Il tema dei migranti ci permette di riflettere sul significato di diritti umani, accoglienza, solidarietà, arroccamento su posizioni localistiche, ecc…
Siccome le parole non sono neutre è importante che usiamo il termine “Migranti” e non clandestini o extracomunitari, parole che sottolineano irregolarità amministrative o differenze separanti.
I migranti lasciano il loro paese per ragioni diverse: povertà e fame; mancanza di lavoro, educazione, futuro; discriminazione e repressione politica; degradazioni dell’am- biente; vita disperante; guadagnare denaro per mantenere familiari, pericoli vari…
Per molti decenni tanti Italiani (e non solo meridionali) sono stati costretti ad emigrare in altre nazioni, dall’Europa al Canada, al Nord America, all’America Latina, all’Australia; molto spesso hanno trovato condizioni di vita assai difficili, a volte tragiche. San Martino ne ha lunga esperienza. Questa memoria storica sembra essersi dileguata, come tante altre.
Da tempo i migranti che arrivano in Italia sono rappresentati e spesso vissuti, come un pericolo per la sicurezza del nostro paese, un problema di ordine pubblico, un inquinamento culturale e sociale, in breve gente da respingere con varie barriere (legislative, di comportamenti ed atteggiamenti, fisiche) come fossero animali nocivi che possono infestare. Frasi fatte che purtroppo allignano come verità indiscutibili indicano i migranti come: un peso per l’economia, una rovina per le comunità, una massa di musulmani e terroristi, sono tutti malavitosi e criminali, … Purtroppo una miscela deleteria di ignoranza, diffidenza e concentrazione miope sul proprio ristretto particolare accoglie; nutre e rinforza questa rappresentazione dei migranti. Moltissimi cittadini Italiani ignorano o vogliono dimenticare che in Italia gli immigrati con documenti regolari contribuiscono per circa il 10% al PIL, che negli ultimi anni hanno acquistato circa il 15% degli immobili (quasi sempre in periferie e piccoli centri da rivitalizzare); svolgono lavori non più appetiti dagli Italiani (in agricoltura, industria, edilizia, assistenza familiare, …); sono circa il 10% dei lavoratori dipendenti; pagano più tasse e contributi previdenziali di quanto prendano in prestazioni e servizi sociali; riequilibrano in parte una società invecchiata (gli Italiani con più di 65 anni sono più numerosi di chi ha meno di 15 anni, …). Non fanno distinzione fra migrazioni forzate di tipo politico (i rifugiati, dallo status riconosciuto dall’ONU), immigrati con documenti regolari e migranti senza documenti d’identità del paese in cui son migrati. Peggio ancora, non considerano che i migranti, invece di incontrare una diffusa solidarietà e giustizia, quasi sempre vivono forti sofferenze: in primis lo sradicamento da propria cultura, lingua, consuetudini; l’affrontare diffidenza, sospetto, rifiuto, respingimenti forzati in situazioni atroci, l’essere “diversi” e pertanto emarginati; ecc… E in tutto questo mantengono viva la possibilità/speranza di ritornare al proprio paese con migliori prospettive di vita.
Clima e migrazioni
Qui in breve desidero richiamare l’attenzione sulle forzate Migrazioni indotte da Cambiamenti del Clima che moltissimi studiosi prevedono a breve, a causa delle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici.
Occorre ricordare che la Climatologia si occupa del clima su scala lunga dei tempi (100, 1000,10.000, 100.000, milioni di anni) mentre la Meteorologia riguarda il tempo su scala breve (giorni con previsioni accurate fino a circa 72 ore, analisi su mesi ed anni).
Tra principali fatti misurati che sono alla base dei Cambiamenti del Clima, nel periodo dal 1880 al 2010 (cioè dalla rivoluzione industriale in poi), vi sono: – aumento uguale a + 0.9° C nella temperatura superficiale media globale della Terra (Riscalda- mento Globale o Global Warming), dovuto essenzialmente ad attività umane; – aumento del 38% nella concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, oggi è di circa 390 parti per milione (ppm); – aumento del 150% nella concentrazione di metano (CH4) in atmosfera, oggi è di circa 1800 parti per miliardo (ppb); – fusione di grandi aree di permafrost (o permagelo, suolo perennemente gelato anche in profondità) circum-artico; – fusione parziale dei ghiacci dell’Artico con apertura estiva dei mitici passaggi a Nord Ovest e a Nord Est e dei ghiacci dell’Antartide e della Groenlandia; – ritiro dei ghiacciai delle Alpi; – emissioni di colonne di bolle di metano dai mari artici (Siberia e isole Svalbard).
La 16sima Conferenza dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (Canun Mexixo dicembre 2010) ha ufficialmente riconosciuto “… il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e la maggior parte dell’aumento misurato nella temperatura globale media (della Terra) a partire dalla metà del XX secolo è, con altissima probabilità, dovuto al misurato aumento nella concentrazione dei gas ad effetto serra di origine antropica, come documentato dal IV Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (2007)”.
Le conseguenze dei Cambiamenti Climatici e del Riscaldamento Globale sono permanenti in termini di vita umana e producono picchi altissimi di emergenza, … Tra le conseguenze più nefaste vi sono: – cambiamenti nelle precipitazioni (siccità, incendi ed inondazioni saranno più frequenti con conseguenti problemi sulle culture agricole; – aumento di eventi estremi (alluvioni, tifoni, tempeste tropicali, …); – crescita del livello delle acque oceaniche e marine a causa dell’espansione termica dell’acqua: le popolazioni che vivono su coste saranno inondate e sommerse; – acidificazione delle acque marine con danni alla fauna acquatica; salinizzazione delle falde acquifere costiere con problemi per le risorse di acqua potabile; – carenze alimentari e di acqua per i paesi più poveri e senza risorse tecnologiche; – tropicalizzazione del Mediterraneo; – diffusione di insetti e malattie tropicali; – …
Anche se l’emissione di Gas ad Effetto Serra (GHG) di origine antropica fosse subito fermata (scenario di fatto impossibile viste le difficoltà nel raggiungere il contenimento nelle emissioni di questi gas), la concentrazione di CO2 in atmosfera ha una vita-media di circa 100 anni e quindi il suo impatto continua ad esistere per lungo tempo.
In sintesi, globalmente sia gli ecosistemi che i sistemi umani saranno destabilizzati riguardo a risorse alimentari, salute, acqua da bere, qualità dell’aria, desertificazione, biodiversità, forestazione, … Ne deriveranno conflitti e migrazioni. Proiezioni ragionevoli ed affidabili prevedono che tra circa cento e duecento milioni di persone saranno forzate a migrare, per ragioni ambientali, entro il 2050 o forse anche prima, a seconda della capacità di contenere e mitigare i Cambiamenti Climatici e il Riscaldamento Globale. Il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) indica, come aree più interessate, l’Africa sub-sahariana, pari dell’Asia, il golfo del Bengala e le aree già aride dell’America Centrale. Le regioni più vulnerabili dal punto di geografico e/o politico-economico saranno più esposte; i paesi in via di sviluppo, che hanno molto minori responsabilità nelle emissioni di gas serra in atmosfera e subiranno le conseguenze più dure. Queste centinaia di milioni di eco-profughi, a differenza dei rifugiati per ragioni politiche, non hanno ancora uno status giuridico ben definito. Saranno considerati profughi da calamità naturali o clandestini illegali? E la responsabilità dei Cambiamenti Climatici e del Riscaldamento Globale è di tutti noi, in primis i paesi industrializzati.
Che fare? Occorre prepararsi ben in anticipo, dal punto di vista culturale, sociale, logistico. Il mutamento di atteggiamento culturale è forse il più complesso giacché implica la costruzione di una cultura per l’altro in cui si vive lo straniero come opportunità di conoscenza ed integrazione, non si rimane arroccati a credere che le proprie radici storiche e i propri comportamenti siano i migliori, si depongono pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, ci si riconosce come appartenenti ad una unica ed sola umanità.
Lavorando da anni nell’Africa sub-sahariana, nel Nord Uganda devastato da 25 anni di guerra civile, per la ricostruzione della educazione scientifica, ho imparato la parola Ubuntu, termine di origine Bantu che esprime un classico concetto Africano, di ampio significato. Desidero condividere con voi la mia comprensione di questa parola: “Io sono ciò che sono in grazie a ciò che siamo tutti. Spessissimo pensiamo di essere individui separati dagli altri, invece siamo tutti interconnessi, ciò che facciamo influenza l’intero mondo. Chi è Ubuntu è aperto e disponibile verso gli altri, non se ne sente minacciato, sa che appartiene ad un tutto più grande e si sente diminuito quando altri umani sono disprezzati, umiliati, oppressi e non aiutati”.
Mi auguro che ognuno di noi possa diventare Ubuntu, non solo per la questione dei Migranti attuali e futuri, ma anche per la salvaguardia di Nostra Madre Terra. ☺
*Università di Napoli "Federico II" Dipartimento Scienze Fisiche
sassi@na.infn.it
Il tema dei migranti ci permette di riflettere sul significato di diritti umani, accoglienza, solidarietà, arroccamento su posizioni localistiche, ecc…
Siccome le parole non sono neutre è importante che usiamo il termine “Migranti” e non clandestini o extracomunitari, parole che sottolineano irregolarità amministrative o differenze separanti.
I migranti lasciano il loro paese per ragioni diverse: povertà e fame; mancanza di lavoro, educazione, futuro; discriminazione e repressione politica; degradazioni dell’am- biente; vita disperante; guadagnare denaro per mantenere familiari, pericoli vari…
Per molti decenni tanti Italiani (e non solo meridionali) sono stati costretti ad emigrare in altre nazioni, dall’Europa al Canada, al Nord America, all’America Latina, all’Australia; molto spesso hanno trovato condizioni di vita assai difficili, a volte tragiche. San Martino ne ha lunga esperienza. Questa memoria storica sembra essersi dileguata, come tante altre.
Da tempo i migranti che arrivano in Italia sono rappresentati e spesso vissuti, come un pericolo per la sicurezza del nostro paese, un problema di ordine pubblico, un inquinamento culturale e sociale, in breve gente da respingere con varie barriere (legislative, di comportamenti ed atteggiamenti, fisiche) come fossero animali nocivi che possono infestare. Frasi fatte che purtroppo allignano come verità indiscutibili indicano i migranti come: un peso per l’economia, una rovina per le comunità, una massa di musulmani e terroristi, sono tutti malavitosi e criminali, … Purtroppo una miscela deleteria di ignoranza, diffidenza e concentrazione miope sul proprio ristretto particolare accoglie; nutre e rinforza questa rappresentazione dei migranti. Moltissimi cittadini Italiani ignorano o vogliono dimenticare che in Italia gli immigrati con documenti regolari contribuiscono per circa il 10% al PIL, che negli ultimi anni hanno acquistato circa il 15% degli immobili (quasi sempre in periferie e piccoli centri da rivitalizzare); svolgono lavori non più appetiti dagli Italiani (in agricoltura, industria, edilizia, assistenza familiare, …); sono circa il 10% dei lavoratori dipendenti; pagano più tasse e contributi previdenziali di quanto prendano in prestazioni e servizi sociali; riequilibrano in parte una società invecchiata (gli Italiani con più di 65 anni sono più numerosi di chi ha meno di 15 anni, …). Non fanno distinzione fra migrazioni forzate di tipo politico (i rifugiati, dallo status riconosciuto dall’ONU), immigrati con documenti regolari e migranti senza documenti d’identità del paese in cui son migrati. Peggio ancora, non considerano che i migranti, invece di incontrare una diffusa solidarietà e giustizia, quasi sempre vivono forti sofferenze: in primis lo sradicamento da propria cultura, lingua, consuetudini; l’affrontare diffidenza, sospetto, rifiuto, respingimenti forzati in situazioni atroci, l’essere “diversi” e pertanto emarginati; ecc… E in tutto questo mantengono viva la possibilità/speranza di ritornare al proprio paese con migliori prospettive di vita.
Clima e migrazioni
Qui in breve desidero richiamare l’attenzione sulle forzate Migrazioni indotte da Cambiamenti del Clima che moltissimi studiosi prevedono a breve, a causa delle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici.
Occorre ricordare che la Climatologia si occupa del clima su scala lunga dei tempi (100, 1000,10.000, 100.000, milioni di anni) mentre la Meteorologia riguarda il tempo su scala breve (giorni con previsioni accurate fino a circa 72 ore, analisi su mesi ed anni).
Tra principali fatti misurati che sono alla base dei Cambiamenti del Clima, nel periodo dal 1880 al 2010 (cioè dalla rivoluzione industriale in poi), vi sono: – aumento uguale a + 0.9° C nella temperatura superficiale media globale della Terra (Riscalda- mento Globale o Global Warming), dovuto essenzialmente ad attività umane; – aumento del 38% nella concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, oggi è di circa 390 parti per milione (ppm); – aumento del 150% nella concentrazione di metano (CH4) in atmosfera, oggi è di circa 1800 parti per miliardo (ppb); – fusione di grandi aree di permafrost (o permagelo, suolo perennemente gelato anche in profondità) circum-artico; – fusione parziale dei ghiacci dell’Artico con apertura estiva dei mitici passaggi a Nord Ovest e a Nord Est e dei ghiacci dell’Antartide e della Groenlandia; – ritiro dei ghiacciai delle Alpi; – emissioni di colonne di bolle di metano dai mari artici (Siberia e isole Svalbard).
La 16sima Conferenza dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (Canun Mexixo dicembre 2010) ha ufficialmente riconosciuto “… il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e la maggior parte dell’aumento misurato nella temperatura globale media (della Terra) a partire dalla metà del XX secolo è, con altissima probabilità, dovuto al misurato aumento nella concentrazione dei gas ad effetto serra di origine antropica, come documentato dal IV Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (2007)”.
Le conseguenze dei Cambiamenti Climatici e del Riscaldamento Globale sono permanenti in termini di vita umana e producono picchi altissimi di emergenza, … Tra le conseguenze più nefaste vi sono: – cambiamenti nelle precipitazioni (siccità, incendi ed inondazioni saranno più frequenti con conseguenti problemi sulle culture agricole; – aumento di eventi estremi (alluvioni, tifoni, tempeste tropicali, …); – crescita del livello delle acque oceaniche e marine a causa dell’espansione termica dell’acqua: le popolazioni che vivono su coste saranno inondate e sommerse; – acidificazione delle acque marine con danni alla fauna acquatica; salinizzazione delle falde acquifere costiere con problemi per le risorse di acqua potabile; – carenze alimentari e di acqua per i paesi più poveri e senza risorse tecnologiche; – tropicalizzazione del Mediterraneo; – diffusione di insetti e malattie tropicali; – …
Anche se l’emissione di Gas ad Effetto Serra (GHG) di origine antropica fosse subito fermata (scenario di fatto impossibile viste le difficoltà nel raggiungere il contenimento nelle emissioni di questi gas), la concentrazione di CO2 in atmosfera ha una vita-media di circa 100 anni e quindi il suo impatto continua ad esistere per lungo tempo.
In sintesi, globalmente sia gli ecosistemi che i sistemi umani saranno destabilizzati riguardo a risorse alimentari, salute, acqua da bere, qualità dell’aria, desertificazione, biodiversità, forestazione, … Ne deriveranno conflitti e migrazioni. Proiezioni ragionevoli ed affidabili prevedono che tra circa cento e duecento milioni di persone saranno forzate a migrare, per ragioni ambientali, entro il 2050 o forse anche prima, a seconda della capacità di contenere e mitigare i Cambiamenti Climatici e il Riscaldamento Globale. Il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) indica, come aree più interessate, l’Africa sub-sahariana, pari dell’Asia, il golfo del Bengala e le aree già aride dell’America Centrale. Le regioni più vulnerabili dal punto di geografico e/o politico-economico saranno più esposte; i paesi in via di sviluppo, che hanno molto minori responsabilità nelle emissioni di gas serra in atmosfera e subiranno le conseguenze più dure. Queste centinaia di milioni di eco-profughi, a differenza dei rifugiati per ragioni politiche, non hanno ancora uno status giuridico ben definito. Saranno considerati profughi da calamità naturali o clandestini illegali? E la responsabilità dei Cambiamenti Climatici e del Riscaldamento Globale è di tutti noi, in primis i paesi industrializzati.
Che fare? Occorre prepararsi ben in anticipo, dal punto di vista culturale, sociale, logistico. Il mutamento di atteggiamento culturale è forse il più complesso giacché implica la costruzione di una cultura per l’altro in cui si vive lo straniero come opportunità di conoscenza ed integrazione, non si rimane arroccati a credere che le proprie radici storiche e i propri comportamenti siano i migliori, si depongono pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, ci si riconosce come appartenenti ad una unica ed sola umanità.
Lavorando da anni nell’Africa sub-sahariana, nel Nord Uganda devastato da 25 anni di guerra civile, per la ricostruzione della educazione scientifica, ho imparato la parola Ubuntu, termine di origine Bantu che esprime un classico concetto Africano, di ampio significato. Desidero condividere con voi la mia comprensione di questa parola: “Io sono ciò che sono in grazie a ciò che siamo tutti. Spessissimo pensiamo di essere individui separati dagli altri, invece siamo tutti interconnessi, ciò che facciamo influenza l’intero mondo. Chi è Ubuntu è aperto e disponibile verso gli altri, non se ne sente minacciato, sa che appartiene ad un tutto più grande e si sente diminuito quando altri umani sono disprezzati, umiliati, oppressi e non aiutati”.
Mi auguro che ognuno di noi possa diventare Ubuntu, non solo per la questione dei Migranti attuali e futuri, ma anche per la salvaguardia di Nostra Madre Terra. ☺
*Università di Napoli "Federico II" Dipartimento Scienze Fisiche
Il tema dei migranti ci permette di riflettere sul significato di diritti umani, accoglienza, solidarietà, arroccamento su posizioni localistiche, ecc…
Siccome le parole non sono neutre è importante che usiamo il termine “Migranti” e non clandestini o extracomunitari, parole che sottolineano irregolarità amministrative o differenze separanti.
I migranti lasciano il loro paese per ragioni diverse: povertà e fame; mancanza di lavoro, educazione, futuro; discriminazione e repressione politica; degradazioni dell’am- biente; vita disperante; guadagnare denaro per mantenere familiari, pericoli vari…
Per molti decenni tanti Italiani (e non solo meridionali) sono stati costretti ad emigrare in altre nazioni, dall’Europa al Canada, al Nord America, all’America Latina, all’Australia; molto spesso hanno trovato condizioni di vita assai difficili, a volte tragiche. San Martino ne ha lunga esperienza. Questa memoria storica sembra essersi dileguata, come tante altre.
Da tempo i migranti che arrivano in Italia sono rappresentati e spesso vissuti, come un pericolo per la sicurezza del nostro paese, un problema di ordine pubblico, un inquinamento culturale e sociale, in breve gente da respingere con varie barriere (legislative, di comportamenti ed atteggiamenti, fisiche) come fossero animali nocivi che possono infestare. Frasi fatte che purtroppo allignano come verità indiscutibili indicano i migranti come: un peso per l’economia, una rovina per le comunità, una massa di musulmani e terroristi, sono tutti malavitosi e criminali, … Purtroppo una miscela deleteria di ignoranza, diffidenza e concentrazione miope sul proprio ristretto particolare accoglie; nutre e rinforza questa rappresentazione dei migranti. Moltissimi cittadini Italiani ignorano o vogliono dimenticare che in Italia gli immigrati con documenti regolari contribuiscono per circa il 10% al PIL, che negli ultimi anni hanno acquistato circa il 15% degli immobili (quasi sempre in periferie e piccoli centri da rivitalizzare); svolgono lavori non più appetiti dagli Italiani (in agricoltura, industria, edilizia, assistenza familiare, …); sono circa il 10% dei lavoratori dipendenti; pagano più tasse e contributi previdenziali di quanto prendano in prestazioni e servizi sociali; riequilibrano in parte una società invecchiata (gli Italiani con più di 65 anni sono più numerosi di chi ha meno di 15 anni, …). Non fanno distinzione fra migrazioni forzate di tipo politico (i rifugiati, dallo status riconosciuto dall’ONU), immigrati con documenti regolari e migranti senza documenti d’identità del paese in cui son migrati. Peggio ancora, non considerano che i migranti, invece di incontrare una diffusa solidarietà e giustizia, quasi sempre vivono forti sofferenze: in primis lo sradicamento da propria cultura, lingua, consuetudini; l’affrontare diffidenza, sospetto, rifiuto, respingimenti forzati in situazioni atroci, l’essere “diversi” e pertanto emarginati; ecc… E in tutto questo mantengono viva la possibilità/speranza di ritornare al proprio paese con migliori prospettive di vita.
Clima e migrazioni
Qui in breve desidero richiamare l’attenzione sulle forzate Migrazioni indotte da Cambiamenti del Clima che moltissimi studiosi prevedono a breve, a causa delle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici.
Occorre ricordare che la Climatologia si occupa del clima su scala lunga dei tempi (100, 1000,10.000, 100.000, milioni di anni) mentre la Meteorologia riguarda il tempo su scala breve (giorni con previsioni accurate fino a circa 72 ore, analisi su mesi ed anni).
Tra principali fatti misurati che sono alla base dei Cambiamenti del Clima, nel periodo dal 1880 al 2010 (cioè dalla rivoluzione industriale in poi), vi sono: – aumento uguale a + 0.9° C nella temperatura superficiale media globale della Terra (Riscalda- mento Globale o Global Warming), dovuto essenzialmente ad attività umane; – aumento del 38% nella concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, oggi è di circa 390 parti per milione (ppm); – aumento del 150% nella concentrazione di metano (CH4) in atmosfera, oggi è di circa 1800 parti per miliardo (ppb); – fusione di grandi aree di permafrost (o permagelo, suolo perennemente gelato anche in profondità) circum-artico; – fusione parziale dei ghiacci dell’Artico con apertura estiva dei mitici passaggi a Nord Ovest e a Nord Est e dei ghiacci dell’Antartide e della Groenlandia; – ritiro dei ghiacciai delle Alpi; – emissioni di colonne di bolle di metano dai mari artici (Siberia e isole Svalbard).
La 16sima Conferenza dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (Canun Mexixo dicembre 2010) ha ufficialmente riconosciuto “… il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e la maggior parte dell’aumento misurato nella temperatura globale media (della Terra) a partire dalla metà del XX secolo è, con altissima probabilità, dovuto al misurato aumento nella concentrazione dei gas ad effetto serra di origine antropica, come documentato dal IV Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (2007)”.
Le conseguenze dei Cambiamenti Climatici e del Riscaldamento Globale sono permanenti in termini di vita umana e producono picchi altissimi di emergenza, … Tra le conseguenze più nefaste vi sono: – cambiamenti nelle precipitazioni (siccità, incendi ed inondazioni saranno più frequenti con conseguenti problemi sulle culture agricole; – aumento di eventi estremi (alluvioni, tifoni, tempeste tropicali, …); – crescita del livello delle acque oceaniche e marine a causa dell’espansione termica dell’acqua: le popolazioni che vivono su coste saranno inondate e sommerse; – acidificazione delle acque marine con danni alla fauna acquatica; salinizzazione delle falde acquifere costiere con problemi per le risorse di acqua potabile; – carenze alimentari e di acqua per i paesi più poveri e senza risorse tecnologiche; – tropicalizzazione del Mediterraneo; – diffusione di insetti e malattie tropicali; – …
Anche se l’emissione di Gas ad Effetto Serra (GHG) di origine antropica fosse subito fermata (scenario di fatto impossibile viste le difficoltà nel raggiungere il contenimento nelle emissioni di questi gas), la concentrazione di CO2 in atmosfera ha una vita-media di circa 100 anni e quindi il suo impatto continua ad esistere per lungo tempo.
In sintesi, globalmente sia gli ecosistemi che i sistemi umani saranno destabilizzati riguardo a risorse alimentari, salute, acqua da bere, qualità dell’aria, desertificazione, biodiversità, forestazione, … Ne deriveranno conflitti e migrazioni. Proiezioni ragionevoli ed affidabili prevedono che tra circa cento e duecento milioni di persone saranno forzate a migrare, per ragioni ambientali, entro il 2050 o forse anche prima, a seconda della capacità di contenere e mitigare i Cambiamenti Climatici e il Riscaldamento Globale. Il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) indica, come aree più interessate, l’Africa sub-sahariana, pari dell’Asia, il golfo del Bengala e le aree già aride dell’America Centrale. Le regioni più vulnerabili dal punto di geografico e/o politico-economico saranno più esposte; i paesi in via di sviluppo, che hanno molto minori responsabilità nelle emissioni di gas serra in atmosfera e subiranno le conseguenze più dure. Queste centinaia di milioni di eco-profughi, a differenza dei rifugiati per ragioni politiche, non hanno ancora uno status giuridico ben definito. Saranno considerati profughi da calamità naturali o clandestini illegali? E la responsabilità dei Cambiamenti Climatici e del Riscaldamento Globale è di tutti noi, in primis i paesi industrializzati.
Che fare? Occorre prepararsi ben in anticipo, dal punto di vista culturale, sociale, logistico. Il mutamento di atteggiamento culturale è forse il più complesso giacché implica la costruzione di una cultura per l’altro in cui si vive lo straniero come opportunità di conoscenza ed integrazione, non si rimane arroccati a credere che le proprie radici storiche e i propri comportamenti siano i migliori, si depongono pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, ci si riconosce come appartenenti ad una unica ed sola umanità.
Lavorando da anni nell’Africa sub-sahariana, nel Nord Uganda devastato da 25 anni di guerra civile, per la ricostruzione della educazione scientifica, ho imparato la parola Ubuntu, termine di origine Bantu che esprime un classico concetto Africano, di ampio significato. Desidero condividere con voi la mia comprensione di questa parola: “Io sono ciò che sono in grazie a ciò che siamo tutti. Spessissimo pensiamo di essere individui separati dagli altri, invece siamo tutti interconnessi, ciò che facciamo influenza l’intero mondo. Chi è Ubuntu è aperto e disponibile verso gli altri, non se ne sente minacciato, sa che appartiene ad un tutto più grande e si sente diminuito quando altri umani sono disprezzati, umiliati, oppressi e non aiutati”.
Mi auguro che ognuno di noi possa diventare Ubuntu, non solo per la questione dei Migranti attuali e futuri, ma anche per la salvaguardia di Nostra Madre Terra. ☺
*Università di Napoli "Federico II" Dipartimento Scienze Fisiche
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