
Giustizia e pace si baceranno
Note e parole; testimonianze, domande e risposte, per un “concerto” di pace che nel catino dell’Arena di Verona diventa spettacolo di fratellanza e amore. Come quella dei due imprenditori, uno israeliano, l’altro palestinese, entrambi colpiti negli affetti familiari dalla guerra in corso, che sul palco si abbracciano e abbracciano il Papa, riscuotendo un lunghissimo, commosso applauso. E tutto diventa ‘no’ alla guerra e ‘sì’ alla comunità: ‘no’ alla dittatura, allo sfruttamento dei deboli, alla cultura dell’indifferenza; ‘sì’ alla democrazia, alla partecipazione, a mettersi al fianco dei più deboli, dei poveri e dei senza potere.
“Arena di pace – Giustizia e pace si baceranno” è il secondo momento con Francesco che torna a chiedere pace. “Sono sempre più convinto che il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli. Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti”. La pace, insiste il Pontefice, “non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri”, quindi “non seminiamo morte, distruzione, paura. Seminiamo speranza!”.
Francesco punta il dito contro le storture contemporanee: “Oggi il premio Nobel che potrebbero dare a molti è il premio Nobel del Ponzio Pilato, perché siamo maestri nel lavarci le mani”. La cultura fortemente marcata dall’individualismo rischia sempre “di far sparire la dimensione della comunità, dei legami vitali che ci sostengono e ci fanno avanzare. E questa in termini politici è la radice delle dittature”.
La pace va organizzata
Inevitabilmente si producono conseguenze anche sul modo in cui si intende l’autorità. “Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe. Questo avvelena l’autorità”. Questa la risposta all’afghana Mahbouba Seraj, venuta da Kabul, a Giulia Venia del gruppo di lavoro sulla democrazia.
“Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e rendere sterile l’insieme della comunità e della società; nessuno esiste senza gli altri, nessuno può fare tutto da solo”.
“L’autorità di cui abbiamo bisogno è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri punti di forza e i propri limiti, di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione. L’autorità è sostanzialmente collaborativa. Per costruire processi solidi di pace l’autorità sa infatti valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi, e così permette alle persone di sentirsi a loro volta capaci di dare un contributo significativo … una grande sfida oggi è risvegliare nei giovani la passione per la partecipazione. La forza dell’insieme. La strada per il futuro non può passare solo attraverso l’impegno di un singolo ma passa attraverso l’azione di un popolo protagonista, in cui ognuno fa la propria parte, ciascuno in base ai propri compiti e secondo le proprie capacità”.
La pace va promossa
“Per porre fine ad ogni forma di guerra e di violenza bisogna stare al fianco dei piccoli, rispettare la loro dignità, ascoltarli e fare in modo che la loro voce possa farsi sentire senza essere filtrata. Incontrare i piccoli e condividere il loro dolore. E prendere posizione al loro fianco contro le violenze di cui sono vittime, uscendo dalla cultura dell’indifferenza e dalle sue giustificazioni”. È la risposta ai rappresentanti del Tavolo Migrazioni – Elda Baggio di “Medici senza frontiere” e il brasiliano João Pedro Stédile del ‘Movimento dei senza terra’.
“È il Vangelo che ci dice di metterci dalla parte dei piccoli, dei deboli, dei dimenticati – ha ricordato il Pontefice -. È Gesù con il gesto della lavanda dei piedi che sovverte le gerarchie convenzionali. È sempre Lui che chiama i piccoli e gli esclusi e li pone al centro, li invita a stare in mezzo agli altri, li presenta a tutti come testimoni di un cambiamento necessario e possibile. Con le sue azioni Gesù rompe convenzioni e pregiudizi, rende visibili le persone che la società del suo tempo nascondeva o disprezzava, e lo fa senza volersi sostituire a loro, senza strumentalizzarle, senza privarle della loro voce, della loro storia, dei loro vissuti. Il primo passo è riconoscere che non siamo noi al centro, né le nostre idee e visioni. E poi accettare che il nostro stile di vita inevitabilmente ne sarà toccato e modificato”.
La pace va curata
Con alcune aggiunte a braccio, Francesco è tornato a denunciare la società che nasconde i vecchi ed il commercio delle armi che produce guadagni e fomenta le guerre. Rispondendo ad Annamaria Panarotto delle ‘mamme No-Pfas’ di Vicenza, un gruppo di genitori che si batte contro l’inquinamento dell’acqua che fa ammalare i loro figli, e Vanessa Nakate, giovane custode della casa comune venuta dall’Uganda, ha messo in guardia dalla società della fretta. “Dovremmo avere più tempo a disposizione e invece ci accorgiamo che siamo sempre in affanno, rincorrendo l’urgenza dell’ultimo minuto. Dall’altro lato, sentiamo che tutto questo non è naturale, è bellicoso, questo è guerra! Nella nostra società si respira un’aria stanca, tanti non trovano ragioni per portare avanti le loro attività quotidiane, appesantiti dalla sensazione di essere sempre fuori tempo. La pace richiede tempo, va curata, e se non si cura la pace c’è la guerra”. ‘Rallentare’ è l’invito a ricalibrare le attese e le azioni, adottando un orizzonte più profondo e più ampio: bisogna cercare la pace.
La pace va sperimentata
E come si fa? “Col dialogo”, ha indicato il Pontefice, in risposta ai rappresentanti del Tavolo Disarmo, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio e Sergio Paronetto di Pax Christi. “L’assenza di conflittualità, infatti, non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede. Nella nostra vita, nelle nostre realtà, nei nostri territori saremo sempre chiamati a fare i conti con le tensioni e i conflitti e spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione: li ignoro, li nascondo, li marginalizzo”.
Secondo il Papa, “un’altra risposta dal fiato corto è quella di cercare di risolvere le tensioni facendo prevalere uno dei poli in gioco, e questo è un suicidio, perché si riduce la pluralità di posizioni a un’unica prospettiva. Ancora una volta si tratta di un vicolo cieco: si cerca l’uniformità invece che l’unità, si ha paura immotivata nei confronti della pluralità, e psicologicamente quella società si suicida”. Per Francesco, invece, “il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura”.
La conclusione giunge con le parole di don Tonino Bello: “Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”. In piedi costruttori di pace!. E l’Arena in effetti si alza con i suoi 12.500 fedeli per raccogliere l’invito del Papa.☺