“Con l’inglese si riesce a fregare meglio gli italiani”, così qualche settimana fa alla trasmissione televisiva Annozero il noto giornalista Marco Travaglio, a proposito dell’uso disinvolto di vocaboli stranieri nella nostra lingua.
Al di là dell’immediatezza di tale espressione, va preso atto della mancanza di chiarezza espressiva di molti termini anglofoni che, entrati ormai nel linguaggio giornalistico o politico, tutti ripetiamo inconsapevolmente e senza comprenderne l’esatto significato.
Ciò avviene anche a proposito del dibattito inerente la crisi economica mondiale. Tutti i mezzi di informazione ne riferiscono, minimizzando o amplificando la sua reale gravità in base a precise scelte editoriali (o ideologiche).
Si susseguono i tentativi di dare risposte al problema, e non sempre chiari per chi ascolta o legge: in questi ultimi giorni, per esempio, sono emerse – generando l’ennesima polemica – affermazioni quali “soldi veri” e “soldi verissimi”: la corretta comprensione di quanto accade è compromessa e la confusione è grande.
Tra le parole di derivazione anglofona che attengono al campo finanziario è ricomparso recentemente, accompagnato al nome dell’attuale Ministro per l’economia, il termine bond.
I tanto sbandierati Tremonti bond, di cui si parla con eccessivo entusiasmo e che dovrebbero essere il rimedio per la crisi del sistema bancario italiano, non sono una sorta di agente segreto (James Bond?) con la soluzione già pronta per qualsiasi difficoltà. Si tratterebbe invece di obbligazioni sottoscritte dal Tesoro, per sostenere economicamente le banche che ne dovessero avere bisogno. Com’è noto l’obbligazione finanziaria è un titolo di credito emesso da società o enti pubblici; colui che lo possiede ha diritto al rimborso del credito e del relativo interesse. Normalmente queste obbligazioni sono emesse quando una società ha bisogno di denaro liquido. E le banche attualmente, non solo in Italia, sono in sofferenza per questo.
Al primo significato del vocabolo bond, che è sia sostantivo che verbo, desunto dal linguaggio dell’economia, vanno aggiunti “legame, vincolo” e in senso figurato “accordo, patto, impegno”. Come si può notare il campo semantico è identico e rimanda ad una condizione di relazione tra individui o concetti, che non richiama però una situazione di opposizione o contrasto, come espresso anche dal verbo che ha la medesima radice (bond). Paradossalmente bond è qualcosa che unisce, non divide o contrappone.
Sarebbe auspicabile che anche nell’asettico ambito della finanza facesse il suo ingresso questa connotazione del vocabolo di cui stiamo parlando. Alleviare i sacrifici delle famiglie; assicurare il credito alle piccole e medie imprese; adottare, da parte delle banche emittenti, un codice etico contenente previsioni in materia di politiche di remunerazione dei vertici aziendali, riducendo o eliminando superstipendi o superpremi ai manager: semplice proclamazione d’intenti o tenace volontà di conseguire seri obiettivi ?
Se crisi c’è, e le conseguenze non appaiono rosee, perché dunque non sforzarsi di essere almeno chiari con le parole☺
dario.carlone@tiscali.it
“Con l’inglese si riesce a fregare meglio gli italiani”, così qualche settimana fa alla trasmissione televisiva Annozero il noto giornalista Marco Travaglio, a proposito dell’uso disinvolto di vocaboli stranieri nella nostra lingua.
Al di là dell’immediatezza di tale espressione, va preso atto della mancanza di chiarezza espressiva di molti termini anglofoni che, entrati ormai nel linguaggio giornalistico o politico, tutti ripetiamo inconsapevolmente e senza comprenderne l’esatto significato.
Ciò avviene anche a proposito del dibattito inerente la crisi economica mondiale. Tutti i mezzi di informazione ne riferiscono, minimizzando o amplificando la sua reale gravità in base a precise scelte editoriali (o ideologiche).
Si susseguono i tentativi di dare risposte al problema, e non sempre chiari per chi ascolta o legge: in questi ultimi giorni, per esempio, sono emerse – generando l’ennesima polemica – affermazioni quali “soldi veri” e “soldi verissimi”: la corretta comprensione di quanto accade è compromessa e la confusione è grande.
Tra le parole di derivazione anglofona che attengono al campo finanziario è ricomparso recentemente, accompagnato al nome dell’attuale Ministro per l’economia, il termine bond.
I tanto sbandierati Tremonti bond, di cui si parla con eccessivo entusiasmo e che dovrebbero essere il rimedio per la crisi del sistema bancario italiano, non sono una sorta di agente segreto (James Bond?) con la soluzione già pronta per qualsiasi difficoltà. Si tratterebbe invece di obbligazioni sottoscritte dal Tesoro, per sostenere economicamente le banche che ne dovessero avere bisogno. Com’è noto l’obbligazione finanziaria è un titolo di credito emesso da società o enti pubblici; colui che lo possiede ha diritto al rimborso del credito e del relativo interesse. Normalmente queste obbligazioni sono emesse quando una società ha bisogno di denaro liquido. E le banche attualmente, non solo in Italia, sono in sofferenza per questo.
Al primo significato del vocabolo bond, che è sia sostantivo che verbo, desunto dal linguaggio dell’economia, vanno aggiunti “legame, vincolo” e in senso figurato “accordo, patto, impegno”. Come si può notare il campo semantico è identico e rimanda ad una condizione di relazione tra individui o concetti, che non richiama però una situazione di opposizione o contrasto, come espresso anche dal verbo che ha la medesima radice (bond). Paradossalmente bond è qualcosa che unisce, non divide o contrappone.
Sarebbe auspicabile che anche nell’asettico ambito della finanza facesse il suo ingresso questa connotazione del vocabolo di cui stiamo parlando. Alleviare i sacrifici delle famiglie; assicurare il credito alle piccole e medie imprese; adottare, da parte delle banche emittenti, un codice etico contenente previsioni in materia di politiche di remunerazione dei vertici aziendali, riducendo o eliminando superstipendi o superpremi ai manager: semplice proclamazione d’intenti o tenace volontà di conseguire seri obiettivi ?
Se crisi c’è, e le conseguenze non appaiono rosee, perché dunque non sforzarsi di essere almeno chiari con le parole☺
“Con l’inglese si riesce a fregare meglio gli italiani”, così qualche settimana fa alla trasmissione televisiva Annozero il noto giornalista Marco Travaglio, a proposito dell’uso disinvolto di vocaboli stranieri nella nostra lingua.
Al di là dell’immediatezza di tale espressione, va preso atto della mancanza di chiarezza espressiva di molti termini anglofoni che, entrati ormai nel linguaggio giornalistico o politico, tutti ripetiamo inconsapevolmente e senza comprenderne l’esatto significato.
Ciò avviene anche a proposito del dibattito inerente la crisi economica mondiale. Tutti i mezzi di informazione ne riferiscono, minimizzando o amplificando la sua reale gravità in base a precise scelte editoriali (o ideologiche).
Si susseguono i tentativi di dare risposte al problema, e non sempre chiari per chi ascolta o legge: in questi ultimi giorni, per esempio, sono emerse – generando l’ennesima polemica – affermazioni quali “soldi veri” e “soldi verissimi”: la corretta comprensione di quanto accade è compromessa e la confusione è grande.
Tra le parole di derivazione anglofona che attengono al campo finanziario è ricomparso recentemente, accompagnato al nome dell’attuale Ministro per l’economia, il termine bond.
I tanto sbandierati Tremonti bond, di cui si parla con eccessivo entusiasmo e che dovrebbero essere il rimedio per la crisi del sistema bancario italiano, non sono una sorta di agente segreto (James Bond?) con la soluzione già pronta per qualsiasi difficoltà. Si tratterebbe invece di obbligazioni sottoscritte dal Tesoro, per sostenere economicamente le banche che ne dovessero avere bisogno. Com’è noto l’obbligazione finanziaria è un titolo di credito emesso da società o enti pubblici; colui che lo possiede ha diritto al rimborso del credito e del relativo interesse. Normalmente queste obbligazioni sono emesse quando una società ha bisogno di denaro liquido. E le banche attualmente, non solo in Italia, sono in sofferenza per questo.
Al primo significato del vocabolo bond, che è sia sostantivo che verbo, desunto dal linguaggio dell’economia, vanno aggiunti “legame, vincolo” e in senso figurato “accordo, patto, impegno”. Come si può notare il campo semantico è identico e rimanda ad una condizione di relazione tra individui o concetti, che non richiama però una situazione di opposizione o contrasto, come espresso anche dal verbo che ha la medesima radice (bond). Paradossalmente bond è qualcosa che unisce, non divide o contrappone.
Sarebbe auspicabile che anche nell’asettico ambito della finanza facesse il suo ingresso questa connotazione del vocabolo di cui stiamo parlando. Alleviare i sacrifici delle famiglie; assicurare il credito alle piccole e medie imprese; adottare, da parte delle banche emittenti, un codice etico contenente previsioni in materia di politiche di remunerazione dei vertici aziendali, riducendo o eliminando superstipendi o superpremi ai manager: semplice proclamazione d’intenti o tenace volontà di conseguire seri obiettivi ?
Se crisi c’è, e le conseguenze non appaiono rosee, perché dunque non sforzarsi di essere almeno chiari con le parole☺
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