
Gabriele Smargiassi
Gabriele Smargiassi, abruzzese (Vasto, 1798 – Napoli, 1882), nel 1817 si trasferisce a Napoli. Qui si iscrive al Real Istituto di Belle Arti dove diviene allievo di Giuseppe Cammarano (1766-1850). Può essere considerato tra gli “anziani della Scuola di Posillipo”, poiché frequenta lo studio di Antoon Sminck Van Pitloo (1790-1837) dal 1820. Grazie all’aiuto di mecenati, come la duchessa di Saint Leu, ottiene il pensionato artistico a Roma, dove si stabilisce tra il 1824 e il 1828. Sempre grazie alla duchessa riesce ad entrare alla corte di Luigi Filippo. Si trasferisce a Parigi per un periodo, partecipando ai Salon dal 1828 al 1837.
La cattedra di paesaggio
Nel 1837, morto il suo maestro Pitloo che lascia vacante la cattedra della Scuola di Paesaggio all’Istituto di Belle Arti di Napoli, Smargiassi partecipa al concorso per l’assegnazione della cattedra e lo vince a pari merito con Salvatore Fergola (1799-1874). Il posto gli viene assegnato per la maggiore quantità di titoli presentati. Da questo momento in poi Smargiassi rimane a Napoli fino alla morte. L’attività di insegnante lo assorbe completamente, ma in qualche caso si allontana da Napoli per dedicarsi ai suoi studi en plein air. Per questo motivo nomina come suo assistente Antonio Cammarano, pittore attivo a Napoli tra il 1810 e il 1854.
Smargiassi è un insegnante che si discosta in parte dalle innovazioni di Pitloo. Come pittore di paesaggio risulta più tradizionale e propone ai suoi allievi i modelli classici delle vedute di autori come Philipp Hackert (1737-1807). Sicuramente mette al primo posto la pratica di uscire dall’Accademia e dipingere il motivo dal vero. Questo non tanto per restituire l’impressione immediata della veduta, quanto per studiare da vicino i particolari naturalistici da rifinire e modificare necessariamente in studio.
Nonostante questa visione tradizionale della pittura e dell’insegnamento, Gabriele Smargiassi rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i pittori della generazione successiva. Domenico Morelli (1826-1901) all’inizio degli anni Sessanta, dopo l’Unità, lo chiamerà a firmare lo statuto della Società Promotrice di Belle Arti.
L’attività di studioso
Nel generale clima antiaccademico che nasce tra gli anni Sessanta e Settanta, Gabriele Smargiassi si dedica completamente allo studio di Nicolas Poussin. Si concentra inoltre su approfondite ricerche sulla storia della pittura di paesaggio napoletana. Queste riflessioni confluiscono nel testo Rendiconti e Atti della Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti che dimostrano la sua grande attività di studioso. Da questi scritti emerge anche la sua difesa dei metodi accademici, tanto discussi in quegli anni.
Dopo la formazione presso Pitloo, Gabriele Smargiassi si reca prima a Roma per il pensionato artistico, poi a Parigi. A questo periodo appartengono una serie di vedute di impronta classica come Veduta Ponte Milvio o Veduta di Vasto. Tempio di Venere a baia si discosta un po’ dalle altre opere perché ricorda il modo di dipingere di Pitloo, soprattutto cromaticamente.
Nel 1837, vince il concorso per la cattedra di Paesaggio gareggiando con Raito, Vietri e il Golfo di Salerno dal capo d’Orso. Si tratta tra l’altro del primo dipinto che ottiene un grande successo di critica. Due anni dopo, alla Biennale borbonica del 1839, presenta Il paesaggio di Sorrento con pastori ed armenti che gli fa ottenere ulteriori lodi.
Paesaggio classico
L’impianto compositivo paesaggistico rappresenta l’unione di diversi elementi: le quinte arboree e l’atmosfera pervasa da una cristallina luce gialla provengono dal paesaggio classico di Lorrain e Poussin che ha potuto visionare a Roma.
I pastori e gli animali che animano la scena campestre sembrano richiamare i dipinti di genere in costume della tradizione settecentesca napoletana. Il tempo sembra essersi fermato e ciò che emerge di più non è tanto la ricerca naturalistica, ma l’atmosfera idilliaca e romantica che penetra il dipinto.
Sono gli anni questi in cui si può annoverare tra i rappresentanti della Scuola di Posillipo. Però Gabriele Smargiassi, rispetto ad altri autori come lo stesso Pitloo o Giacinto Gigante (1806-1876), non è completamente indirizzato al motivo dal vero.
Il paesaggio romantico
Negli anni Quaranta Gabriele Smargiassi realizza una serie di tele che uniscono lo studio dal vero della natura a scene di matrice romantica da ricondurre ad episodi letterari o biblici. Sono esempi di questa produzione Angelica e Sacripante, presentato alla mostra borbonica del 1845 e La morte di Abele del 1848. Dello stesso filone fa parte il ciclo eseguito per l’appartamento storico del Palazzo Reale di Napoli.
Innovativi sono i vari paesaggi, quello con San Sebastiano e le pie donne e quello con San Francesco in preghiera. Quest’ultima composizione trova un pendant in San Francesco che scaccia il demonio. Sono proprio queste tele che dimostrano quanto Gabriele Smargiassi si discosti dagli altri rappresentanti della Scuola di Posillipo.
Sono state realizzate dopo l’ esecuzione di una serie di bozzetti, oggi conservati presso collezioni private, che si incentrano soprattutto sull’elaborazione naturalistica delle scene. Smargiassi realizza il San Girolamo che appare a tre guerrieri del Medio Evo: ancora una volta un santo si ritrova immerso in un paesaggio naturalistico, frutto delle escursioni dell’artista nel paesaggio attorno Napoli. A queste tele di carattere religioso si accompagnano altre opere in cui all’interno di vedute realiste vengono raccontate scene tratte dalla letteratura.
Si tratta dell’adesione alla più stretta tradizione romantica del paesaggio istoriato. Un esempio il Buonconte da Montefeltro tratto dal V canto del Purgatorio di Dante, acquistato negli anni Sessanta dal re d’Italia. Pinabello e Bradamante, episodio tratto dall’Orlando furioso di Ariosto, fanno parte della stessa produzione di carattere letterario.
Muore nel 1882, a 84 anni, a Napoli.☺