Giovani e lavoro: che fare?
‘Giovani e lavoro’ è un problema che continua a riproporsi con pesantezza; e, al suo interno, assumono peso disoccupazione, precariato e i Neet (Not in Education, Employement or Training). Sono giovani che né studiano né lavorano. È un’emergenza che continua ad essere collettivamente rimossa. Trattasi di una rimozione che impedisce di riflettere sui dati che vengono proposti da Eurostat da cui risulta che l’Italia è il Paese della Unione Europea, dopo la Romania, che ha il maggior numero di giovani tra 15-29 anni che né studia né lavora. Sono uno su cinque. Si tace su tale problema forse perché non si ha piena coscienza dell’incidenza che ha nel mercato del lavoro. Va segnalato, in proposito, che sono aumentate le aziende che non riescono o che incorrono in forti difficoltà nel reperire i profili professionali di cui necessitano. Vi si imbattono una su due aziende. Il Rapporto ‘Excelsior Unioncamere’ quantifica, a oggi, in più di un milione e duecentomila i posti di lavoro scoperti per mancanza/carenza di lavoratori. Saranno cinque milioni e ottocentomila, e dovranno essere ancor più qualificati, quelli che nei prossimi anni dovranno sostituire chi andrà in pensione.
L’Italia sta invecchiando e i giovani sono sempre meno. Diminuisce la natalità e, quindi, si contraggono anche le fasce di popolazione potenzialmente occupabili. Sono sempre più evidenti anche le difficoltà del sistema scolastico-formativo ad offrire ai giovani un’adeguata preparazione professionale che possa rispondere alla domanda del mercato del lavoro. I giovani più preparati e intraprendenti migrano. Si continua a pensare che possano bastare asili nido e aiuti (insufficienti) alle famiglie per innalzare il tasso di natalità. Se ciò accadesse, i nuovi nati potranno, però, essere disponibili per il mercato del lavoro non prima di 25/30 anni. Le aziende hanno bisogno, oggi, di forza lavoro. Possono rispondere a tali necessità gli immigrati a cui si deve, però, garantire accoglienza, dignità e diritti propri di ogni persona. La Banca d’Italia ha quantificato in 300mila unità l’occupazione aggiuntiva che verrà creata dal PNRR nel 2024. Sarebbe utile conoscere quanto non si riesce a spendere per mancanza/carenza di profili professionali più che quanto si sarà speso con il PNRR.
Non si può discutere solo o prevalentemente di infrastrutture, alta velocità, ponte sullo stretto, rete digitale, fonti rinnovabili, opere pubbliche necessarie per la transizione. È sul capitale umano e la sua qualità che si deve investire se si vuole evitare che tali progetti falliscano e che si diluiscano per non aver creato le competenze necessarie. E, in proposito, va segnalato che solo un quinto delle risorse messe a disposizione con il PNRR è stato destinato al capitale umano. Indicatore della scarsa attenzione a tale capitale è il basso grado di attuazione della missione 4 dedicata all’istruzione e alla ricerca.
Il 2023 è stato dichiarato l’anno europeo delle competenze e l’obiettivo che si è posta l’ Unione Europea per il 2030 è il coinvolgimento del 60% degli adulti in attività di formazione e l’80% di quelli con competenze digitali. È una strada lunga e irta di ostacoli di varia natura; tra questi ostacoli vi è quello, forte, della mancata comprensione della centralità del capitale umano nello sviluppo economico-sociale di una nazione. Sarà, forse, necessario che questa incomprensione diventi un’emergenza o forse è già un’emergenza?☺
