La mela cotogna era considerata dai Greci simbolo dell’amore e della fertilità: nell’iconografia antica, infatti, spesso Venere è raffigurata con questo frutto in mano, in quanto pegno d’amore per gli innamorati. Riferisce Plutarco che, secondo un’usanza popolare, la sposa ne doveva mangiare una prima di salire sul letto nuziale affinché la prima notte fosse più gradevole. Anche Virgilio parla di questo frutto: “Con una mela mi colpisce Galatea, scherzosa fanciulla, e fugge verso i salici, ma prima desidera essere vista”. E l’usanza di gettare una mela cotogna, per invitare all’amore, era ancora viva tra i Serbi all’inizio del secolo scorso.
La mela cotogna la ritroviamo ancora protagonista nella storia di Aconzio e Cidippe, narrata dall’antico poeta greco Callimaco. Il giovane Aconzio aveva incontrato nel tempio di Artemide la fanciulla Cidippe e se ne era innamorato. Astutamente gettò ai piedi della ragazza un pomo con la scritta “Per Artemide giuro di sposare Aconzio”. Cidippe raccolse il frutto e lesse l’iscrizione, pronunciando senza volerlo un irrevocabile giuramento. Il padre l’aveva però destinata ad un altro marito; e per tre volte, al sopraggiungere del giorno delle nozze, la ragazza venne colta da una febbre misteriosa. Alla fine il padre, conosciuta la storia, si decise a concedere la figlia in sposa ad Aconzio.
Questo frutto era molto amato anche dagli Arabi, tanto da ispirare loro diverse poesie, come quella di un visir vissuto nel X secolo in Andalusia:
È di color giallo, quasi portasse una tunica di narciso,
e profuma come muschio di penetrante aroma.
Dell’annata ha il profumo e la stessa consistenza del cuore;
ma dell’amante appassionato e macilento ha il colore.
Sono conosciuti, fin dall’antichità, due gruppi di cotogni nettamente distinti gli uni dagli altri: l’uno produce frutti che nella forma richiamano le pere, in quanto piuttosto allungati; l’altro dà vita a frutti che ricordano le mele perché presentano una forma rotondeggiante, tanto che molti le chiamano rispettivamente mela e pera cotogna, nella convinzione che si tratti di specie differenti, mentre in realtà sono varietà diverse, ma nell’ambito di un’unica specie.
Il cotogno (Cydonia vulgaris Pers.) è un albero od un arbusto tortuoso alto circa 3-4 metri, che naturalmente assume aspetto cespuglioso. Ha foglie ovali, intere, bianco-cotonose inferiormente; fiori solitari, bianco-rosati e frutti coperti di lanugine in superficie. Questa pianta spesso viene usata come portainnesto per altri alberi da frutto, specialmente il pero, quando si vuole conferire alla pianta innestata uno sviluppo minore, ottenendo come risultato anche una precoce messa a frutto.
La caratteristica più peculiare del cotogno è rappresentata dal fatto che i frutti non hanno il peduncolo: sono inseriti direttamente nel ramo e questo aspetto crea qualche difficoltà al momento della raccolta, obbligando ad usare le forbici per staccare i frutti senza rompere il ramo o rovinare il frutto stesso.
Per la raccolta bisogna attendere che il colore della buccia sia quasi giallo, ma evitare che diventi giallo oro, perché in pochi giorni la polpa acquisisce delle tonalità brune e perde qualsiasi succosità. I frutti, che, a seconda della varietà e dell’andamento climatico, si raccolgono da settembre a novembre, vanno depositati in un locale fresco, ben ventilato. La conservazione può protrarsi per un mese se la temperatura è sufficientemente fredda.
Il frutto, intensamente profumato, ha un’elevata consistenza, un sapore particolarmente aspro che ne rende difficile la consumazione come prodotto fresco, ma è ricco di fibre dietetiche ed è gradevole e digeribile come marmellata; presenta inoltre una media quantità di sali minerali e di vitamina C. La ricchezza di pectina facilita la sua trasformazione in confetture e specialmente nel tipo chiamato cotognata, di cui descriviamo il procedimento per la preparazione.
I frutti vanno sbucciati e tagliati a pezzetti, eliminando il torsolo. Dopo averli cotti in pochissima acqua, si frullano e si passano al setaccio per ottenere una massa omogenea. Si aggiunge alla polpa un uguale peso di zucchero. Si versa in pentola e si mette sul fuoco con una piccola quantità di acqua. Si cuoce a fiamma bassissima rimestando continuamente per due ore. Si ottiene così una pasta densa che va versata su una piastra o un vassoio, oppure in stampi, in modo che lo spessore non superi i due centimetri. Dopo aver lasciato asciugare e seccare la composta per alcuni giorni, la si cosparge di zucchero cristallino, la si rigira, si lascia completare l’essiccamento anche dall’altra parte e infine si taglia a cubetti. Impolverati con altro zucchero cristallino, questi cubetti vanno conservati in barattoli o scatole di latta.
La mela cotogna era considerata dai Greci simbolo dell’amore e della fertilità: nell’iconografia antica, infatti, spesso Venere è raffigurata con questo frutto in mano, in quanto pegno d’amore per gli innamorati. Riferisce Plutarco che, secondo un’usanza popolare, la sposa ne doveva mangiare una prima di salire sul letto nuziale affinché la prima notte fosse più gradevole. Anche Virgilio parla di questo frutto: “Con una mela mi colpisce Galatea, scherzosa fanciulla, e fugge verso i salici, ma prima desidera essere vista”. E l’usanza di gettare una mela cotogna, per invitare all’amore, era ancora viva tra i Serbi all’inizio del secolo scorso.
La mela cotogna la ritroviamo ancora protagonista nella storia di Aconzio e Cidippe, narrata dall’antico poeta greco Callimaco. Il giovane Aconzio aveva incontrato nel tempio di Artemide la fanciulla Cidippe e se ne era innamorato. Astutamente gettò ai piedi della ragazza un pomo con la scritta “Per Artemide giuro di sposare Aconzio”. Cidippe raccolse il frutto e lesse l’iscrizione, pronunciando senza volerlo un irrevocabile giuramento. Il padre l’aveva però destinata ad un altro marito; e per tre volte, al sopraggiungere del giorno delle nozze, la ragazza venne colta da una febbre misteriosa. Alla fine il padre, conosciuta la storia, si decise a concedere la figlia in sposa ad Aconzio.
Questo frutto era molto amato anche dagli Arabi, tanto da ispirare loro diverse poesie, come quella di un visir vissuto nel X secolo in Andalusia:
È di color giallo, quasi portasse una tunica di narciso,
e profuma come muschio di penetrante aroma.
Dell’annata ha il profumo e la stessa consistenza del cuore;
ma dell’amante appassionato e macilento ha il colore.
Sono conosciuti, fin dall’antichità, due gruppi di cotogni nettamente distinti gli uni dagli altri: l’uno produce frutti che nella forma richiamano le pere, in quanto piuttosto allungati; l’altro dà vita a frutti che ricordano le mele perché presentano una forma rotondeggiante, tanto che molti le chiamano rispettivamente mela e pera cotogna, nella convinzione che si tratti di specie differenti, mentre in realtà sono varietà diverse, ma nell’ambito di un’unica specie.
Il cotogno (Cydonia vulgaris Pers.) è un albero od un arbusto tortuoso alto circa 3-4 metri, che naturalmente assume aspetto cespuglioso. Ha foglie ovali, intere, bianco-cotonose inferiormente; fiori solitari, bianco-rosati e frutti coperti di lanugine in superficie. Questa pianta spesso viene usata come portainnesto per altri alberi da frutto, specialmente il pero, quando si vuole conferire alla pianta innestata uno sviluppo minore, ottenendo come risultato anche una precoce messa a frutto.
La caratteristica più peculiare del cotogno è rappresentata dal fatto che i frutti non hanno il peduncolo: sono inseriti direttamente nel ramo e questo aspetto crea qualche difficoltà al momento della raccolta, obbligando ad usare le forbici per staccare i frutti senza rompere il ramo o rovinare il frutto stesso.
Per la raccolta bisogna attendere che il colore della buccia sia quasi giallo, ma evitare che diventi giallo oro, perché in pochi giorni la polpa acquisisce delle tonalità brune e perde qualsiasi succosità. I frutti, che, a seconda della varietà e dell’andamento climatico, si raccolgono da settembre a novembre, vanno depositati in un locale fresco, ben ventilato. La conservazione può protrarsi per un mese se la temperatura è sufficientemente fredda.
Il frutto, intensamente profumato, ha un’elevata consistenza, un sapore particolarmente aspro che ne rende difficile la consumazione come prodotto fresco, ma è ricco di fibre dietetiche ed è gradevole e digeribile come marmellata; presenta inoltre una media quantità di sali minerali e di vitamina C. La ricchezza di pectina facilita la sua trasformazione in confetture e specialmente nel tipo chiamato cotognata, di cui descriviamo il procedimento per la preparazione.
I frutti vanno sbucciati e tagliati a pezzetti, eliminando il torsolo. Dopo averli cotti in pochissima acqua, si frullano e si passano al setaccio per ottenere una massa omogenea. Si aggiunge alla polpa un uguale peso di zucchero. Si versa in pentola e si mette sul fuoco con una piccola quantità di acqua. Si cuoce a fiamma bassissima rimestando continuamente per due ore. Si ottiene così una pasta densa che va versata su una piastra o un vassoio, oppure in stampi, in modo che lo spessore non superi i due centimetri. Dopo aver lasciato asciugare e seccare la composta per alcuni giorni, la si cosparge di zucchero cristallino, la si rigira, si lascia completare l’essiccamento anche dall’altra parte e infine si taglia a cubetti. Impolverati con altro zucchero cristallino, questi cubetti vanno conservati in barattoli o scatole di latta.
La mela cotogna era considerata dai Greci simbolo dell’amore e della fertilità: nell’iconografia antica, infatti, spesso Venere è raffigurata con questo frutto in mano, in quanto pegno d’amore per gli innamorati. Riferisce Plutarco che, secondo un’usanza popolare, la sposa ne doveva mangiare una prima di salire sul letto nuziale affinché la prima notte fosse più gradevole. Anche Virgilio parla di questo frutto: “Con una mela mi colpisce Galatea, scherzosa fanciulla, e fugge verso i salici, ma prima desidera essere vista”. E l’usanza di gettare una mela cotogna, per invitare all’amore, era ancora viva tra i Serbi all’inizio del secolo scorso.
La mela cotogna la ritroviamo ancora protagonista nella storia di Aconzio e Cidippe, narrata dall’antico poeta greco Callimaco. Il giovane Aconzio aveva incontrato nel tempio di Artemide la fanciulla Cidippe e se ne era innamorato. Astutamente gettò ai piedi della ragazza un pomo con la scritta “Per Artemide giuro di sposare Aconzio”. Cidippe raccolse il frutto e lesse l’iscrizione, pronunciando senza volerlo un irrevocabile giuramento. Il padre l’aveva però destinata ad un altro marito; e per tre volte, al sopraggiungere del giorno delle nozze, la ragazza venne colta da una febbre misteriosa. Alla fine il padre, conosciuta la storia, si decise a concedere la figlia in sposa ad Aconzio.
Questo frutto era molto amato anche dagli Arabi, tanto da ispirare loro diverse poesie, come quella di un visir vissuto nel X secolo in Andalusia:
È di color giallo, quasi portasse una tunica di narciso,
e profuma come muschio di penetrante aroma.
Dell’annata ha il profumo e la stessa consistenza del cuore;
ma dell’amante appassionato e macilento ha il colore.
Sono conosciuti, fin dall’antichità, due gruppi di cotogni nettamente distinti gli uni dagli altri: l’uno produce frutti che nella forma richiamano le pere, in quanto piuttosto allungati; l’altro dà vita a frutti che ricordano le mele perché presentano una forma rotondeggiante, tanto che molti le chiamano rispettivamente mela e pera cotogna, nella convinzione che si tratti di specie differenti, mentre in realtà sono varietà diverse, ma nell’ambito di un’unica specie.
Il cotogno (Cydonia vulgaris Pers.) è un albero od un arbusto tortuoso alto circa 3-4 metri, che naturalmente assume aspetto cespuglioso. Ha foglie ovali, intere, bianco-cotonose inferiormente; fiori solitari, bianco-rosati e frutti coperti di lanugine in superficie. Questa pianta spesso viene usata come portainnesto per altri alberi da frutto, specialmente il pero, quando si vuole conferire alla pianta innestata uno sviluppo minore, ottenendo come risultato anche una precoce messa a frutto.
La caratteristica più peculiare del cotogno è rappresentata dal fatto che i frutti non hanno il peduncolo: sono inseriti direttamente nel ramo e questo aspetto crea qualche difficoltà al momento della raccolta, obbligando ad usare le forbici per staccare i frutti senza rompere il ramo o rovinare il frutto stesso.
Per la raccolta bisogna attendere che il colore della buccia sia quasi giallo, ma evitare che diventi giallo oro, perché in pochi giorni la polpa acquisisce delle tonalità brune e perde qualsiasi succosità. I frutti, che, a seconda della varietà e dell’andamento climatico, si raccolgono da settembre a novembre, vanno depositati in un locale fresco, ben ventilato. La conservazione può protrarsi per un mese se la temperatura è sufficientemente fredda.
Il frutto, intensamente profumato, ha un’elevata consistenza, un sapore particolarmente aspro che ne rende difficile la consumazione come prodotto fresco, ma è ricco di fibre dietetiche ed è gradevole e digeribile come marmellata; presenta inoltre una media quantità di sali minerali e di vitamina C. La ricchezza di pectina facilita la sua trasformazione in confetture e specialmente nel tipo chiamato cotognata, di cui descriviamo il procedimento per la preparazione.
I frutti vanno sbucciati e tagliati a pezzetti, eliminando il torsolo. Dopo averli cotti in pochissima acqua, si frullano e si passano al setaccio per ottenere una massa omogenea. Si aggiunge alla polpa un uguale peso di zucchero. Si versa in pentola e si mette sul fuoco con una piccola quantità di acqua. Si cuoce a fiamma bassissima rimestando continuamente per due ore. Si ottiene così una pasta densa che va versata su una piastra o un vassoio, oppure in stampi, in modo che lo spessore non superi i due centimetri. Dopo aver lasciato asciugare e seccare la composta per alcuni giorni, la si cosparge di zucchero cristallino, la si rigira, si lascia completare l’essiccamento anche dall’altra parte e infine si taglia a cubetti. Impolverati con altro zucchero cristallino, questi cubetti vanno conservati in barattoli o scatole di latta.
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