Aboliamo il quorum
Mentre scrivo, mi interrogo sull’esito dei Referendum dell’8 e 9 giugno: raggiungeremo il quorum, vincerà il Sì, quante cittadine e cittadini si recheranno alle urne? Purtroppo la chiamata all’astensionismo è stata alta e, si sa, nei referendum abrogativi il No ha doppia probabilità di vittoria, sia che vinca il no, sia che non si raggiunga il quorum.
Senza entrare nel merito dei quesiti referendari, già ampiamente dibattuti su questa pagina, quello su cui vorrei soffermarmi è attinente ai princìpi di democrazia diretta previsti dalla nostra Carta Costituzionale. Era il 2012 quando partecipai attivamente alla raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare “Quorum zero e Più Democrazia”. La proposta evidenziava la necessità di togliere il quorum e migliorare le forme di partecipazione popolare.
Alcune ragioni per togliere il quorum.
1. I sostenitori del «no» vincono facilmente poiché hanno a disposizione due mezzi di persuasione: la campagna per il «no» (dis- pendiosa) e quella per l’astensionismo (più economica) per fare in modo che il «quo- rum» non venga raggiunto e il referendum venga invalidato. Con l’abolizione del quorum l’astensione peserebbe – in egual misura – sia per i favorevoli che per i contrari e avrebbe funzione di delega.
2. I sostenitori del «sì» partono già svantaggiati considerando che i referendum originano (normalmente) dall’insorgenza dei cittadini verso una decisione degli amministratori e che questi ultimi hanno maggiore disponibilità di denaro, tempo, interessi, capacità e attenzioni mediatiche per perorare la loro causa, il quorum rappresenta un ulteriore ostacolo all’ espressione dei cittadini.
3. È un bastone tra le ruote della democrazia in quanto permette ai detentori del potere di tutelarsi dal controllo dei cittadini invalidando i loro processi decisionali.
4. Causa meno dibattito e meno informazione poiché costringe i sostenitori del «sì» o del «no» a veicolare i propri sforzi al superamento – o al non superamento – del quorum, relegando in secondo piano la possibilità di un approfondimento della tematica trattata e lo stimolo dell’impegno civico.
5. È un premio a chi non partecipa. Considerando che l’incitazione all’astensionismo è un’arma a favore dei sostenitori del «no», coloro che impegnano il proprio tempo, energie, motivazione, desiderio, passione e volontà per informarsi sul tema del quesito referendario vengono penalizzati se il referendum viene invalidato da cittadini astenuti che non hanno impegnato nessuna energia in merito.
6. Il voto è segreto ma, considerando l’alto numero di «sì» nei referendum passati, ci sono buone probabilità di supporre che un votante possa essere identificato come un elettore del «sì». L’eliminazione del quorum vedrebbe drasticamente l’innalzarsi della percentuale del «no» con conseguente diminuzione delle probabilità di capire quale voto esprima l’elettore.
7. Causa l’allontanamento delle persone dal voto, mentre l’abolizione del quorum, rendendo valida qualsiasi procedura decisionale, stimola i cittadini a presentarsi alle urne, sia per revocare una decisione degli amministratori, sia per sostenerla.
8. Non viene applicato in maniera equa, in quanto non è presente nei processi elettorali. Infatti se fosse presente il quorum anche nelle elezioni, molte sarebbero state invalidate.
9. I cittadini non vogliono il quorum quando sono loro stessi a richiedere gli strumenti democratici. Quando invece tali strumenti sono concessi dagli amministratori questi si tutelano creando vincoli aggiuntivi, come il quorum.
10. I cittadini valgono quanto gli eletti. Ai referendum il risultato minimo di partecipazione è stato del 23 per cento, cioè di circa 10 milioni di persone. Vale di più la decisione presa da un migliaio di persone elette o quella di dieci milioni di persone che spontaneamente si recano alle urne?
Quali furono i risvolti della proposta di legge di iniziativa popolare sono noti. Purtroppo, nonostante il potere riconosciuto ai cittadini di dare avvio al procedimento legislativo sia un istituto di “democrazia diretta”, nella prassi si è rivelato però un potere limitato che non garantisce ai presentatori l’esame parlamentare della loro proposta. Gli organi parlamentari, infatti, non hanno l’obbligo di pronunciarsi sulle proposte di iniziativa popolare e neanche esistono meccanismi che garantiscano forme significative di priorità procedurale.
L’unica garanzia di esame è data dai regolamenti parlamentari. In particolare l’art. 74, Reg. Sen. impone alle competenti Commissioni l’avvio dell’esame dei progetti di legge di iniziativa popolare ad esse assegnati entro e non oltre un mese dal deferimento; mentre l’art. 24, Reg. Cam. si limita a riservare una parte del tempo disponibile all’interno del calendario dei lavori dell’Assemblea. E così fu! Si diede inizio ai lavori ma il Parlamento non arrivò mai a una vera propria discussione.
Ricordiamocelo quando ci invitano a disertare le urne.☺
