re mida
19 Aprile 2010 Share

re mida

 

Mi rivolgo a te, lettore, arbitro scrupoloso e attento della realtà che ti attraversa. Mi piacerebbe interpellarti con un test. Sei stanco, lo credo, dopo tanti sondaggi, interviste telefoniche, pubblicità. Anch’io però ho il mio bel da fare a ritagliarmi uno spazio tra tanti illustri opinionisti; il fatto è, credimi, che non resisto alla tentazione di saggiare l’opinione, conoscere le più recondite aspirazioni delle donne e degli uomini del nostro tempo in merito ad un tema spinoso che non ti anticipo, ma che ti sarà subito chiaro non appena scorrerai il  primo quesito.

 E allora dimmi, lettore, soffriresti di più se ti rubassero una Ferrari o una 127 del 1981?

 Preferiresti trascorrere l’estate a bordo di un panfilo che solca le limpide acque della costa Smeralda con il suo bel carico di caviale e champagne, oppure sulla spiaggia di Fregene con il tamburello nella mano destra e il cocomero nella sinistra?

 E… avendo tempo… naturalmente, preferiresti leggere l’autobiografia di Bill Gates oppure “I Miserabili” di Victor Hugo?

E infine, accetteresti di buon grado lo stress di ricordare i numeri dei conti correnti all’estero o sceglieresti di correre spensierato, sereno e scalzo nei prati?

Mi corre l’obbligo di informarti, lettore, che l’indagine rimarrà anonima, coperta dal segreto professionale e sarà trattata solo in forma statistica per scopi, pensa un po’, scientifici.

Veniamo dunque alle tue risposte. Quelle da te fornite ti collocano nella tipologia umana che predilige, tranne lo sviscerato amore per l’agriturismo, la ricchezza al posto della povertà.

Assomigli molto, per intenderci, al famoso re Mida. Ricordi certamente il personaggio, ma  mi piace riproportene la storia. Viveva un tempo in Frigia, regione dell’Asia Minore corrispondente all’attuale Turchia, il re Mida. Egli aveva un giorno soccorso Sileno, il vecchio precettore del dio Dioniso. Data la levatura culturale del personaggio, Mida lo aveva trattato con tutti i riguardi, riservandogli ogni genere di gentilezze. Dal canto suo Dioniso, che in quanto a scaltrezza ne aveva da vendere, venuto a conoscenza che Mida si era profuso in mille attenzioni per l’anziano maestro,  tra sé e sé si chiede: “Che l’abbia fatto per interesse?”. Decide dunque di metterlo alla prova, dichiarandosi pronto ad esaudire ogni suo desiderio. E Mida, che, bada bene, ricco già era, non ci pensa due volte e… fa richiesta di una cosuccia veramente da poco: che possa trasformare in oro tutto quello che di tanto in tanto vorrà toccare. Detto fatto, inizia per l’avido sovrano un’esperienza entusiasmante, all’apice della goduria: al tocco lieve della sua mano ogni oggetto riluce di un colore prodigioso. E’ soddisfatto il re, ma arriva, ahimè, anche per lui l’ora del pranzo: la tavola è imbandita come si addice ad un sovrano del suo rango e tutti si apprestano al più sontuoso dei banchetti: selvaggina e cacciagione prelibate sfilano davanti ai commensali, che avidamente se ne servono e con ingordigia le assaporano. Gioisce compiaciuto Mida e fa per afferrare un rosolato cosciotto di agnello ma… meraviglia! Alla presa esso è subito oro. Sembra stupito Mida, la fame gli ha fatto dimenticare per un momento  la  prodigiosa facoltà di cui dispone. Ah!… insania dell’uomo, che non sa discernere i benefici e i limiti del suo potere! Tra  la delusione, il disappunto  e lo sbigottimento il re fa altri tentativi. Il risultato è sempre lo stesso: oro, oro, oro. E in più lo scherno e il dileggio dei commensali. Ora, si sa, si può ben digiunare un giorno ma si finisce a stecchetto se non c’è un dio che interviene. Disperato, Mida invoca Dioniso affinché lo liberi dal tremendo sortilegio. Ride beffardo il dio, considerando la stupidità dell’uomo, ma, pietoso, revoca il potere concesso in un momento di debolezza ad un mortale.

Ma te lo immagini, lettore, un Mida dei giorni nostri chiedere una carta di credito senza tetto? Oppure addentare una  mela che al suo tocco diventa una lucida golden mela?

Povero illuso, Mida! Da possessore di un sogno ne è divenuto schiavo. Eh, sì, lettore, perché il denaro contiene purtroppo in sé una perversione, che risiede nella relazione che ciascuno di noi stabilisce con esso. Un dato è certo: chiunque desideri la ricchezza, non l’avrà mai. Per un motivo molto semplice, che è il seguente: chi insegue la ricchezza non sa che cosa questa sia. Quando poi essa è abbassata a desiderio, oppure a bene di consumo, a merci, allora mostra la sua qualità più subdola, più sottile, che è quella di moltiplicarsi all’infinito.

 Viviamo in una società, facci caso, che ci bombarda di bisogni; tutta la nostra vita è continuamente proiettata su un tappeto di bisogni e questi ci spingono al possesso smodato delle merci e al potere simbolico che esse incarnano. Mi torna alla mente, tra i tanti, Carlo Marx, il quale,  parlando di “arcano delle merci”, spiegava come gli esseri umani possano venire contagiati da una malattia particolare, la malattia simbolica, per cui le merci, che pure sono cose inanimate, cominciano invece ad animarsi, ad acquistare nella mente uno straordinario valore, quasi fossero persone; il denaro si anima, le merci si animano, assumono significati che non hanno, sino a costituire un mondo a parte, minaccioso, che prima o poi si rivolterà contro gli uomini.

E allora  permettimi, caro lettore, di lasciarti con un ultimo quesito: “Preferisci prendere le distanze dal denaro e dalla relazione ossessiva, ideologica e idolatrica che con esso talvolta stabiliamo o divenirne  invece schiavo come è accaduto al povero, si fa per dire, re Mida?”. ☺

 

 

 

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