Quando avviammo la redazione del progetto di prevenzione primaria, “Mosaico 2003”, avevamo in mente i risultati discreti della precedente versione “Mosaico 2000”, frutto di un intervento complesso rivolto ai docenti, ai genitori ed ai ragazzi nelle scuole e nei centri di aggregazione, con più di mille giovani incontrati. Alcune lacune però si ravvisavano nella difficoltà di contattare i giovani nei loro luoghi di aggregazione e nell’apertura interiore degli studenti. Impiegammo per il secondo progetto, questa volta triennale (2004/2006), i ragazzi della comunità per soggetti dipendenti “il noce” di Termoli, in qualità di peer educators. L’idea era di stimolare nei giovani studenti di Termoli una risposta ed un coinvolgimento maggiore, uscendo dalle secche della informazione scientifica o semplicemente informale. In questi tre anni abbiamo incontrato oltre seicento giovani delle scuole superiori ed elaborato i questionari di quasi trecento di essi. E’ stata un’esperienza molto coinvolgente.
In classe si respirava un desiderio di autenticità che ha permesso uno scambio proficuo. Si esordiva con una scenografia preparata dai ragazzi della comunità e tratta dall’esperienza del teatro del corpo: la piramide delle dipendenze. Al termine di tale rappresentazione, della durata di circa dieci minuti, si apriva il confronto con gli studenti, le loro paure, le loro difficoltà, il loro disorientamento, uno scambio di esperienze anche rispetto allo stile di vita della comunità: sobrio, fortemente relazionale e critico, rispetto ad un consumismo sfrenato, ed infine la somministrazione del questionario sulle abitudini di vita, gli interessi e gli stili di consumo di sostanze quali l’alcol e le droghe in genere. Se questo è in sintesi l’ossatura del progetto di prevenzione, il cuore è rappresentato dai volti, dagli sguardi, dei giovani che, laddove sembravano meno strutturati ed indifesi tiravano fuori una umanità sorprendente ed una vitalità inespressa.
Con noi erano educati, ma con le insegnanti no e spesso non le volevano coinvolgere. Perché tale atteggiamento? Perché questa dicotomia di rapporti? Una delle risposte è nella autorevolezza e credibilità che gli operatori ed i ragazzi della comunità esprimevano ai loro occhi? Il mondo degli adulti viene spesso messo alla prova dai giovani con provocazioni, strumentalizzazioni ed è perdente quando è povero di contenuti ed esempi. La comunità di provenienza dei giovani studenti, ovvero la famiglia o le famiglie di provenienza ed il contesto sociale ha loro permesso di più, ma anche tolto di più in termini di chiarezza, trasparenza, progettualità e significati. La precarietà affettiva, lavorativa e sociale degli adulti si trasforma in precarietà educativa o a corto raggio. Se i docenti e genitori o facenti funzioni non interpretano il ruolo degli adulti in cammino, ovvero con le loro fragilità, ma anche con il loro sistema valoriale, e con la loro serietà, competenza e forma di vita credibile, allora si può dialogare, ma non accompagnare, si può donare, ma non trasmettere. Se i messaggi che la famiglia, la scuola, i media e la società in genere sono l’obbligo di competere, il rischio, la flessibilità, il primato dell’interesse individuale su quello collettivo, una vita assuefatta al pensiero unico contraddistinto da un mercato totalitario, una comunicazione manipolativa per consumatori e quasi mai per i cittadini, allora non dobbiamo rimanere sorpresi se le indubbie responsabilità personali dei giovani consumatori di sostanze psicotrope si accompagnano ad una altrettanto indubbia responsabilità degli adulti. Se la famiglia non è una comunità di relazioni in cui siano privilegiati spazi di confronto e scambio, in cui gestire anche conflitti, insegnare che la vita va vissuta fino in fondo, affrontata ed interpretata con originalità, passione e responsabilità personale e civile, allora dobbiamo cambiare rotta. Ma accanto a questo scenario non privo di elementi negativi, ve n’è un altro costituito da ambienti sani scolastici e familiari ove si resiste e si traghetta il futuro. Tali ambienti sono caratterizzati da insegnanti, genitori e adulti che seguono i giovani e dedicano loro tempo per ascoltarli, indirizzarli, rimproverarli, stimolarli e spingerli ad una progettualità.
Ricostruire è possibile, ma non sulle rovine del passato. Ci sentiamo di fare alcune proposte che vanno nella direzione di una scuola che investa in figure stabili e capaci di accompagnamento non solo di studenti, ma anche di genitori ed insegnanti. Si otterranno in tal modo maggiori risultati scolastici e umani e si contribuirà a costruire una società alternativa all’Homo Consumens, prototipo di una sconfitta del processo educativo che va, quest’ultimo, rilanciato con modalità serie ed impegnative. ☺
Quando avviammo la redazione del progetto di prevenzione primaria, “Mosaico 2003”, avevamo in mente i risultati discreti della precedente versione “Mosaico 2000”, frutto di un intervento complesso rivolto ai docenti, ai genitori ed ai ragazzi nelle scuole e nei centri di aggregazione, con più di mille giovani incontrati. Alcune lacune però si ravvisavano nella difficoltà di contattare i giovani nei loro luoghi di aggregazione e nell’apertura interiore degli studenti. Impiegammo per il secondo progetto, questa volta triennale (2004/2006), i ragazzi della comunità per soggetti dipendenti “il noce” di Termoli, in qualità di peer educators. L’idea era di stimolare nei giovani studenti di Termoli una risposta ed un coinvolgimento maggiore, uscendo dalle secche della informazione scientifica o semplicemente informale. In questi tre anni abbiamo incontrato oltre seicento giovani delle scuole superiori ed elaborato i questionari di quasi trecento di essi. E’ stata un’esperienza molto coinvolgente.
In classe si respirava un desiderio di autenticità che ha permesso uno scambio proficuo. Si esordiva con una scenografia preparata dai ragazzi della comunità e tratta dall’esperienza del teatro del corpo: la piramide delle dipendenze. Al termine di tale rappresentazione, della durata di circa dieci minuti, si apriva il confronto con gli studenti, le loro paure, le loro difficoltà, il loro disorientamento, uno scambio di esperienze anche rispetto allo stile di vita della comunità: sobrio, fortemente relazionale e critico, rispetto ad un consumismo sfrenato, ed infine la somministrazione del questionario sulle abitudini di vita, gli interessi e gli stili di consumo di sostanze quali l’alcol e le droghe in genere. Se questo è in sintesi l’ossatura del progetto di prevenzione, il cuore è rappresentato dai volti, dagli sguardi, dei giovani che, laddove sembravano meno strutturati ed indifesi tiravano fuori una umanità sorprendente ed una vitalità inespressa.
Con noi erano educati, ma con le insegnanti no e spesso non le volevano coinvolgere. Perché tale atteggiamento? Perché questa dicotomia di rapporti? Una delle risposte è nella autorevolezza e credibilità che gli operatori ed i ragazzi della comunità esprimevano ai loro occhi? Il mondo degli adulti viene spesso messo alla prova dai giovani con provocazioni, strumentalizzazioni ed è perdente quando è povero di contenuti ed esempi. La comunità di provenienza dei giovani studenti, ovvero la famiglia o le famiglie di provenienza ed il contesto sociale ha loro permesso di più, ma anche tolto di più in termini di chiarezza, trasparenza, progettualità e significati. La precarietà affettiva, lavorativa e sociale degli adulti si trasforma in precarietà educativa o a corto raggio. Se i docenti e genitori o facenti funzioni non interpretano il ruolo degli adulti in cammino, ovvero con le loro fragilità, ma anche con il loro sistema valoriale, e con la loro serietà, competenza e forma di vita credibile, allora si può dialogare, ma non accompagnare, si può donare, ma non trasmettere. Se i messaggi che la famiglia, la scuola, i media e la società in genere sono l’obbligo di competere, il rischio, la flessibilità, il primato dell’interesse individuale su quello collettivo, una vita assuefatta al pensiero unico contraddistinto da un mercato totalitario, una comunicazione manipolativa per consumatori e quasi mai per i cittadini, allora non dobbiamo rimanere sorpresi se le indubbie responsabilità personali dei giovani consumatori di sostanze psicotrope si accompagnano ad una altrettanto indubbia responsabilità degli adulti. Se la famiglia non è una comunità di relazioni in cui siano privilegiati spazi di confronto e scambio, in cui gestire anche conflitti, insegnare che la vita va vissuta fino in fondo, affrontata ed interpretata con originalità, passione e responsabilità personale e civile, allora dobbiamo cambiare rotta. Ma accanto a questo scenario non privo di elementi negativi, ve n’è un altro costituito da ambienti sani scolastici e familiari ove si resiste e si traghetta il futuro. Tali ambienti sono caratterizzati da insegnanti, genitori e adulti che seguono i giovani e dedicano loro tempo per ascoltarli, indirizzarli, rimproverarli, stimolarli e spingerli ad una progettualità.
Ricostruire è possibile, ma non sulle rovine del passato. Ci sentiamo di fare alcune proposte che vanno nella direzione di una scuola che investa in figure stabili e capaci di accompagnamento non solo di studenti, ma anche di genitori ed insegnanti. Si otterranno in tal modo maggiori risultati scolastici e umani e si contribuirà a costruire una società alternativa all’Homo Consumens, prototipo di una sconfitta del processo educativo che va, quest’ultimo, rilanciato con modalità serie ed impegnative. ☺
Quando avviammo la redazione del progetto di prevenzione primaria, “Mosaico 2003”, avevamo in mente i risultati discreti della precedente versione “Mosaico 2000”, frutto di un intervento complesso rivolto ai docenti, ai genitori ed ai ragazzi nelle scuole e nei centri di aggregazione, con più di mille giovani incontrati. Alcune lacune però si ravvisavano nella difficoltà di contattare i giovani nei loro luoghi di aggregazione e nell’apertura interiore degli studenti. Impiegammo per il secondo progetto, questa volta triennale (2004/2006), i ragazzi della comunità per soggetti dipendenti “il noce” di Termoli, in qualità di peer educators. L’idea era di stimolare nei giovani studenti di Termoli una risposta ed un coinvolgimento maggiore, uscendo dalle secche della informazione scientifica o semplicemente informale. In questi tre anni abbiamo incontrato oltre seicento giovani delle scuole superiori ed elaborato i questionari di quasi trecento di essi. E’ stata un’esperienza molto coinvolgente.
In classe si respirava un desiderio di autenticità che ha permesso uno scambio proficuo. Si esordiva con una scenografia preparata dai ragazzi della comunità e tratta dall’esperienza del teatro del corpo: la piramide delle dipendenze. Al termine di tale rappresentazione, della durata di circa dieci minuti, si apriva il confronto con gli studenti, le loro paure, le loro difficoltà, il loro disorientamento, uno scambio di esperienze anche rispetto allo stile di vita della comunità: sobrio, fortemente relazionale e critico, rispetto ad un consumismo sfrenato, ed infine la somministrazione del questionario sulle abitudini di vita, gli interessi e gli stili di consumo di sostanze quali l’alcol e le droghe in genere. Se questo è in sintesi l’ossatura del progetto di prevenzione, il cuore è rappresentato dai volti, dagli sguardi, dei giovani che, laddove sembravano meno strutturati ed indifesi tiravano fuori una umanità sorprendente ed una vitalità inespressa.
Con noi erano educati, ma con le insegnanti no e spesso non le volevano coinvolgere. Perché tale atteggiamento? Perché questa dicotomia di rapporti? Una delle risposte è nella autorevolezza e credibilità che gli operatori ed i ragazzi della comunità esprimevano ai loro occhi? Il mondo degli adulti viene spesso messo alla prova dai giovani con provocazioni, strumentalizzazioni ed è perdente quando è povero di contenuti ed esempi. La comunità di provenienza dei giovani studenti, ovvero la famiglia o le famiglie di provenienza ed il contesto sociale ha loro permesso di più, ma anche tolto di più in termini di chiarezza, trasparenza, progettualità e significati. La precarietà affettiva, lavorativa e sociale degli adulti si trasforma in precarietà educativa o a corto raggio. Se i docenti e genitori o facenti funzioni non interpretano il ruolo degli adulti in cammino, ovvero con le loro fragilità, ma anche con il loro sistema valoriale, e con la loro serietà, competenza e forma di vita credibile, allora si può dialogare, ma non accompagnare, si può donare, ma non trasmettere. Se i messaggi che la famiglia, la scuola, i media e la società in genere sono l’obbligo di competere, il rischio, la flessibilità, il primato dell’interesse individuale su quello collettivo, una vita assuefatta al pensiero unico contraddistinto da un mercato totalitario, una comunicazione manipolativa per consumatori e quasi mai per i cittadini, allora non dobbiamo rimanere sorpresi se le indubbie responsabilità personali dei giovani consumatori di sostanze psicotrope si accompagnano ad una altrettanto indubbia responsabilità degli adulti. Se la famiglia non è una comunità di relazioni in cui siano privilegiati spazi di confronto e scambio, in cui gestire anche conflitti, insegnare che la vita va vissuta fino in fondo, affrontata ed interpretata con originalità, passione e responsabilità personale e civile, allora dobbiamo cambiare rotta. Ma accanto a questo scenario non privo di elementi negativi, ve n’è un altro costituito da ambienti sani scolastici e familiari ove si resiste e si traghetta il futuro. Tali ambienti sono caratterizzati da insegnanti, genitori e adulti che seguono i giovani e dedicano loro tempo per ascoltarli, indirizzarli, rimproverarli, stimolarli e spingerli ad una progettualità.
Ricostruire è possibile, ma non sulle rovine del passato. Ci sentiamo di fare alcune proposte che vanno nella direzione di una scuola che investa in figure stabili e capaci di accompagnamento non solo di studenti, ma anche di genitori ed insegnanti. Si otterranno in tal modo maggiori risultati scolastici e umani e si contribuirà a costruire una società alternativa all’Homo Consumens, prototipo di una sconfitta del processo educativo che va, quest’ultimo, rilanciato con modalità serie ed impegnative. ☺
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