Questa volta lo spunto nasce da un articolo apparso su un quotidiano, pagine interne, ma non sportive; questa non è una storia di semplice sport, ma una storia di vita. Di come un allenatore di provincia sia capace di educare i suoi atleti, i suoi bambini di nove o dieci anni, e di come dovrebbero essere gli allenatori. Sempre e ovunque.
Gabriele ha paura e trema. Ha appena sbagliato un canestro decisivo. Gli avversari esultano, il derby sembra ormai perso. A Gabriele scendono lacrime, poi scoppia in un pianto silenzioso. Un bambino di nove anni con quel pallone da pallacanestro in mano da lanciare verso il canestro. La paura è troppo forte per lui. Pensa “E se sbaglio? I miei compagni sono tutti più bravi di me, io non voglio restare in campo”. E allora … “Allenatore … basta … io esco, lascio tutto, scusatemi”.
Il coach ferma il tempo, lui non ci sta, entra in campo si avvicina a Gabriele, lo bacia sulla fronte e gli sussurra: “Credo in te Gabri. Adesso riprovaci”. Al bimbo la paura svanisce di colpo, prende la palla, due palleggi, un respiro e poi il tiro… quanto è lungo il viaggio verso il canestro. C’è tutto in quella sfera a spicchi che s’insacca e consegna la vittoria, il riscatto. Questo secondo tiro libero è la storia di una vita. Lo sport che sorride. La gioia, la vittoria, il riscatto. È il riscatto del bene, di un amico che arriva al momento giusto.
È la storia dell’allenatore Matteo Bruni e del piccolo Gabriele. A Pontedera si gioca la sfida giovanile fra Basket Calcinaia e i locali della Juve. C’è un mondo intero fra quelle magliette sudate: un derby appassionato, lottato punto a punto. Il cronometro scorre, Gabriele prenda la palla, subisce un fallo a dieci secondi dal termine. Non ci sono dubbi: va in lunetta e ha a disposizione due tiri liberi. Il risultato in quel momento è di perfetta parità. Chissà quanti pensieri, quanti sogni nella testa di un bambino. I compagni sperano in lui, i dispetti degli avversari,“Sbagli, sbagli lo sai”. Il primo libero va a vuoto e il mondo crolla con una lacrima.
“Ai miei ragazzi – spiega coach Bruni – dico sempre che non devono credere in se stessi, ma che sono io a credere in loro. È proprio questo che ho detto a Gabriele. Che credevo in lui”. Al bacio del coach il piccolo ritira i propositi di lasciare il campo e asciuga il volto. Riprova mettendo a segno il punto che vale il sorpasso: la vittoria.
Là sugli spalti qualcuno aveva scattato una foto: la testa piegata in basso di Gabriele e il coach che la tiene fra le mani. Una immagine che vale più di tanti trattati sullo sport. Se volete vederla entrate in rete e la troverete. Bellissima immagine di sport, quello dei piccoli campioni. Qui signori c’è la vita.☺
Questa volta lo spunto nasce da un articolo apparso su un quotidiano, pagine interne, ma non sportive; questa non è una storia di semplice sport, ma una storia di vita. Di come un allenatore di provincia sia capace di educare i suoi atleti, i suoi bambini di nove o dieci anni, e di come dovrebbero essere gli allenatori. Sempre e ovunque.
Gabriele ha paura e trema. Ha appena sbagliato un canestro decisivo. Gli avversari esultano, il derby sembra ormai perso. A Gabriele scendono lacrime, poi scoppia in un pianto silenzioso. Un bambino di nove anni con quel pallone da pallacanestro in mano da lanciare verso il canestro. La paura è troppo forte per lui. Pensa “E se sbaglio? I miei compagni sono tutti più bravi di me, io non voglio restare in campo”. E allora … “Allenatore … basta … io esco, lascio tutto, scusatemi”.
Il coach ferma il tempo, lui non ci sta, entra in campo si avvicina a Gabriele, lo bacia sulla fronte e gli sussurra: “Credo in te Gabri. Adesso riprovaci”. Al bimbo la paura svanisce di colpo, prende la palla, due palleggi, un respiro e poi il tiro… quanto è lungo il viaggio verso il canestro. C’è tutto in quella sfera a spicchi che s’insacca e consegna la vittoria, il riscatto. Questo secondo tiro libero è la storia di una vita. Lo sport che sorride. La gioia, la vittoria, il riscatto. È il riscatto del bene, di un amico che arriva al momento giusto.
È la storia dell’allenatore Matteo Bruni e del piccolo Gabriele. A Pontedera si gioca la sfida giovanile fra Basket Calcinaia e i locali della Juve. C’è un mondo intero fra quelle magliette sudate: un derby appassionato, lottato punto a punto. Il cronometro scorre, Gabriele prenda la palla, subisce un fallo a dieci secondi dal termine. Non ci sono dubbi: va in lunetta e ha a disposizione due tiri liberi. Il risultato in quel momento è di perfetta parità. Chissà quanti pensieri, quanti sogni nella testa di un bambino. I compagni sperano in lui, i dispetti degli avversari,“Sbagli, sbagli lo sai”. Il primo libero va a vuoto e il mondo crolla con una lacrima.
“Ai miei ragazzi – spiega coach Bruni – dico sempre che non devono credere in se stessi, ma che sono io a credere in loro. È proprio questo che ho detto a Gabriele. Che credevo in lui”. Al bacio del coach il piccolo ritira i propositi di lasciare il campo e asciuga il volto. Riprova mettendo a segno il punto che vale il sorpasso: la vittoria.
Là sugli spalti qualcuno aveva scattato una foto: la testa piegata in basso di Gabriele e il coach che la tiene fra le mani. Una immagine che vale più di tanti trattati sullo sport. Se volete vederla entrate in rete e la troverete. Bellissima immagine di sport, quello dei piccoli campioni. Qui signori c’è la vita.☺
Il coach ferma il tempo, entra in campo si avvicina a Gabriele, lo bacia sulla fronte e gli sussurra: “Credo in te Gabri. Adesso riprovaci”. Al bimbo la paura svanisce di colpo, prende la palla, due palleggi, un respiro e poi il tiro... quanto è lungo il viaggio verso il canestro. Questo tiro libero è la storia di una vita. Lo sport che sorride. La gioia, la vittoria, il riscatto. È il riscatto del bene, di un amico che arriva al momento giusto.
Questa volta lo spunto nasce da un articolo apparso su un quotidiano, pagine interne, ma non sportive; questa non è una storia di semplice sport, ma una storia di vita. Di come un allenatore di provincia sia capace di educare i suoi atleti, i suoi bambini di nove o dieci anni, e di come dovrebbero essere gli allenatori. Sempre e ovunque.
Gabriele ha paura e trema. Ha appena sbagliato un canestro decisivo. Gli avversari esultano, il derby sembra ormai perso. A Gabriele scendono lacrime, poi scoppia in un pianto silenzioso. Un bambino di nove anni con quel pallone da pallacanestro in mano da lanciare verso il canestro. La paura è troppo forte per lui. Pensa “E se sbaglio? I miei compagni sono tutti più bravi di me, io non voglio restare in campo”. E allora … “Allenatore … basta … io esco, lascio tutto, scusatemi”.
Il coach ferma il tempo, lui non ci sta, entra in campo si avvicina a Gabriele, lo bacia sulla fronte e gli sussurra: “Credo in te Gabri. Adesso riprovaci”. Al bimbo la paura svanisce di colpo, prende la palla, due palleggi, un respiro e poi il tiro… quanto è lungo il viaggio verso il canestro. C’è tutto in quella sfera a spicchi che s’insacca e consegna la vittoria, il riscatto. Questo secondo tiro libero è la storia di una vita. Lo sport che sorride. La gioia, la vittoria, il riscatto. È il riscatto del bene, di un amico che arriva al momento giusto.
È la storia dell’allenatore Matteo Bruni e del piccolo Gabriele. A Pontedera si gioca la sfida giovanile fra Basket Calcinaia e i locali della Juve. C’è un mondo intero fra quelle magliette sudate: un derby appassionato, lottato punto a punto. Il cronometro scorre, Gabriele prenda la palla, subisce un fallo a dieci secondi dal termine. Non ci sono dubbi: va in lunetta e ha a disposizione due tiri liberi. Il risultato in quel momento è di perfetta parità. Chissà quanti pensieri, quanti sogni nella testa di un bambino. I compagni sperano in lui, i dispetti degli avversari,“Sbagli, sbagli lo sai”. Il primo libero va a vuoto e il mondo crolla con una lacrima.
“Ai miei ragazzi – spiega coach Bruni – dico sempre che non devono credere in se stessi, ma che sono io a credere in loro. È proprio questo che ho detto a Gabriele. Che credevo in lui”. Al bacio del coach il piccolo ritira i propositi di lasciare il campo e asciuga il volto. Riprova mettendo a segno il punto che vale il sorpasso: la vittoria.
Là sugli spalti qualcuno aveva scattato una foto: la testa piegata in basso di Gabriele e il coach che la tiene fra le mani. Una immagine che vale più di tanti trattati sullo sport. Se volete vederla entrate in rete e la troverete. Bellissima immagine di sport, quello dei piccoli campioni. Qui signori c’è la vita.☺
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