Domenico corvi
Domenico Corvi (Viterbo, 1721 – Roma, 1803) si trasferisce a Roma alla fine degli anni Trenta del XVIII secolo per formarsi nella bottega del pittore Francesco Mancini (1679-1758). La sua produzione giovanile avviene sotto il pontificato di Benedetto XIV Lambertini (1740-1758).
Cresciuto nella cultura tardobarocca e rococò, del pittore Corrado Giaquinto (1703-1765), che termina poco dopo la salita al soglio pontificio di Benedetto, Corvi vive a pieno il passaggio al classicismo incoraggiato dal papa e dal suo braccio destro, Silvio Valenti Gonzaga.
La Roma di Benedetto XIV
Tutta la primissima produzione del pittore, tra Roma e Viterbo, si può ricondurre all’eredità lasciata da Carlo Maratta (1625-1713). Questo vale in particolare per le opere esposte ai concorsi dell’Accademia di San Luca, che più volte gli fanno ottenere il primo premio, e per alcune pale d’altare destinate a chiese romane, eseguite nel corso degli anni Cinquanta. Ma la vera svolta stilistica di Domenico Corvi comincia a prendere forma nel decennio successivo, quando Roma può considerarsi tra i primi centri propulsori di quel Neoclassicismo equilibrato, soprattutto per quanto riguarda il genere celebrativo, storico e sacro.
All’inizio del pontificato Lambertini, era indiscusso il ruolo centralissimo di pittori come Pierre Subleyras (1699-1749), con la sua solenne perfezione formale; in seguito, sotto il papato di Clemente XIV, sarà fondamentale l’operato di Pompeo Batoni (1708-1787) e di Anton Raphael Mengs (1728-1779), che ha saputo lanciare la pittura romana verso il Neoclassicismo.
Al servizio di importanti famiglie
Impossibile, quindi, non ravvisare in Domenico Corvi una piena adesione a queste nuove tendenze, alimentate dalla riscoperta dell’antico, con la presenza a Roma di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), bibliotecario del cardinale Albani.
Il superamento dell’estetica tardobarocca, nel pittore, si registra soprattutto nelle sue tele storiche e sacre eseguite, dalla metà degli anni Sessanta, per i Barberini, i Doria e i Borghese. Questi ultimi lo coinvolgono in diverse imprese, compreso il restauro degli affreschi di Giovanni Lanfranco (1582-1647) nella villa Borghese, dove Corvi decora anche la Sala dell’Aurora, negli anni Ottanta.
Nel decennio seguente, è impegnato soprattutto nell’esecuzione di tele sacre che gli vengono commissionate da diverse località del centro Italia. Lavora anche nel Palazzo Comunale della sua città natale, Viterbo, raggiungendo, in alcuni soggetti mitologici ed antichi, le vette di un formalismo severo e raffinato, con picchi di solennità ottenuti grazie all’uso di tinte sobrie, che spesso vengono intervallate da composizioni notturne con forti contrasti cromatici e suggestive soluzioni preromantiche.
Dal tardobarocco al Neoclassicismo
Tra le prime opere romane conosciute di Domenico Corvi vi è il disegno con Giuseppe che si rivela ai fratelli, con cui ottiene il primo premio al concorso dell’Accademia di San Luca del 1750. Ma agli anni Quaranta, momento in cui il pittore è legato alla Compagnia di Sant’Orsola di Viterbo, risalgono alcune incisioni per l’antiporta dell’Uffizio della Settimana Santa. In esse già si notano alcuni punti di forza della sua poetica: il movimento spesso contrapposto delle figure piene e volumetriche e la prospettiva rigorosa, con visioni di scorci spesso arditi e il modello costante di Raffaello.
Nel 1756 Corvi esegue la Morte di Sant’Andrea Avellino per il Duomo di Senigallia. Nello stesso periodo, insieme al pittore viterbese Vincenzo Strigelli (1713-1769), si occupa degli affreschi della Chiesa del Gonfalone a Viterbo. Rimangono oggi visibili la lunetta sopra l’organo, affrescata con la Decollazione del Battista, e i due medaglioni a pendant con i profeti Abdia e Isaia, in cui la teatralità dei gesti e la maniera pittorica leggera ed ariosa si possono ricondurre al pittoricismo di Giaquinto.
Tra equilibri e notturni
I dipinti storici risalgono agli anni Sessanta: Un prodigio di Vittorio Amedeo I di Savoia e le scene bibliche, come David e Abigail. L’affresco, eseguito per Palazzo Doria Pamphilj, presenta già quei tratti di pathos contenuto tipici della pittura neoclassica.
La monumentalità solenne delle figure e il perfetto equilibrio compositivo di matrice classica vengono raggiunti da Domenico Corvi nel Sacrificio di Ifigenia per Palazzo Borghese. Un suggestivo notturno in cui si svela la maestria del pittore nelle modulazioni della luce e nella costruzione in scorcio della scena, in cui panneggi, pose e architetture antiche si uniscono in quello che è considerato il maggior capolavoro del pittore viterbese.
Più leggiadre risultano le figure del soffitto della Sala dell’Aurora di Villa Borghese. L’Aurora dell’ovale centrale è una fanciulla alata con una fiaccola in mano che sparge fiori, attorniata da putti. Nei riquadri laterali, vi sono le personificazioni maschili dell’Alba e del Vespro, che mettono in mostra la sensibilità di Corvi per i crepuscoli e per i notturni.
Nel Sacrificio di Polissena per il Palazzo Comunale di Viterbo, eseguito verso la fine degli anni Ottanta, si legge molto probabilmente un pendant del Compianto sul corpo di Ettore del Museo di Monserrat, in Catalogna.
Uno splendido Ecce homo di Domenico Corvi è entrato a far parte del patrimonio culturale di Viterbo. Il dipinto su tela – circa quaranta centimetri per cinquanta – rappresenta il volto di Cristo flagellato e coronato di spine; è custodito in una meravigliosa cornice dorata e intagliata che fa coppia in bellezza con il dipinto.☺