il danno e la beffa
16 Aprile 2010 Share

il danno e la beffa

 

  Non si può certo dire che la drammatica vicenda delle morti alla Thys- sen Krupp abbia inciso sulla arroganza di un’impresa che ha omesso elementari regole di sicurezza che si stanno dimostrando la causa vera dell’incidente. Ciò che colpisce e che deve farci riflettere sono i profondi mutamenti indotti nelle persone da una logica selvaggia di arrampismo sociale che porta al totale disprezzo della vita e della dignità delle persone in nome del profitto e della propria personale ricerca di spazio nelle alte gerarchie delle imprese.

 «Dopo il danno, la beffa. Nessuno di noi va in tv, come loro asseriscono, per cercare di diventare un divo». Antonio Boccuzzi operaio della Thyssen Krupp ha commentato le indiscrezioni trapelate su un rapporto interno dei manager dell'acciaieria sequestrato dai pm torinesi nello stabilimento di Terni semplificando il problema con la semplicità delle persone che non hanno la necessità di usare parole roboanti.

Non so cosa pensa il Presidente di Confindustria, il presidente della Federmeccanica e i tanti soloni che sono prodighi di lacrime di coccodrillo quando la televisione è pronta a riprenderli. Mi torna in mente una vecchia canzone oggi rivoluzionaria che diceva: "Che roba contessa, all'industria di Aldo/ han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti;/ volevano avere i salari aumentati,/ gridavano, pensi, di esser sfruttati./ E quando è arrivata la polizia/ quei pazzi straccioni han gridato più forte,/ di sangue han sporcato il cortile e le porte,/ chissà quanto tempo ci vorrà per pulire…" e penso all’attualità di quelle parole di fronte al silenzio di chi dovrebbe indignarsi.

Si dirà che ci vuole prudenza, che si tratta di fughe di notizie, che la fondatezza è tutta da provare. No, credo che sia accaduto proprio tutto ciò che è trapelato e che se non è ammissibile nessuna delle analisi politiche che emergerebbero dalle carte sequestrate – e ciò sarebbe sufficiente per una sdegnata risposta dello Stato – la cosa che deve indignarci è il tentativo di far tacere le voci di quei lavoratori che si sono assunti la responsabilità di denunciare il “loro punto di vista soggettivo” su quanto è accaduto a fronte di tanta omertà colpevole quando fatti simili, magari a spese di qualche immigrato, insanguinano i luoghi di lavoro.

Quella dei lavoratori è la “loro soggettività”. E’ la soggettività di chi conosce il ciclo produttivo, di chi ne percepisce le problematiche e i rischi, di chi scopre che la manutenzione è obsoleta, di chi troppe volte continua ad operare “per il bene dell’impresa” anche quando tutte le condizioni indurrebbero a fermarsi.

Nelle sue dichiarazioni Antonio Boccuzzi operaio della Thyssen Krupp spiega che alla televisione nessuno è andato sperando in uno scoop mediatico, ma semplicemente «…per raccontare cosa non funzionò quella notte e cosa non funzionava in quel periodo. Credo che sia ancora una volta una totale mancanza di sensibilità e di umanità da parte dell'azienda. Non riesco a capire che tipo di provvedimenti possano prendere perché nessuno ha raccontato cose non vere».

Per questo le carte sequestrate non possono seguire la strada del “segreto istruttorio” ma vanno rese pubbliche. Le stesse, come ha sottolineato la FIOM, dovranno costituire “un’ulteriore aggravante delle responsabilità aziendali” garantendo la tutela da ogni intimidazione per i lavoratori che saranno chiamati a testimoniare nel procedimento penale.

Dal Presidente di Confindustria, prodigo di tanti consigli per garantire lo sviluppo delle imprese, ci aspettavamo un segnale forte, deciso, coerente. Una presa di distanza totale, senza appello, da un’azienda che ha calpestato non solo le regole del gioco ma che per giustificare se stessa ha tirato in campo i Comunisti, un governo che cerca di depistare l’attenzione della gente, i lavoratori che dalla fabbrica si sarebbero trasferiti in troppi studi televisivi a cercare una notorietà pari a quella di tanti “Velini o Veline”.

Montezemolo, purtroppo, era impegnato altrove.

La discussione sulla sicurezza è ben più complessa e troppo spesso se non c’è la drammatica rilevanza determinata dalla morte, tutto passa in secondo piano anche se solo una benevola fatalità ha magari evitato eventi luttuosi. Il 29 dicembre sulla tratta Napoli-Campobasso un Minuetto è deragliato. Fortunatamente il fatto è accaduto in un tratto di linea che prevede una velocità ridotta, per fortuna a bordo c’erano solo pochissimi passeggeri, per fortuna nella corsa di oltre 200 metri fatta a scavalco dei binari non s’incontravano curve, per fortuna il personale del treno non si è fatto prendere dal panico, per fortuna e solo per fortuna. Qualche settimana prima avevamo denunciato il degrado del servizio, l’assenza di manutenzione, la precarietà del materiale rotabile. Ma in quella occasione si è semplicemente “rotto il binario” come se fosse normale che anche i binari, fatalmente, possano rompersi. No, il binario si è sicuramente rotto per scarsa manutenzione, per la logica del risparmio a prescindere dalle condizioni di sicurezza, per quel fattore K che fa anche di un’azienda pubblica un’impresa dove ciò che conta non è il servizio sociale svolto ma semplicemente l’equilibrio tra costi e ricavi, raggiunto magari con scarsi interventi sulla sicurezza. Se poi le tratte interessate sono i vecchi Rami Secchi allora tutto è consentito e giustificabile.

interrogativi

Per questo mi pongo due interrogativi semplici. La prima domanda da farsi è se Trenitalia e Rete FS hanno successivamente attivato tutte le iniziative idonee a verificare lo stato complessivo dell’“armamento” e se oggi i treni che percorrono quella tratta lo fanno in assoluta sicurezza. La seconda domanda è se Trenitalia e Rete FS sono in grado di diagnosticare con certezza le ragioni che hanno determinato l’incidente. Questo è ciò che chiediamo a prescindere dalle inchieste in corso richiamando alla responsabilità la Regione che definisce il contratto di servizio con Trenitalia.

Oggi le questioni della sicurezza travalicano sempre più la semplice sfera 

degli infortuni e degli eventi traumatici che producono anche la morte. La scarsa attenzione alle malattie professionali è un fatto rilevante determinato dalla non contestualità tra evento o somma di eventi e condizione patologica. Sottolineo questo argomento che viene portato alla nostra attenzione dal crescendo di iniziativa popolare nel denunciare la straordinarietà di fenomeni legati alle condizioni ambientali. Le malattie professionali colpiscono chi lavora in determinate condizioni e colpiscono, quando gli effetti sono sulla condizione ambientale, le comunità che vivono la realtà territoriale.

Esemplifico il problema parlando di un fatto concreto legato ad una impresa che nel venafrano deve gestire un termovalorizzatore. I Cittadini sono preoccupati, esprimono riserve, considerano insufficienti i controlli effettuati, chiedono il pieno rispetto della normativa italiana e di quella comunitaria. Ad oggi non è dato di sapere se le condizioni di assoluta sicurezza esistano e un impianto che dovrebbe essere “amico dei cittadini” rischia di trasformarsi in uno strumento che i cittadini stessi vivono con terrore. Ora al sindacato si pongono due dilemmi: garantire il lavoro e la sua sicurezza, garantire la salute sia all’interno che all’esterno dell’impresa.

Per questo vale la regola che è indispensabile effettuare con rigore tutti i controlli e, se solo esiste un’ombra di dubbio, aggiungere a quelli “normali” anche quelli straordinari. Il lavoro si difende garantendolo, ma non esiste lavoro garantito se noi non assumiamo radicalmente il concetto della sicurezza quale discrimine inderogabile.

Quello della sicurezza rimane il problema di questa nostra società e della condizione del lavoro. I dati dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni sul Lavoro sono ovviamente importanti per capire “come vanno le cose”, ma non sono sufficienti. I numeri, in particolare quelli degli incidenti denunciati, dovrebbero essere rapportati a tutti gli altri indicatori del lavoro: ore lavorate, età della persona colpita dall’infortunio, riferimento alla formazione che ciascun infortunato ha effettivamente ricevuto, condizione nel ciclo produttivo del lavoratore che ha subito l’infortunio. Per questo, nell’applica- zione della nuova normativa e dell’intesa Stato-Regioni sulla Sicurezza del lavoro, sarà utile impegnare l’intero Sistema Istituzionale, gli Istituti preposti, le associazioni datoriali a scavare anche nella realtà molisana per favorire una civiltà nuova del lavoro che non consideri le persone semplicemente matricole aziendali. ☺

i.stellon@gmail.com

 

 

 

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