Abbiamo i governi  che ci meritiamo?
4 Febbraio 2025
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Abbiamo i governi che ci meritiamo?

Nel numero di novembre Antonio Di Lalla ci rende partecipi di un suo assillo: “scegliamo puntualmente le persone peggiori per governare oppure abbiamo i governi che ci meritiamo?”
Per rispondere a questa domanda va chiarito se viviamo in un regime democratico oppure no. È evidente che in un regime democratico, se i governanti sono scelti da una maggioranza di elettori, sono anche quelli che ci meritiamo; allo stesso tempo se sono i peggiori vuole dire che scegliamo puntualmente le persone peggiori. La domanda posta da Antonio Di Lalla sembra avere già in sé una risposta. Perché invece, a mio parere, ha senso porsi una simile questione? La nostra non solo non è una piena democrazia ma non le somiglia neanche lontanamente.
Quando, decenni fa, nelle sedi dei partiti, si discuteva e si cercava di indirizzare la linea del proprio partito, era attiva la partecipazione del singolo cittadino alla vita politica del Paese: ognuno esprimeva le sue idee, i suoi desideri, la sua concezione della società. Le sezioni, le case del popolo, le sedi ARCI, le scuole di partito che formavano i futuri quadri e istruivano i militanti più meritevoli, erano le sedi dove era viva e pulsava la passione politica e tutta la società era pervasa da essa. I futuri politici, venuti fuori da queste esperienze, si erano costruiti una solida formazione, il più ignorante aveva letto cento libri; oggi, al contrario, gran parte dei politici si possono definire quasi analfabeti, ascoltando come si esprimono. È soltanto nostalgia del passato? Non lo so.
I partiti sono diventati organizzazioni di persone per accaparrarsi le leve del potere, forse sarebbe meglio dire accolite di servi al servizio del potere reale – che risiede in altri luoghi: essi cioè sfruttano un minimo consenso elettorale da parte di una minoranza di cittadini rispetto al numero degli aventi diritto al voto. A voler essere generosi, già solo per questo motivo la nostra è al massimo una oligarchia, non certo una democrazia come si ostinano a definirla o come vogliono che la concepiamo, poiché come risulta evidente è il potere di una minoranza sulla maggioranza dei cittadini e non viceversa.
Io sono convinto che fra le cose che determinano i mutamenti profondi nelle società le innovazioni tecnologiche sono quelle più incisive. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un esplodere di mezzi di comunicazione prima inesistenti che si possono individuare nell’uso ormai diffuso di televisione, internet, telefonini e computer. Questi potentissimi mezzi di comunicazione hanno isolato le persone e nello stesso tempo hanno permesso a chi aspira al potere di entrare nella intimità di tutti e imporre le proprie scelte. Chi non ha una forte formazione culturale per opporsi a questa intrusione viene pilotato con facilità verso scelte che interessano a chi aspira a gestire il potere politico. Questi mezzi darebbero la possibilità a tutti di accedere, come mai prima d’ora, alla conoscenza nel senso più esteso del termine. Possiamo scrivere una mail ad un professore di storia moderna di Cambridge e con ogni probabilità riceveremo una risposta. Possiamo accedere ad ogni tipo di conoscenza scientifica o filosofica se solo lo volessimo.
Se le cose stanno così perché il singolo cittadino non si informa adeguatamente, non si costruisce una coscienza politica che gli permetta di partecipare alla vita del Paese e scegliere con discernimento le persone che devono rappresentarlo? E perché si rifiuta perfino di partecipare al voto quando richiesto? Perché la maggioranza delle persone ha bisogno di un leader, di qualcuno che si prenda le responsabilità, dimostri di essere all’altezza delle situazioni: se sbaglia, sbaglia lui e noi non abbiamo colpa degli errori che commette, e nello stesso tempo ci fa sentire partecipi delle scelte vincenti che fa. Il motivo principale di questa deriva sociale forse risiede nella mancanza di leader, di persone di alta levatura culturale, riconosciuta e stimata onestà intellettuale e affermata capacità politica che sappiano indicare la strada da seguire, un cammino plausibile di speranza per chi ha bisogno di speranza ma non ha e non sa dove cercarla.
Possiamo tentare una risposta al quesito che assilla Antonio e non può essere che questa: questo popolo, purtroppo, ha il governo che si merita, ha anche la democrazia zoppa che si merita, perché non partecipa, non sceglie perché gli altri scelgono al posto suo, non vuole prendersi responsabilità; e perché in questo momento storico non trova un faro verso cui indirizzare il proprio cammino.

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