Ci risiamo. A ridosso del Natale, oltre alla solita solfa delle mielosità pro consumi, si sono ripresentati anche i difensori d’ufficio dei valori cristiani (cattolici, per meglio dire), come quelli di Alleanza Nazionale, che a Milano hanno fatto dei gazebo (ormai di moda) per promuovere la difesa del presepe come espressione della virile cattolicità nostrana. Tutto questo mentre contemporaneamente va avanti l’implacabile conteggio virtuale dei morti per fame, per malattia e per guerra in ogni angolo del mondo in cui i valorosi esportatori di Libertà e Democrazia riescono ad allungare i tentacoli; a ciò si aggiunga, da noi, la caccia al rumeno e affini e, ultimamente, la prova provata che anche gli esseri umani del civile occidente sono considerati dal sistema produttivo alla stregua degli schiavi dell’antica Roma. Per cui la vita di chi lavora in fabbriche ormai in chiusura non vale un bel niente, se non una bella corona di fiori bianchi da parte dei “padroni” e le lacrime di coccodrillo di politici, ballerine e nani, ad uso e consumo delle parate televisive. E tutti poi a recarsi in Duomo per elevare preci con compunti prelati che denunciano i mali a correnti alterne.
Visto che siamo in tempo di Natale, anche noi vogliamo proporre il nostro presepe, a partire proprio da due soggetti tradizionali della sacra rappresentazione: il bue e l’asino. La loro presenza non è descritta nei vangeli, ma riecheggia le prime parole del profeta Isaia, che da subito va al cuore dei problemi del suo tempo: l’abbandono sostanziale di Dio e dei suoi valori: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is 1,2-3). E perché mai il popolo è oggetto di questo lamento? Quali sono i valori che ha dimenticato? Non di certo la difesa dell’identità religiosa, che formalmente è anzi difesa ed è mostrata nell’attenzione al culto e alla cura del tempio. Oggi potremmo dire: nel devoto ascolto, da parte dei “difensori della tradizione cristiana”, degli oracoli ecclesiastici che evidentemente non devono dare troppo fastidio a coloro che calpestano la dignità dei cittadini oppure, quando si tratta di richiami d’ufficio alla dottrina sociale della chiesa, sono presi per quello che sono, e cioè solo un gioco delle parti: la chiesa, si sente spesso ripetere da questi baciapile, “fa il suo mestiere”, che è come dire: “tanto, sono solo parole, perché nei comuni interessi sanno da che parte in realtà bisogna stare”.
Poco più avanti Isaia dice in modo chiaro qual è la posta in gioco, smascherando l’ipocrisia dei capi e dei falsi credenti: “Udite la parola del Signore, voi capi di Sòdoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra! ‘Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?’ dice il Signore. ‘Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue” (Is 1,10-15). Quando si vuole presentare il presepe come simbolo dei propri valori di riferimento, quindi, si sappia che ci si tira, come dicono i contadini, la zappa sui piedi, in quanto quei personaggi (una famiglia emigrante che non trova posto in casa e che poi dovrà fuggire perché braccata dal potere, due animali che stanno lì a ricordare l’abbandono delle vie di Dio da parte del popolo) significano tutt’altro che la compiacente benedizione clericale sul nostro stile di vita, che ha come veri valori di riferimento solo il consumo e la guerra per emergere sugli altri. Isaia ci indica la strada perché quei simboli tornino ad avere significato nella nostra società: “Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”.
L’impegno per la giustizia è l’unico modo per difendere i valori cristiani, visto che è di Gesù Cristo che si tratta e non di Babbo Natale e della sua religione consumistica.☺
mike.tartaglia@virgilio.it
Ci risiamo. A ridosso del Natale, oltre alla solita solfa delle mielosità pro consumi, si sono ripresentati anche i difensori d’ufficio dei valori cristiani (cattolici, per meglio dire), come quelli di Alleanza Nazionale, che a Milano hanno fatto dei gazebo (ormai di moda) per promuovere la difesa del presepe come espressione della virile cattolicità nostrana. Tutto questo mentre contemporaneamente va avanti l’implacabile conteggio virtuale dei morti per fame, per malattia e per guerra in ogni angolo del mondo in cui i valorosi esportatori di Libertà e Democrazia riescono ad allungare i tentacoli; a ciò si aggiunga, da noi, la caccia al rumeno e affini e, ultimamente, la prova provata che anche gli esseri umani del civile occidente sono considerati dal sistema produttivo alla stregua degli schiavi dell’antica Roma. Per cui la vita di chi lavora in fabbriche ormai in chiusura non vale un bel niente, se non una bella corona di fiori bianchi da parte dei “padroni” e le lacrime di coccodrillo di politici, ballerine e nani, ad uso e consumo delle parate televisive. E tutti poi a recarsi in Duomo per elevare preci con compunti prelati che denunciano i mali a correnti alterne.
Visto che siamo in tempo di Natale, anche noi vogliamo proporre il nostro presepe, a partire proprio da due soggetti tradizionali della sacra rappresentazione: il bue e l’asino. La loro presenza non è descritta nei vangeli, ma riecheggia le prime parole del profeta Isaia, che da subito va al cuore dei problemi del suo tempo: l’abbandono sostanziale di Dio e dei suoi valori: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is 1,2-3). E perché mai il popolo è oggetto di questo lamento? Quali sono i valori che ha dimenticato? Non di certo la difesa dell’identità religiosa, che formalmente è anzi difesa ed è mostrata nell’attenzione al culto e alla cura del tempio. Oggi potremmo dire: nel devoto ascolto, da parte dei “difensori della tradizione cristiana”, degli oracoli ecclesiastici che evidentemente non devono dare troppo fastidio a coloro che calpestano la dignità dei cittadini oppure, quando si tratta di richiami d’ufficio alla dottrina sociale della chiesa, sono presi per quello che sono, e cioè solo un gioco delle parti: la chiesa, si sente spesso ripetere da questi baciapile, “fa il suo mestiere”, che è come dire: “tanto, sono solo parole, perché nei comuni interessi sanno da che parte in realtà bisogna stare”.
Poco più avanti Isaia dice in modo chiaro qual è la posta in gioco, smascherando l’ipocrisia dei capi e dei falsi credenti: “Udite la parola del Signore, voi capi di Sòdoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra! ‘Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?’ dice il Signore. ‘Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue” (Is 1,10-15). Quando si vuole presentare il presepe come simbolo dei propri valori di riferimento, quindi, si sappia che ci si tira, come dicono i contadini, la zappa sui piedi, in quanto quei personaggi (una famiglia emigrante che non trova posto in casa e che poi dovrà fuggire perché braccata dal potere, due animali che stanno lì a ricordare l’abbandono delle vie di Dio da parte del popolo) significano tutt’altro che la compiacente benedizione clericale sul nostro stile di vita, che ha come veri valori di riferimento solo il consumo e la guerra per emergere sugli altri. Isaia ci indica la strada perché quei simboli tornino ad avere significato nella nostra società: “Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”.
L’impegno per la giustizia è l’unico modo per difendere i valori cristiani, visto che è di Gesù Cristo che si tratta e non di Babbo Natale e della sua religione consumistica.☺
Ci risiamo. A ridosso del Natale, oltre alla solita solfa delle mielosità pro consumi, si sono ripresentati anche i difensori d’ufficio dei valori cristiani (cattolici, per meglio dire), come quelli di Alleanza Nazionale, che a Milano hanno fatto dei gazebo (ormai di moda) per promuovere la difesa del presepe come espressione della virile cattolicità nostrana. Tutto questo mentre contemporaneamente va avanti l’implacabile conteggio virtuale dei morti per fame, per malattia e per guerra in ogni angolo del mondo in cui i valorosi esportatori di Libertà e Democrazia riescono ad allungare i tentacoli; a ciò si aggiunga, da noi, la caccia al rumeno e affini e, ultimamente, la prova provata che anche gli esseri umani del civile occidente sono considerati dal sistema produttivo alla stregua degli schiavi dell’antica Roma. Per cui la vita di chi lavora in fabbriche ormai in chiusura non vale un bel niente, se non una bella corona di fiori bianchi da parte dei “padroni” e le lacrime di coccodrillo di politici, ballerine e nani, ad uso e consumo delle parate televisive. E tutti poi a recarsi in Duomo per elevare preci con compunti prelati che denunciano i mali a correnti alterne.
Visto che siamo in tempo di Natale, anche noi vogliamo proporre il nostro presepe, a partire proprio da due soggetti tradizionali della sacra rappresentazione: il bue e l’asino. La loro presenza non è descritta nei vangeli, ma riecheggia le prime parole del profeta Isaia, che da subito va al cuore dei problemi del suo tempo: l’abbandono sostanziale di Dio e dei suoi valori: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is 1,2-3). E perché mai il popolo è oggetto di questo lamento? Quali sono i valori che ha dimenticato? Non di certo la difesa dell’identità religiosa, che formalmente è anzi difesa ed è mostrata nell’attenzione al culto e alla cura del tempio. Oggi potremmo dire: nel devoto ascolto, da parte dei “difensori della tradizione cristiana”, degli oracoli ecclesiastici che evidentemente non devono dare troppo fastidio a coloro che calpestano la dignità dei cittadini oppure, quando si tratta di richiami d’ufficio alla dottrina sociale della chiesa, sono presi per quello che sono, e cioè solo un gioco delle parti: la chiesa, si sente spesso ripetere da questi baciapile, “fa il suo mestiere”, che è come dire: “tanto, sono solo parole, perché nei comuni interessi sanno da che parte in realtà bisogna stare”.
Poco più avanti Isaia dice in modo chiaro qual è la posta in gioco, smascherando l’ipocrisia dei capi e dei falsi credenti: “Udite la parola del Signore, voi capi di Sòdoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra! ‘Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?’ dice il Signore. ‘Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue” (Is 1,10-15). Quando si vuole presentare il presepe come simbolo dei propri valori di riferimento, quindi, si sappia che ci si tira, come dicono i contadini, la zappa sui piedi, in quanto quei personaggi (una famiglia emigrante che non trova posto in casa e che poi dovrà fuggire perché braccata dal potere, due animali che stanno lì a ricordare l’abbandono delle vie di Dio da parte del popolo) significano tutt’altro che la compiacente benedizione clericale sul nostro stile di vita, che ha come veri valori di riferimento solo il consumo e la guerra per emergere sugli altri. Isaia ci indica la strada perché quei simboli tornino ad avere significato nella nostra società: “Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”.
L’impegno per la giustizia è l’unico modo per difendere i valori cristiani, visto che è di Gesù Cristo che si tratta e non di Babbo Natale e della sua religione consumistica.☺
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