La parola «città» (urbs per i latini, polis per i greci) richiama alla mente un concetto ricco di molti contenuti: abitanti, territorio, edifici, strade, piazze, attività umane, strutture umane di gestione e di sevizi come amministrazioni politiche ecc…
Una parola breve che racchiude e unisce, in un tutto organico ed equilibrato, una serie di elementi umani e non che, insieme, costituiscono il volto della “città”.
Un modo tra i più comuni di interpretare e giudicare una città, nel suo insieme polimorfo, è rappresentato dal numero di abitanti (popolazione), dal territorio (abitativo e non) e del rapporto che si instaura tra abitanti, territorio e attività umane per giungere a definire il concetto di “vivibilità” o di “città a misura d’uomo” con cui si vuole indicare la qualità migliore o peggiore di un complesso urbano. A seconda di quali e quanti “parametri” si usano per interpretare un fenomeno così multiforme, come le città, si ha un risultato diverso. Con questo sguardo complessivo si interpreta ogni organizzazione urbana, sia che si tratti di una megalopoli (oggi siamo già top di circa trenta milioni di abitanti) sia che si rivolga lo sguardo ad un piccolo insediamento urbano contenente poche centinaia di abitanti come i nostri piccoli paesi, del territorio collinare, ormai sempre più spopolati. Voglio assumere come criterio di lettura le cosiddette “strutture urbanistiche” o lo “sviluppo urbano” nel senso primario di costruzioni civili private o pubbliche, abitative o di altro genere.
Un territorio cittadino “antico” rivela nelle strutture urbanistiche, i diversi livelli temporali e modelli culturali, soprattutto in quelle città che nell’ultimo secolo hanno conosciuto il maggior sviluppo. La città di Termoli, che prendiamo in considerazione, ha ben riconoscibile il suo “borgo antico” che racchiude circa otto secoli (dal 1100 agli inizi dell’800) poi si riconosce il tessuto di fine ottocento e prima metà del XX secolo, infine la crescita enorme degli ultimi trent’anni del secolo scorso, fino al panorama odierno così come è sotto gli occhi di tutti.
Un primo elemento, non tecnico, che appare ben visibile è quello di una “idea di città” nell’antico borgo, come anche nella parte ottocentesca e fino alla prima metà del secolo scorso, mentre l’assenza totale di una “idea di città” nella restante parte dalla ferrovia verso l’interno: tutto sembra un casuale agglomerato vario e separato, a macchia di leopardo, di corpi urbani accostati l’uno all’altro o separati da territori ancora di natura ibrida ma non urbana (vigne, campi coltivati, spazi abbandonati). Non è una “città giardino” in quanto gli spazi non sono in maggioranza usufruibili, non é a “misura d’uomo” in quanto non sono facilmente raggiungibili, perché tra un quartiere estremo a nord e a sud intercorrono chilometri di distanza; come non è agevole il trasferimento da un quartiere interno verso il mare, o al contrario, in quanto solo tre passaggi obbligano il pedone o i veicoli ad attraversare le “barriere” artificiali immesse. A nord il ponte sull’ autostrada dietro il cimitero, al centro i ponti alla Fontana e alla “Madonnina”, a sud il ponte vicino al nuovo ospedale. Alla barriera ferroviaria già esistente, si sono aggiunte la statale 16, l’autostrada, la tangenziale: tutte a tagliare a fette la città in direzione nord-sud.
Sia illuminante anche l’esempio dello sviluppo delle parrocchie, che “seguono” l’espandersi della città: una fino al 1934 (Cattedrale) due dal 34 al 56 (aggiunta di S. Antonio) tre dal 56 fine anni 60 (si aggiunge S. Timoteo) dalla fine anni 60 al 2000 se ne aggiungono altre sette: Crocifisso, S. M. del Carmelo, S. Francesco, S. Pietro, S. Cuore, S. Maria degli Angeli, S. Paolo (ancora da costruire).
Come mai è potuto accadere tutto questo? Ci sarà una causa? Certo. Non è un caso che l’ultimo Piano Regolatore Generale (PRG), “strumento urbanistico” principe per “progettare una città”, risalga al 1971 e scaduto nel 1976. Da allora il susseguirsi ininterrotto di amministrazioni comunali con maggioranze di 2/3 in Consiglio Comunale, hanno avuto tali impicci e problemi da non “poter” approvare lo “strumento” fondamentale di progettazione urbana: la città è cresciuta senza “progetto” semplicemente perché non ce n’è mai stato uno valido, ossia vincolante, da quella data in poi.
Ora la democrazia vive di “regole” scritte e applicate. Quando chi amministra elude le regole, o, sebbene gli spetti, evita accuratamente di scriverle o di portarle alla applicabilità, l’unica regola che vige è la giungla e il potere dei profittatori, nella semplice accezione di chi “sa approfittare”. A Roma, con termine quasi ironico, vengono detti “palazzinari”. Non vi sembra che oggi, con accelerazione spaventosa in questo inizio millennio, Termoli abbia sempre più il volto dei “palazzinari”?
Purtroppo il vocabolario italiano ha già adeguato i concetti alle tre macroregioni di origine leghista: nella “Padania” chi elude le regole urbanistiche, sia amministratore che costruttore, conserva il titolo di “amministratore” e “costruttore”; nelle regioni centrali, rappresentate da “Roma ladrona”, diventa “corrotto” il primo e “palazzinaro” il secondo, nel profondo sud sono unificati nell’unica parola “mafioso” o “camorrista” (abbiamo avuto ospite nel Molise un illustre rappresentante che come sindaco in Sicilia rilasciò circa 4.000 licenze edilizie intestate ad un gruppetto di meno di dieci vecchietti nullatenenti).
Se non altro ci rimane la consolazione del gioco del vocabolario. La realtà, però, non si lascia “colorare” dalle parole: è lì e rivela tutto il sottobosco da cui è sbocciata e da cui è stata nutrita, di varia natura e in varie stagioni. Siamo certi di una cosa: “l’humus” non si chiamava né potrà mai chiamarsi “legalità” o “trasparenza amministrativa”, comunque lo si vorrà denominare; ad ognuno la libertà di scelta, il vocabolario è già stato addomesticato da tempo; ognuno attinga liberamente. La verità rimane, però, come dicevano i medioevali “adeguatio intellectus ad rem”(piena corrispondenza tra intelletto e realtà). ☺
La parola «città» (urbs per i latini, polis per i greci) richiama alla mente un concetto ricco di molti contenuti: abitanti, territorio, edifici, strade, piazze, attività umane, strutture umane di gestione e di sevizi come amministrazioni politiche ecc…
Una parola breve che racchiude e unisce, in un tutto organico ed equilibrato, una serie di elementi umani e non che, insieme, costituiscono il volto della “città”.
Un modo tra i più comuni di interpretare e giudicare una città, nel suo insieme polimorfo, è rappresentato dal numero di abitanti (popolazione), dal territorio (abitativo e non) e del rapporto che si instaura tra abitanti, territorio e attività umane per giungere a definire il concetto di “vivibilità” o di “città a misura d’uomo” con cui si vuole indicare la qualità migliore o peggiore di un complesso urbano. A seconda di quali e quanti “parametri” si usano per interpretare un fenomeno così multiforme, come le città, si ha un risultato diverso. Con questo sguardo complessivo si interpreta ogni organizzazione urbana, sia che si tratti di una megalopoli (oggi siamo già top di circa trenta milioni di abitanti) sia che si rivolga lo sguardo ad un piccolo insediamento urbano contenente poche centinaia di abitanti come i nostri piccoli paesi, del territorio collinare, ormai sempre più spopolati. Voglio assumere come criterio di lettura le cosiddette “strutture urbanistiche” o lo “sviluppo urbano” nel senso primario di costruzioni civili private o pubbliche, abitative o di altro genere.
Un territorio cittadino “antico” rivela nelle strutture urbanistiche, i diversi livelli temporali e modelli culturali, soprattutto in quelle città che nell’ultimo secolo hanno conosciuto il maggior sviluppo. La città di Termoli, che prendiamo in considerazione, ha ben riconoscibile il suo “borgo antico” che racchiude circa otto secoli (dal 1100 agli inizi dell’800) poi si riconosce il tessuto di fine ottocento e prima metà del XX secolo, infine la crescita enorme degli ultimi trent’anni del secolo scorso, fino al panorama odierno così come è sotto gli occhi di tutti.
Un primo elemento, non tecnico, che appare ben visibile è quello di una “idea di città” nell’antico borgo, come anche nella parte ottocentesca e fino alla prima metà del secolo scorso, mentre l’assenza totale di una “idea di città” nella restante parte dalla ferrovia verso l’interno: tutto sembra un casuale agglomerato vario e separato, a macchia di leopardo, di corpi urbani accostati l’uno all’altro o separati da territori ancora di natura ibrida ma non urbana (vigne, campi coltivati, spazi abbandonati). Non è una “città giardino” in quanto gli spazi non sono in maggioranza usufruibili, non é a “misura d’uomo” in quanto non sono facilmente raggiungibili, perché tra un quartiere estremo a nord e a sud intercorrono chilometri di distanza; come non è agevole il trasferimento da un quartiere interno verso il mare, o al contrario, in quanto solo tre passaggi obbligano il pedone o i veicoli ad attraversare le “barriere” artificiali immesse. A nord il ponte sull’ autostrada dietro il cimitero, al centro i ponti alla Fontana e alla “Madonnina”, a sud il ponte vicino al nuovo ospedale. Alla barriera ferroviaria già esistente, si sono aggiunte la statale 16, l’autostrada, la tangenziale: tutte a tagliare a fette la città in direzione nord-sud.
Sia illuminante anche l’esempio dello sviluppo delle parrocchie, che “seguono” l’espandersi della città: una fino al 1934 (Cattedrale) due dal 34 al 56 (aggiunta di S. Antonio) tre dal 56 fine anni 60 (si aggiunge S. Timoteo) dalla fine anni 60 al 2000 se ne aggiungono altre sette: Crocifisso, S. M. del Carmelo, S. Francesco, S. Pietro, S. Cuore, S. Maria degli Angeli, S. Paolo (ancora da costruire).
Come mai è potuto accadere tutto questo? Ci sarà una causa? Certo. Non è un caso che l’ultimo Piano Regolatore Generale (PRG), “strumento urbanistico” principe per “progettare una città”, risalga al 1971 e scaduto nel 1976. Da allora il susseguirsi ininterrotto di amministrazioni comunali con maggioranze di 2/3 in Consiglio Comunale, hanno avuto tali impicci e problemi da non “poter” approvare lo “strumento” fondamentale di progettazione urbana: la città è cresciuta senza “progetto” semplicemente perché non ce n’è mai stato uno valido, ossia vincolante, da quella data in poi.
Ora la democrazia vive di “regole” scritte e applicate. Quando chi amministra elude le regole, o, sebbene gli spetti, evita accuratamente di scriverle o di portarle alla applicabilità, l’unica regola che vige è la giungla e il potere dei profittatori, nella semplice accezione di chi “sa approfittare”. A Roma, con termine quasi ironico, vengono detti “palazzinari”. Non vi sembra che oggi, con accelerazione spaventosa in questo inizio millennio, Termoli abbia sempre più il volto dei “palazzinari”?
Purtroppo il vocabolario italiano ha già adeguato i concetti alle tre macroregioni di origine leghista: nella “Padania” chi elude le regole urbanistiche, sia amministratore che costruttore, conserva il titolo di “amministratore” e “costruttore”; nelle regioni centrali, rappresentate da “Roma ladrona”, diventa “corrotto” il primo e “palazzinaro” il secondo, nel profondo sud sono unificati nell’unica parola “mafioso” o “camorrista” (abbiamo avuto ospite nel Molise un illustre rappresentante che come sindaco in Sicilia rilasciò circa 4.000 licenze edilizie intestate ad un gruppetto di meno di dieci vecchietti nullatenenti).
Se non altro ci rimane la consolazione del gioco del vocabolario. La realtà, però, non si lascia “colorare” dalle parole: è lì e rivela tutto il sottobosco da cui è sbocciata e da cui è stata nutrita, di varia natura e in varie stagioni. Siamo certi di una cosa: “l’humus” non si chiamava né potrà mai chiamarsi “legalità” o “trasparenza amministrativa”, comunque lo si vorrà denominare; ad ognuno la libertà di scelta, il vocabolario è già stato addomesticato da tempo; ognuno attinga liberamente. La verità rimane, però, come dicevano i medioevali “adeguatio intellectus ad rem”(piena corrispondenza tra intelletto e realtà). ☺
La parola «città» (urbs per i latini, polis per i greci) richiama alla mente un concetto ricco di molti contenuti: abitanti, territorio, edifici, strade, piazze, attività umane, strutture umane di gestione e di sevizi come amministrazioni politiche ecc…
Una parola breve che racchiude e unisce, in un tutto organico ed equilibrato, una serie di elementi umani e non che, insieme, costituiscono il volto della “città”.
Un modo tra i più comuni di interpretare e giudicare una città, nel suo insieme polimorfo, è rappresentato dal numero di abitanti (popolazione), dal territorio (abitativo e non) e del rapporto che si instaura tra abitanti, territorio e attività umane per giungere a definire il concetto di “vivibilità” o di “città a misura d’uomo” con cui si vuole indicare la qualità migliore o peggiore di un complesso urbano. A seconda di quali e quanti “parametri” si usano per interpretare un fenomeno così multiforme, come le città, si ha un risultato diverso. Con questo sguardo complessivo si interpreta ogni organizzazione urbana, sia che si tratti di una megalopoli (oggi siamo già top di circa trenta milioni di abitanti) sia che si rivolga lo sguardo ad un piccolo insediamento urbano contenente poche centinaia di abitanti come i nostri piccoli paesi, del territorio collinare, ormai sempre più spopolati. Voglio assumere come criterio di lettura le cosiddette “strutture urbanistiche” o lo “sviluppo urbano” nel senso primario di costruzioni civili private o pubbliche, abitative o di altro genere.
Un territorio cittadino “antico” rivela nelle strutture urbanistiche, i diversi livelli temporali e modelli culturali, soprattutto in quelle città che nell’ultimo secolo hanno conosciuto il maggior sviluppo. La città di Termoli, che prendiamo in considerazione, ha ben riconoscibile il suo “borgo antico” che racchiude circa otto secoli (dal 1100 agli inizi dell’800) poi si riconosce il tessuto di fine ottocento e prima metà del XX secolo, infine la crescita enorme degli ultimi trent’anni del secolo scorso, fino al panorama odierno così come è sotto gli occhi di tutti.
Un primo elemento, non tecnico, che appare ben visibile è quello di una “idea di città” nell’antico borgo, come anche nella parte ottocentesca e fino alla prima metà del secolo scorso, mentre l’assenza totale di una “idea di città” nella restante parte dalla ferrovia verso l’interno: tutto sembra un casuale agglomerato vario e separato, a macchia di leopardo, di corpi urbani accostati l’uno all’altro o separati da territori ancora di natura ibrida ma non urbana (vigne, campi coltivati, spazi abbandonati). Non è una “città giardino” in quanto gli spazi non sono in maggioranza usufruibili, non é a “misura d’uomo” in quanto non sono facilmente raggiungibili, perché tra un quartiere estremo a nord e a sud intercorrono chilometri di distanza; come non è agevole il trasferimento da un quartiere interno verso il mare, o al contrario, in quanto solo tre passaggi obbligano il pedone o i veicoli ad attraversare le “barriere” artificiali immesse. A nord il ponte sull’ autostrada dietro il cimitero, al centro i ponti alla Fontana e alla “Madonnina”, a sud il ponte vicino al nuovo ospedale. Alla barriera ferroviaria già esistente, si sono aggiunte la statale 16, l’autostrada, la tangenziale: tutte a tagliare a fette la città in direzione nord-sud.
Sia illuminante anche l’esempio dello sviluppo delle parrocchie, che “seguono” l’espandersi della città: una fino al 1934 (Cattedrale) due dal 34 al 56 (aggiunta di S. Antonio) tre dal 56 fine anni 60 (si aggiunge S. Timoteo) dalla fine anni 60 al 2000 se ne aggiungono altre sette: Crocifisso, S. M. del Carmelo, S. Francesco, S. Pietro, S. Cuore, S. Maria degli Angeli, S. Paolo (ancora da costruire).
Come mai è potuto accadere tutto questo? Ci sarà una causa? Certo. Non è un caso che l’ultimo Piano Regolatore Generale (PRG), “strumento urbanistico” principe per “progettare una città”, risalga al 1971 e scaduto nel 1976. Da allora il susseguirsi ininterrotto di amministrazioni comunali con maggioranze di 2/3 in Consiglio Comunale, hanno avuto tali impicci e problemi da non “poter” approvare lo “strumento” fondamentale di progettazione urbana: la città è cresciuta senza “progetto” semplicemente perché non ce n’è mai stato uno valido, ossia vincolante, da quella data in poi.
Ora la democrazia vive di “regole” scritte e applicate. Quando chi amministra elude le regole, o, sebbene gli spetti, evita accuratamente di scriverle o di portarle alla applicabilità, l’unica regola che vige è la giungla e il potere dei profittatori, nella semplice accezione di chi “sa approfittare”. A Roma, con termine quasi ironico, vengono detti “palazzinari”. Non vi sembra che oggi, con accelerazione spaventosa in questo inizio millennio, Termoli abbia sempre più il volto dei “palazzinari”?
Purtroppo il vocabolario italiano ha già adeguato i concetti alle tre macroregioni di origine leghista: nella “Padania” chi elude le regole urbanistiche, sia amministratore che costruttore, conserva il titolo di “amministratore” e “costruttore”; nelle regioni centrali, rappresentate da “Roma ladrona”, diventa “corrotto” il primo e “palazzinaro” il secondo, nel profondo sud sono unificati nell’unica parola “mafioso” o “camorrista” (abbiamo avuto ospite nel Molise un illustre rappresentante che come sindaco in Sicilia rilasciò circa 4.000 licenze edilizie intestate ad un gruppetto di meno di dieci vecchietti nullatenenti).
Se non altro ci rimane la consolazione del gioco del vocabolario. La realtà, però, non si lascia “colorare” dalle parole: è lì e rivela tutto il sottobosco da cui è sbocciata e da cui è stata nutrita, di varia natura e in varie stagioni. Siamo certi di una cosa: “l’humus” non si chiamava né potrà mai chiamarsi “legalità” o “trasparenza amministrativa”, comunque lo si vorrà denominare; ad ognuno la libertà di scelta, il vocabolario è già stato addomesticato da tempo; ognuno attinga liberamente. La verità rimane, però, come dicevano i medioevali “adeguatio intellectus ad rem”(piena corrispondenza tra intelletto e realtà). ☺
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