
Il centenario
di Andrea Barsotti
Siamo nell’anno 2150 ed appena sveglio sento un avviso in neurotrasmissione di un evento da ascoltare; sono ancora assonnato e metto in pausa. Entro nella zona giorno del mio loft e l’assistente virtuale mi propone, con dispositivi olografici, la cerimonia della commemorazione: 100 anni fa all’ultima fermata, dopo anni di calamità naturali e di guerre economiche, l’umanità è riuscita ad invertire la rotta e raggiungere emissioni zero di CO₂. Apro e chiudo più volte le palpebre.
La speranza di oggi per il futuro di domani è quella, ma oggi dobbiamo constatare che le governance del mondo sembra non sappiano dialogare in modo diverso dal mostrare i propri muscoli. Ci sono guerre distruttive in ogni continente e, come se ciò non bastasse, gli Stati Uniti hanno scatenato una pericolosa guerra economica. È indubbio che siamo di fronte a dispute che vanno oltre la competizione politica e che mirano a formare nuovi equilibri. Improvvisamente si vogliono mettere in dubbio i princìpi che ci hanno condotto fuori da due guerre mondiali, che ci hanno portato verso il benessere e spinto alla collaborazione tra popoli verso un’era di pace.
A malincuore dobbiamo prendere atto che quell’epoca è finita. All’origine di tutto questo c’è l’ambizione di costruire un sistema di governance che contrasti il liberismo democratico così come lo conosciamo, che vada oltre la globalizzazione e la cooperazione tra le nazioni, che favorisca la contrapposizione dei numerosi blocchi geopolitici.
La battaglia che le destre del mondo stanno conducendo è contro un sistema che, con la sua rete di controlli incrociati, con il suo insieme di regole a garanzia delle disuguaglianze,ha posto vincoli da rispettare, obblighi da adempiere, restrizioni a cui sottostare: tutti limiti ingiusti, dicono loro, nei confronti della persona voluta e votata dal popolo.
Secondo la visione sovranista populista, la persona eletta, giovandosi della preferenza espressa dai votanti, riceve un’investitura che va oltre la rappresentanza; gli conferisce l’autorità che lo pone al di sopra di tutto e di tutti e che in nome del bene della collettività, lo autorizza a demonizzare i nemici e a demolire gli ostacoli che gli si oppongono. Si scredita così un sistema democratico che ci ha guidato in pace per 80 anni e che ha fatto del suo sistema di separazione e bilanciamento dei poteri una prerogativa a tutela di tutti i cittadini.
Si propone quindi un’alternativa di democrazia diversa, che preveda un incarico verticistico basato sull’asse votante/votato, che attribuisca all’eletto la prerogativa, non più della garanzia della rappresentanza e dell’alternanza democratica, ma di tutta la forza del comando. Per far questo si devono cambiare le regole del gioco. Assistiamo a tentativi maldestri di propaganda bugiarda sulle motivazioni, ma anche sulla narrazione degli eventi. Non è necessario dire la verità, bensì essere persuasivi. Sono tutti nemici gli autori di propositi avversi e sono tutti ostacoli quelli che si oppongono al proprio percorso. Ostacoli di natura ideologica, strutturale, ma anche legale e di qui la necessità di smontare un sistema giuridico, per renderlo più plasmabile alle proprie esigenze di potestà.
Nell’intervista del 2018 Putin affermava al Financial Times: “Non è detto che la democrazia debba per forza essere liberale”. La domanda è: c’è una democrazia illiberale? Una democrazia illiberale è una democrazia che si propone autoritaria, con una concentrazione di poteri favorita da una serie di leggi e regolamenti che supportino un’azione centralizzata; con delle restrizioni delle libertà di stampa, di aggregazione e di genere, in cui il potere è fonte di sé stesso a garanzia dai vari condizionamentie dagli obblighi derivanti dalla storia e dai predecessori.
Siamo all’anno zero di una nuova fase geopolitica. La nuova storia verrà fatta dal nuovo leader da quel momento in poi. Come poter dar credito a tutto questo? L’anno zero non doveva esser quello che segnava un’inversione di tendenza per le emissioni dei gas serra che inquinano la nostra atmosfera? Come sarà possibile concertare le politiche energetiche mondiali se l’obiettivo non è cooperare ma primeggiare? È ragionevole tener presente l’invito di Roger Abravanel e Luca D’Agnese nel libro Le grandi ipocrisie sul clima, di considerare quello che loro chiamano il triangolo della sostenibilità: “Stati che creano incentivi mirati, imprese che innovano e sfruttano le opportunità del clima, la società e la scienza che indicano le tendenze e le priorità”. Purtroppo la realtà è un’altra.
I governi sono in una fase involutiva rispetto agli obiettivi del Green Deal. Sembra che le 29 COP effettuate siano passate inutilmente. Gli USA hanno appena ritirato il loro impegno sugli accordi sul clima, la Russia ha sempre intralciato gli accordi, l’India è sempre stata molto prudente nell’attuare i trattati, la Cina è il Paese più inquinante, ma anche il più grande investitore sulle energie pulite, l’Europa quella più impegnata. Però qualcosa si muove. Le imprese hanno fatto passi da gigante verso una transizione energetica, ma avrebbero bisogno di più aiuto dalle politiche energetiche ed industriali dei singoli Stati. I consumatori europei, con impianti domestici, con la partecipazione alle comunità energetiche, contribuiscono per circa il 20% alla produzione di energia rinnovabile.
Apro e chiudo più volte le palpebre. Vedo volteggiare in cielo dei droni solari e correre dei bambini su per giardini verticali, spinti da piccoli propulsori. In mezzo ad una piazza c’è un ologramma di un uomo ultra centenario, che racconta la terra devastata negli anni della sua gioventù e che invita, con commozione, a festeggiare il giorno simbolo della sopravvivenza umana e della rinascita del pianeta e delle sue forme di vita.☺