronte al frantumarsi del suo matrimonio, non è nulla a fronte della scoperta incredibile che Layla, la nuova compagna del marito, è una donna palestinese: “Per Layla sono un invasore, non si sente una donna che ha sedotto il marito di un’altra, ma una palestinese contro un’ebrea, e la bambina, più che la sua bellezza e giovinezza, è il suo trionfo, la sua guerra vinta”.
La vicenda, che avrà un epilogo sorprendente – rispetto alle premesse – produrrà nell’animo della protagonista sofferenza e preoccupazione sia sul piano familiare che sul piano sociale e culturale. “È proprio la pace che cerco. Nelle guerre, anche quelle private, non ci sono vincitori e vinti, solo vittime e perdenti. Gli oppressori di oggi possono essere oppressi domani, il mondo è una barbarie globale, ragioni e torti abbondano e hanno radici molto profonde”.
E, rivolgendosi alla rivale in amore, afferma: “Io sono comunque con i più deboli e lo siamo ambedue, dalle due debolezze possiamo fare una forza e riunite dobbiamo crescere la piccola al riparo da ogni odio, solo questo deve essere il nostro scopo comune”. (D.C.)
