Spazzatura, rifiuti, quando non monnezza, che già nel nome porta la bruttura degli scarti lerci, quasi ne emana il tanfo. Ho voglia di fuggire da tanto rumore: stordisce, nausea, atterra. Mentre la radio rintrona ossessiva di pattume e la televisione affissa il suo obiettivo sui cassonetti e sull’informe paccottiglia color fango rovesciati lungo le sponde stradali di qualsivoglia paesello campano, una spinta uguale ma contraria mi volge lo sguardo lontano di lì, alla ricerca di un che di etereo e puro. In mente si diffonde un bianco terso e dal bianco si scontorna gradualmente l’immagine ad acquarello di un principino biondo, i capelli lievemente arruffati, i pantaloni immacolati un po’sbuffati sotto il ginocchio, gli stivali, un fiore per cravatta, aerea sopra le spalle una mantella azzurra che lascia intravedere la fodera rosa, e due stelline sugli omeri per decorazione; il principino impugna una spada, meglio un fioretto, e vi si appoggia con garbo. È la copertina de Il Piccolo Principe, ricordo indelebile dell’infanzia: l’ho ripreso in questi giorni di baruffe ecologiche e divorato in un’ora, perché anche Il Piccolo Principe si consuma facile, solo non produce scarti, se mai sedimenta pensieri ed imprime in memoria un gusto dolce e lento.
In Italia Il Piccolo Principe si legge alle scuole elementari, raramente alle medie, mai, che io sappia, alle superiori, figurarsi suggerirne la lettura ad un adulto: roba per bimbi, insomma. Eppure, è un racconto che nel tono da favola, nell’allure incantata, nel candore del linguaggio raccoglie uno spessore e una profondità di pensiero da prestarsi all’iniziazione e alla educazione spirituale di ogni età, forse quella degli adulti meglio che quella dei piccoli.
L’equivoco sulla destinazione del racconto lo fonda, consapevole e ironico però, lo stesso autore, Antoine de Saint Exupéry, che nella dedica iniziale afferma: “…domando scusa ai bambini per aver dedicato questo libro a una persona grande, ho una scusa seria: questa persona grande è il mio miglior amico”. Offerte ulteriori scuse ai lettori prescelti, i bambini appunto, aggiunge poi: “E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati dei bambini una volta (Ma pochi se ne ricordano)”.
Ecco, dunque, fin dalla pagina di guardia, risolto l’arcano e svelata l’inconsistenza del fraintendimento sulla destinazione effettiva del libro. La distinzione, la dicotomia anzi, adulti-bambini, che scandisce l’intero percorso della storia – quante volte con formule leggermente variate i grandi risultano nelle osservazioni del principino “strani” o “bizzarri” -, non ha ragioni anagrafiche, vanta una consistenza ben più sostanziale: dalla parte dei bambini sono coloro che possiedono lo spirito dell’infanzia, che sanno guardare oltre l’apparenza e la pura materia, che sono capaci di amare, di prendersi cura, di “addomesticare”(!) l’altro senza previo patto di scambio; i grandi, invece, sono tutti quanti hanno perso la purezza del cuore e la spontaneità delle impressioni, quelli che si arrestano all’aspetto più vilmente sensibile della realtà, che non vedono se non attraverso gli occhi del corpo (ma “l’essenziale è invisibile” agli occhi, si ripete persuaso il piccolo principe): nel loro ordine materiale di valori il mondo diventa necessariamente questione di cifre e di interessi.
La trama
Lineare e quasi scarna la trama del racconto: un aviatore è costretto ad un atterraggio di fortuna in pieno deserto; qui l’incontro sorprendente con un piccolo principe, arrivato sulla Terra da un altro pianeta; dopo l’iniziale ritrosia, dell’aviatore adulto più che del piccolo principe, tra i due è intensa amicizia: col racconto delle sue esperienze di viaggi interplanetari, segnati dalla conoscenza di strambi personaggi, tutti emblematici delle attitudini del mondo adulto, con le sue parole e i suoi gesti semplici e schietti il principino, mentre lega a sé d’affetto l’aviatore, lo istruisce, impartendogli memorabili lezioni di vita, di pensiero, di sentimento; infine, inevitabile, il momento struggente dell’addio.
Informata ad una fusione senza sbavature e dissonanze tra il racconto di meraviglie e la sentenza gnomica, tracciata di un simbolismo da parabola che ricorda ora il Vangelo ora Voltaire, la breve storia affronta una varietà
di temi che interessano la vita dell’uomo: la libertà, lo scarto tra sostanza ed apparenza, la bellezza, la poesia, il dolore, la malvagità, la solitudine, il tempo, il rapporto tra teoria ed esperienza. Ma motivo conduttore dell’intera narrazione è l’amore.
Nel corso del suo pellegrinaggio per gli spazi del mondo, il piccolo principe si avvede stupito che gli adulti sono stretti da vizi, difetti, manie, deformazioni professionali pure, con un’unica, monotona origine: l’egoismo, che azzoppa l’anima e rende infelici. Del signore Cremisi, rappresentante emerito dei grandi, il piccolo principe dice: “…non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete ‘Io sono un uomo serio! Io sono un uomo serio!’ e si gonfia di orgoglio. Ma non è un uomo, è un fungo”. È la presenza di un essere amato, per contro, ad arricchire l’uomo interiore e a nobilitare di senso l’esistenza; e amare significa creare legami, addomesticare, come ben insegna al principino la volpe che egli ha conosciuto sulla Terra: “…se tu mi addomestichi” dice la volpe “noi avremo bisogno l’una dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. L’intera storia de Il Piccolo Principe è un po’il resoconto di un apprendistato d’amore, perché anche l’amore va imparato, secondo un itinerario che rimescola difficoltà, indugi, progressi e successi, come tutti gli apprendimenti. E il piccolo principe ha dovuto impararlo l’amore. Egli ha amato subito e spontaneamente la rosa venuta un giorno ad abbellire il suo minuscolo pianeta, non importa che la rosa, vanitosa e altezzosa, lo irriti, talvolta; il principino la accudisce, la nutre, la protegge dalle intemperie. Pure, il suo è un amore troppo giovane, facile e comodo addirittura, non sottoposto ancora ad alcuna prova di resistenza. Sarà la separazione dalla rosa, durante il viaggio interplanetario, ad approfondire e irrobustire il suo affetto: da ingenuo credeva che la sua rosa fosse unica al mondo, e d’improvviso scopre che “in un solo giardino, cinquemila rose somigliano tutte alla sua”; piange, perciò, e si dispera, credendo perduto il suo amore. La volpe, allora, gli insegna la perfezione dell’amore, gli spiega che per essere unici al mondo non è necessario essere concretamente unici nello spazio, ma è sufficiente amare ed essere amati in modo unico; e il piccolo principe, ammaestrato, così si rivolge alle tante rose uguali alla sua: “…Certamente un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparato col paravento…Perché è la mia rosa”. Infine, alla volpe che lo ammonisce: “È il tempo che tu hai perso per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”, il principino fa eco pensieroso ma convinto: “È il tempo che ho perduto per la mia rosa…”.
Il Piccolo Principe è un libro a dimensione contemplativa, fatto di silenzi e di sguardi, di raccoglimento, di lentezza, anche quando è in questione il movimento della ricerca, del sapere, del progresso spirituale e tecnologico, che de Saint Exupéry, da buon aeronauta, non poteva non apprezzare, conoscendone tuttavia limiti e rischi.
Voglio trascrivervi un breve episodio, che prediligo tra gli altri; siamo al capitolo XXIII: “Buon giorno”, disse il piccolo principe. “Buon giorno”, disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete… Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe. “E’ una grossa economia di tempo”, disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto i calcoli. Si risparmiano cinquantatre minuti alla settimana”. “E che cosa se ne fa di questi cinquantatre minuti?”. “Se ne fa quel che si vuole…”. “Io”, disse il piccolo principe, “se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”.
Mi avviavo a chiudere e mi è venuta in mente una frase pronunciata da un soldato nel film La sottile linea rossa: era sul frontespizio di un libro molto bello, che ho letto di recente (Mal di pietre, di Milena Agus: ve lo consiglio). Diceva la frase: Se io non ti incontrerò mai, fa’ che senta almeno la tua mancanza.
Dedicato, questa volta, al Piccolo Principe. ☺
LucianaZingaro@libero.it
Spazzatura, rifiuti, quando non monnezza, che già nel nome porta la bruttura degli scarti lerci, quasi ne emana il tanfo. Ho voglia di fuggire da tanto rumore: stordisce, nausea, atterra. Mentre la radio rintrona ossessiva di pattume e la televisione affissa il suo obiettivo sui cassonetti e sull’informe paccottiglia color fango rovesciati lungo le sponde stradali di qualsivoglia paesello campano, una spinta uguale ma contraria mi volge lo sguardo lontano di lì, alla ricerca di un che di etereo e puro. In mente si diffonde un bianco terso e dal bianco si scontorna gradualmente l’immagine ad acquarello di un principino biondo, i capelli lievemente arruffati, i pantaloni immacolati un po’sbuffati sotto il ginocchio, gli stivali, un fiore per cravatta, aerea sopra le spalle una mantella azzurra che lascia intravedere la fodera rosa, e due stelline sugli omeri per decorazione; il principino impugna una spada, meglio un fioretto, e vi si appoggia con garbo. È la copertina de Il Piccolo Principe, ricordo indelebile dell’infanzia: l’ho ripreso in questi giorni di baruffe ecologiche e divorato in un’ora, perché anche Il Piccolo Principe si consuma facile, solo non produce scarti, se mai sedimenta pensieri ed imprime in memoria un gusto dolce e lento.
In Italia Il Piccolo Principe si legge alle scuole elementari, raramente alle medie, mai, che io sappia, alle superiori, figurarsi suggerirne la lettura ad un adulto: roba per bimbi, insomma. Eppure, è un racconto che nel tono da favola, nell’allure incantata, nel candore del linguaggio raccoglie uno spessore e una profondità di pensiero da prestarsi all’iniziazione e alla educazione spirituale di ogni età, forse quella degli adulti meglio che quella dei piccoli.
L’equivoco sulla destinazione del racconto lo fonda, consapevole e ironico però, lo stesso autore, Antoine de Saint Exupéry, che nella dedica iniziale afferma: “…domando scusa ai bambini per aver dedicato questo libro a una persona grande, ho una scusa seria: questa persona grande è il mio miglior amico”. Offerte ulteriori scuse ai lettori prescelti, i bambini appunto, aggiunge poi: “E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati dei bambini una volta (Ma pochi se ne ricordano)”.
Ecco, dunque, fin dalla pagina di guardia, risolto l’arcano e svelata l’inconsistenza del fraintendimento sulla destinazione effettiva del libro. La distinzione, la dicotomia anzi, adulti-bambini, che scandisce l’intero percorso della storia – quante volte con formule leggermente variate i grandi risultano nelle osservazioni del principino “strani” o “bizzarri” -, non ha ragioni anagrafiche, vanta una consistenza ben più sostanziale: dalla parte dei bambini sono coloro che possiedono lo spirito dell’infanzia, che sanno guardare oltre l’apparenza e la pura materia, che sono capaci di amare, di prendersi cura, di “addomesticare”(!) l’altro senza previo patto di scambio; i grandi, invece, sono tutti quanti hanno perso la purezza del cuore e la spontaneità delle impressioni, quelli che si arrestano all’aspetto più vilmente sensibile della realtà, che non vedono se non attraverso gli occhi del corpo (ma “l’essenziale è invisibile” agli occhi, si ripete persuaso il piccolo principe): nel loro ordine materiale di valori il mondo diventa necessariamente questione di cifre e di interessi.
La trama
Lineare e quasi scarna la trama del racconto: un aviatore è costretto ad un atterraggio di fortuna in pieno deserto; qui l’incontro sorprendente con un piccolo principe, arrivato sulla Terra da un altro pianeta; dopo l’iniziale ritrosia, dell’aviatore adulto più che del piccolo principe, tra i due è intensa amicizia: col racconto delle sue esperienze di viaggi interplanetari, segnati dalla conoscenza di strambi personaggi, tutti emblematici delle attitudini del mondo adulto, con le sue parole e i suoi gesti semplici e schietti il principino, mentre lega a sé d’affetto l’aviatore, lo istruisce, impartendogli memorabili lezioni di vita, di pensiero, di sentimento; infine, inevitabile, il momento struggente dell’addio.
Informata ad una fusione senza sbavature e dissonanze tra il racconto di meraviglie e la sentenza gnomica, tracciata di un simbolismo da parabola che ricorda ora il Vangelo ora Voltaire, la breve storia affronta una varietà
di temi che interessano la vita dell’uomo: la libertà, lo scarto tra sostanza ed apparenza, la bellezza, la poesia, il dolore, la malvagità, la solitudine, il tempo, il rapporto tra teoria ed esperienza. Ma motivo conduttore dell’intera narrazione è l’amore.
Nel corso del suo pellegrinaggio per gli spazi del mondo, il piccolo principe si avvede stupito che gli adulti sono stretti da vizi, difetti, manie, deformazioni professionali pure, con un’unica, monotona origine: l’egoismo, che azzoppa l’anima e rende infelici. Del signore Cremisi, rappresentante emerito dei grandi, il piccolo principe dice: “…non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete ‘Io sono un uomo serio! Io sono un uomo serio!’ e si gonfia di orgoglio. Ma non è un uomo, è un fungo”. È la presenza di un essere amato, per contro, ad arricchire l’uomo interiore e a nobilitare di senso l’esistenza; e amare significa creare legami, addomesticare, come ben insegna al principino la volpe che egli ha conosciuto sulla Terra: “…se tu mi addomestichi” dice la volpe “noi avremo bisogno l’una dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. L’intera storia de Il Piccolo Principe è un po’il resoconto di un apprendistato d’amore, perché anche l’amore va imparato, secondo un itinerario che rimescola difficoltà, indugi, progressi e successi, come tutti gli apprendimenti. E il piccolo principe ha dovuto impararlo l’amore. Egli ha amato subito e spontaneamente la rosa venuta un giorno ad abbellire il suo minuscolo pianeta, non importa che la rosa, vanitosa e altezzosa, lo irriti, talvolta; il principino la accudisce, la nutre, la protegge dalle intemperie. Pure, il suo è un amore troppo giovane, facile e comodo addirittura, non sottoposto ancora ad alcuna prova di resistenza. Sarà la separazione dalla rosa, durante il viaggio interplanetario, ad approfondire e irrobustire il suo affetto: da ingenuo credeva che la sua rosa fosse unica al mondo, e d’improvviso scopre che “in un solo giardino, cinquemila rose somigliano tutte alla sua”; piange, perciò, e si dispera, credendo perduto il suo amore. La volpe, allora, gli insegna la perfezione dell’amore, gli spiega che per essere unici al mondo non è necessario essere concretamente unici nello spazio, ma è sufficiente amare ed essere amati in modo unico; e il piccolo principe, ammaestrato, così si rivolge alle tante rose uguali alla sua: “…Certamente un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparato col paravento…Perché è la mia rosa”. Infine, alla volpe che lo ammonisce: “È il tempo che tu hai perso per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”, il principino fa eco pensieroso ma convinto: “È il tempo che ho perduto per la mia rosa…”.
Il Piccolo Principe è un libro a dimensione contemplativa, fatto di silenzi e di sguardi, di raccoglimento, di lentezza, anche quando è in questione il movimento della ricerca, del sapere, del progresso spirituale e tecnologico, che de Saint Exupéry, da buon aeronauta, non poteva non apprezzare, conoscendone tuttavia limiti e rischi.
Voglio trascrivervi un breve episodio, che prediligo tra gli altri; siamo al capitolo XXIII: “Buon giorno”, disse il piccolo principe. “Buon giorno”, disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete… Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe. “E’ una grossa economia di tempo”, disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto i calcoli. Si risparmiano cinquantatre minuti alla settimana”. “E che cosa se ne fa di questi cinquantatre minuti?”. “Se ne fa quel che si vuole…”. “Io”, disse il piccolo principe, “se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”.
Mi avviavo a chiudere e mi è venuta in mente una frase pronunciata da un soldato nel film La sottile linea rossa: era sul frontespizio di un libro molto bello, che ho letto di recente (Mal di pietre, di Milena Agus: ve lo consiglio). Diceva la frase: Se io non ti incontrerò mai, fa’ che senta almeno la tua mancanza.
Spazzatura, rifiuti, quando non monnezza, che già nel nome porta la bruttura degli scarti lerci, quasi ne emana il tanfo. Ho voglia di fuggire da tanto rumore: stordisce, nausea, atterra. Mentre la radio rintrona ossessiva di pattume e la televisione affissa il suo obiettivo sui cassonetti e sull’informe paccottiglia color fango rovesciati lungo le sponde stradali di qualsivoglia paesello campano, una spinta uguale ma contraria mi volge lo sguardo lontano di lì, alla ricerca di un che di etereo e puro. In mente si diffonde un bianco terso e dal bianco si scontorna gradualmente l’immagine ad acquarello di un principino biondo, i capelli lievemente arruffati, i pantaloni immacolati un po’sbuffati sotto il ginocchio, gli stivali, un fiore per cravatta, aerea sopra le spalle una mantella azzurra che lascia intravedere la fodera rosa, e due stelline sugli omeri per decorazione; il principino impugna una spada, meglio un fioretto, e vi si appoggia con garbo. È la copertina de Il Piccolo Principe, ricordo indelebile dell’infanzia: l’ho ripreso in questi giorni di baruffe ecologiche e divorato in un’ora, perché anche Il Piccolo Principe si consuma facile, solo non produce scarti, se mai sedimenta pensieri ed imprime in memoria un gusto dolce e lento.
In Italia Il Piccolo Principe si legge alle scuole elementari, raramente alle medie, mai, che io sappia, alle superiori, figurarsi suggerirne la lettura ad un adulto: roba per bimbi, insomma. Eppure, è un racconto che nel tono da favola, nell’allure incantata, nel candore del linguaggio raccoglie uno spessore e una profondità di pensiero da prestarsi all’iniziazione e alla educazione spirituale di ogni età, forse quella degli adulti meglio che quella dei piccoli.
L’equivoco sulla destinazione del racconto lo fonda, consapevole e ironico però, lo stesso autore, Antoine de Saint Exupéry, che nella dedica iniziale afferma: “…domando scusa ai bambini per aver dedicato questo libro a una persona grande, ho una scusa seria: questa persona grande è il mio miglior amico”. Offerte ulteriori scuse ai lettori prescelti, i bambini appunto, aggiunge poi: “E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati dei bambini una volta (Ma pochi se ne ricordano)”.
Ecco, dunque, fin dalla pagina di guardia, risolto l’arcano e svelata l’inconsistenza del fraintendimento sulla destinazione effettiva del libro. La distinzione, la dicotomia anzi, adulti-bambini, che scandisce l’intero percorso della storia – quante volte con formule leggermente variate i grandi risultano nelle osservazioni del principino “strani” o “bizzarri” -, non ha ragioni anagrafiche, vanta una consistenza ben più sostanziale: dalla parte dei bambini sono coloro che possiedono lo spirito dell’infanzia, che sanno guardare oltre l’apparenza e la pura materia, che sono capaci di amare, di prendersi cura, di “addomesticare”(!) l’altro senza previo patto di scambio; i grandi, invece, sono tutti quanti hanno perso la purezza del cuore e la spontaneità delle impressioni, quelli che si arrestano all’aspetto più vilmente sensibile della realtà, che non vedono se non attraverso gli occhi del corpo (ma “l’essenziale è invisibile” agli occhi, si ripete persuaso il piccolo principe): nel loro ordine materiale di valori il mondo diventa necessariamente questione di cifre e di interessi.
La trama
Lineare e quasi scarna la trama del racconto: un aviatore è costretto ad un atterraggio di fortuna in pieno deserto; qui l’incontro sorprendente con un piccolo principe, arrivato sulla Terra da un altro pianeta; dopo l’iniziale ritrosia, dell’aviatore adulto più che del piccolo principe, tra i due è intensa amicizia: col racconto delle sue esperienze di viaggi interplanetari, segnati dalla conoscenza di strambi personaggi, tutti emblematici delle attitudini del mondo adulto, con le sue parole e i suoi gesti semplici e schietti il principino, mentre lega a sé d’affetto l’aviatore, lo istruisce, impartendogli memorabili lezioni di vita, di pensiero, di sentimento; infine, inevitabile, il momento struggente dell’addio.
Informata ad una fusione senza sbavature e dissonanze tra il racconto di meraviglie e la sentenza gnomica, tracciata di un simbolismo da parabola che ricorda ora il Vangelo ora Voltaire, la breve storia affronta una varietà
di temi che interessano la vita dell’uomo: la libertà, lo scarto tra sostanza ed apparenza, la bellezza, la poesia, il dolore, la malvagità, la solitudine, il tempo, il rapporto tra teoria ed esperienza. Ma motivo conduttore dell’intera narrazione è l’amore.
Nel corso del suo pellegrinaggio per gli spazi del mondo, il piccolo principe si avvede stupito che gli adulti sono stretti da vizi, difetti, manie, deformazioni professionali pure, con un’unica, monotona origine: l’egoismo, che azzoppa l’anima e rende infelici. Del signore Cremisi, rappresentante emerito dei grandi, il piccolo principe dice: “…non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete ‘Io sono un uomo serio! Io sono un uomo serio!’ e si gonfia di orgoglio. Ma non è un uomo, è un fungo”. È la presenza di un essere amato, per contro, ad arricchire l’uomo interiore e a nobilitare di senso l’esistenza; e amare significa creare legami, addomesticare, come ben insegna al principino la volpe che egli ha conosciuto sulla Terra: “…se tu mi addomestichi” dice la volpe “noi avremo bisogno l’una dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. L’intera storia de Il Piccolo Principe è un po’il resoconto di un apprendistato d’amore, perché anche l’amore va imparato, secondo un itinerario che rimescola difficoltà, indugi, progressi e successi, come tutti gli apprendimenti. E il piccolo principe ha dovuto impararlo l’amore. Egli ha amato subito e spontaneamente la rosa venuta un giorno ad abbellire il suo minuscolo pianeta, non importa che la rosa, vanitosa e altezzosa, lo irriti, talvolta; il principino la accudisce, la nutre, la protegge dalle intemperie. Pure, il suo è un amore troppo giovane, facile e comodo addirittura, non sottoposto ancora ad alcuna prova di resistenza. Sarà la separazione dalla rosa, durante il viaggio interplanetario, ad approfondire e irrobustire il suo affetto: da ingenuo credeva che la sua rosa fosse unica al mondo, e d’improvviso scopre che “in un solo giardino, cinquemila rose somigliano tutte alla sua”; piange, perciò, e si dispera, credendo perduto il suo amore. La volpe, allora, gli insegna la perfezione dell’amore, gli spiega che per essere unici al mondo non è necessario essere concretamente unici nello spazio, ma è sufficiente amare ed essere amati in modo unico; e il piccolo principe, ammaestrato, così si rivolge alle tante rose uguali alla sua: “…Certamente un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparato col paravento…Perché è la mia rosa”. Infine, alla volpe che lo ammonisce: “È il tempo che tu hai perso per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”, il principino fa eco pensieroso ma convinto: “È il tempo che ho perduto per la mia rosa…”.
Il Piccolo Principe è un libro a dimensione contemplativa, fatto di silenzi e di sguardi, di raccoglimento, di lentezza, anche quando è in questione il movimento della ricerca, del sapere, del progresso spirituale e tecnologico, che de Saint Exupéry, da buon aeronauta, non poteva non apprezzare, conoscendone tuttavia limiti e rischi.
Voglio trascrivervi un breve episodio, che prediligo tra gli altri; siamo al capitolo XXIII: “Buon giorno”, disse il piccolo principe. “Buon giorno”, disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete… Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe. “E’ una grossa economia di tempo”, disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto i calcoli. Si risparmiano cinquantatre minuti alla settimana”. “E che cosa se ne fa di questi cinquantatre minuti?”. “Se ne fa quel che si vuole…”. “Io”, disse il piccolo principe, “se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”.
Mi avviavo a chiudere e mi è venuta in mente una frase pronunciata da un soldato nel film La sottile linea rossa: era sul frontespizio di un libro molto bello, che ho letto di recente (Mal di pietre, di Milena Agus: ve lo consiglio). Diceva la frase: Se io non ti incontrerò mai, fa’ che senta almeno la tua mancanza.
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