L’elefante nella stanza
6 Febbraio 2025
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L’elefante nella stanza

“L’elefante nella stanza” – elephant in the room – è un sintagma, che nel nostro caso vuole esprimere un modo di dire tipico della lingua inglese che indica un fatto, una verità, che appare in tutta la sua dimensione, il suo peso, ma che viene o ignorato o minimizzato. È proprio come immaginare che un elefante possa stare in uno spazio angusto come una stanza, per cui lo si elude dalla vista e dalla mente, supponendo che sia impossibile immaginarlo in uno spazio ristretto, rendendolo, di conseguenza, inesistente, ignorandolo completamente, pur tenendolo a fianco. Facendo riferimento alla questione palestinese e a Israele che ignora volutamente il grido di dolore, disperato del popolo palestinese, l’Elefante nella stanza indica l’occupazione israeliana delle terre dei Palestinesi che dura dal 1967. Dunque, l’elefante è la Palestina sul territorio presuntuosamente ritenuto di proprietà degli ebrei, come amano ripetere i sionisti religiosi, secondo i quali la Palestina è stata donata da Jahvè al suo popolo prediletto, quello ebraico. Il palestinese diventa, di conseguenza, praticamente invisibile agli occhi degli ebrei o, se mai gli appare dinanzi, appunto come un mastodonte, va subito eliminato, in quanto rappresenterebbe secondo la vulgata israeliana un pericolo, minando, di conseguenza, la sicurezza dello Stato israeliano.
Roberta De Monticelli nel suo bellissimo libro, Umanità violata – La Palestina e l’infermo della ragione, così raffigura tale paradossale, incredibile, assurda situazione: “(…) mi aveva colpito il fatto che Israele fosse – anche – un sistema di invisibilità: architettura, logistica, segnaletica rendono l’occupazione e i palestinesi dei Territori occupati virtualmente invisibili a chi gira il paese senza avere particolari mete in quei territori. Un sistema di viabilità automobilistica (inaccessibile ai palestinesi che non sono arabi/israeliani) consente a un israeliano o a un turista di visitare uno qualunque degli insediamenti dei coloni di cui la Cisgiordania è disseminata senza incontrare palestinesi, anche là dove non arriva il labirintico sistema di muri che separano gli insediamenti da ciò che resta delle terre usurpate: mentre i ben noti sistemi di checkpoint tengono sempre sotto controllo i passaggi in senso inverso (…) La colonizzazione a Gaza, in Cisgiordania, nei Territori, si attua attraverso la modellazione dello spazio, in una costante dialettica di costruzione e distruzione. Politiche (…) che hanno diviso il territorio al fine di controllarlo, in ogni sua dimensione. Dalle pompe per l’estrazione dell’acqua, alle fortificazioni, ai posti di blocco, fino a radar; i controlli biometrici, i complessi sistemi di controllo militare”.
A questa segregazione sociale, feroce e persecutoria, è sottoposta dallo Stato israeliano per vendetta la popolazione palestinese nei Territori occupati; inoltre, i controlli continui, ossessivi, illiberali sono materia, costantemente presente, anche nelle narrazioni letterarie, come, tra gli altri, constatiamo nel romanzo Un dettaglio minore di Adania Shibli. Nel secondo capitolo la voce che narra le vicende è una giovane giornalista che ha deciso di fare ricerche sulla vicenda di una ragazza beduina, fatta prigioniera da un ufficiale israeliano e da questi uccisa vigliaccamente il 13 agosto 1949, e di cui vorrebbe, individuando la sua sepoltura, recuperare il corpo. La giovane giornalista è costretta a sopportare innumerevoli controlli ad opera di soldati israeliani che pattugliano e sorvegliano ogni strada e a queste ispezioni si aggiungono chekpoint fastidiosissimi. A nulla servirà il suo andare avanti e indietro, costretta a fare lunghi giri per strade che sono imprigionate da mura alte che le separano dai percorsi stradali che solo i cittadini ebrei/israeliani possono utilizzare. Inutilmente la giovane si adopererà nell’avere, per poterle necessariamente utilizzare, informazioni più precise o dettagli esaurienti che le faciliterebbero l’ individuazione della località giusta dove è stato consumato l’omicidio circa venti anni addietro. Invano riuscirà a venire in possesso della documentazione, che attesta tale omicidio, negli uffici ministeriali o in biblioteche, oppure a conoscere l’ ubicazione corretta dove è stata compiuta l’uccisione violenta della ragazza. La narrazione si conclude con la morte della giovane giornalista che viene uccisa dai militari israeliani che controllano una parte del territorio ritenuta off limits e dove la giovane protagonista si è trovata inavvertitamente, perché in assenza totale di qualsiasi indicazione stradale nel deserto del Negev che ne indicasse la invalicabilità.
Israele negli ultimi anni, a partire dal 2014/2015 ha enormemente sviluppato la sua industria tecnologicamente avanzata anche allo scopo di eliminare più palestinesi possibili e le nuove armi che l’IDF, ossia l’esercito israeliano, ha introdotto, le ha testate continuamente anche durante la cosiddetta Grande Marcia del Ritorno – tra marzo 2018 e dicembre 2019 – quando gli abitanti di Gaza cominciarono a manifestare lungo la recinzione muraria con Israele. Il Sea of Tears (“mare di lacrime”) è stato il primo drone che ha sganciato candelotti di gas lacrimogeno su un’area prestabilita e cecchini hanno fatto stragi ancora impunite. A partire da questi anni ha avuto maggiore impulso in maniera scientifica la lenta ma graduale espulsione dei palestinesi dai Territori occupati. Lo strumento di cui si serve Israele per spiare i palestinesi o i suoi nemici, non solo in Medio Oriente, è una unità d’ intelligence, chiamata 8200, che è la copia israeliana dei servizi segreti statunitensi ed ha come compito precipuo quello dello spionaggio, dell’hacking, del pedinamento, del controllo, e della sorveglianza: “L’obiettivo chiave è il monitoraggio di massa dei palestinesi in Cisgiordania e a Gaza, raccogliendo tutte le informazioni personali e politiche sul loro conto e ascoltando le comunicazioni di alleati e nemici in tutto il mondo. Questo avviene principalmente attraverso una base segreta del Negev, dove una sfilza di antenne paraboliche intercetta le telefonate interne e internazionali e una serie di altre comunicazioni (…) Urim è una delle più grandi stazioni mondiali per l’intercettazione delle comunicazioni” (Antony Loewenstein, Laboratorio Palestina, Fazi Editore, Roma).
Tutto questo è poca cosa rispetto a quanto dall’8 ottobre 2023 ad oggi – gennaio 2025 – Israele ha fatto e sta facendo nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania per vendetta dell’ eccidio del 7 ottobre 2023, condannato da noi senza se e senza ma, perpetrato da Hamas a danno dei cittadini israeliani e non. Ma dal 19 gennaio 2025 si è aperto un nuovo spiraglio, un barlume appena percettibile che non è di pace ma di tregua dello scontro feroce fra lo Stato di Israele e la struttura politico/militare di Hamas. Tale apertura diplomatica andrebbe soprattutto a vantaggio della popolazione della Striscia di Gaza… E la tregua sarà davvero rispettata secondo gli accordi dai due fronti contrapposti? Ce lo auguriamo sinceramente. ☺

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