Giacobbe e l’angelo
Stefano Maderno o Maderni (1570-1636) è stato uno scultore svizzero-italiano, secondo alcuni nato nell’odierno Canton Ticino (Svizzera), mentre per altri sarebbe nato a Palestrina come indicato nell’atto di morte. Figlio di Antonio, nei documenti designato come “lombardo”, e di Francesca Frasca, di Palestrina (Lazio), fu forse lontano parente dell’architetto Carlo Maderno.
Seguendo la consolidata tradizione delle maestranze artistiche dei laghi prealpini, giovanissimo inizia la sua formazione a Roma dove, sotto la guida dello scultore Niccolò d’Arras, restaura e realizza numerose sculture, rifacendosi in parte a canoni antichi; la sua produzione è considerata di transizione tra il manierismo ed il barocco.
Presenza assenza
Il tema iconografico di Giacobbe e l’angelo è uno dei più ricorrenti nella storia dell’arte del Seicento.
Il gruppo scultoreo Giacobbe e l’Angelo scolpito da Stefano Maderno attorno al 1628, oggi è ubicato nella sublime Galleria degli Specchi della Galleria Doria Pamphilj a Roma. L’opera fu impostata dall’artista per una visione frontale ma ciò non toglie che guardandola da altri punti di vista proponga interessanti scorci da osservare. Quindi il fenomeno che distrae i due lottatori è l’aurora, simbolo metaforico di una nuova era per il popolo di Dio che da allora prese il nome di Israel.
Visione e stupore
I protagonisti della scultura sono un giovane angelo di bell’aspetto e un uomo in età matura. Entrambi guardano nella medesima direzione e hanno il volto segnato da un’espressione di stupore, quasi come se all’improvviso fossero colti da una visione capace di distrarli dalla lotta. Quella sospensione della contesa è resa in modo ottimale dal Maderno che riesce a suggerirla senza mostrare una terza presenza. Lo sguardo di Giacobbe e quello dell’angelo lasciano intuire che il loro sospendere l’azione è causato da una figura che, seppur non rappresentata, è percettibile. Si tratta di una luce fortemente simbolica e forse un tempo, nella collocazione originale, l’opera davvero veniva investita da una fonte luminosa naturale che rendeva ancora più coinvolgente il gruppo scultoreo.
Lo scultore non fa altro che  scolpire nel marmo ciò che narra il racconto biblico: la colluttazione fra l’angelo e Giacobbe. Quando infatti Giacobbe ritornò assieme alla famiglia verso il paese d’origine, lungo il cammino si fermò presso il torrente Iabbok. Lì rimase da solo lottando con un angelo fino all’aurora. Siccome non riusciva a vincerlo, la creatura celeste gli percosse il femore lussandolo. Disse l’Angelo: “Lasciami andare che spunta l’Aurora” e Giacobbe rispose: “Non ti lascerò partire se prima non mi avrai benedetto”. “Qual è il tuo nome?”. “Giacobbe”. “Non più Giacobbe sarà il tuo nome ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto” (Gen 32, 23-30).☺   
								
						
						
						