
Acqua, acqua, fuoco, fuoco. Un’estate di incendi
Parafrasando un gioco dei bambini per cercare un tesoro nascosto, sono le parole più gettonate dell’estate 2017 tra chi sperava in una pioggia ristoratrice e chi temeva per l’allarme incendi.
Stavolta siamo stretti nella morsa tra un territorio nazionale messo a fuoco dai soliti noti e una siccità tra le più gravi degli ultimi decenni; conseguenza anche di una primavera, quella appena passata, tra le più calde degli ultimi 150 anni. Non tutti però avvertiamo che il clima italiano è cambiato e ancora molto è destinato a cambiare nel prossimo futuro. Secondo gli esperti un quinto del territorio nazionale è da considerare a rischio desertificazione, e il sud è l’area più minacciata, Molise incluso, ma il fenomeno coinvolgerà anche altre aree dall’Abruzzo all’Emilia Romagna. Di conseguenza anche la produzione agricola subirà cambiamenti con lo spostamento di molte colture tipiche del sud verso il settentrione: anche quest’anno si prevede un’abbondante produzione di olio in Valtellina, in provincia di Sondrio.
Intanto è periodo d’incendi, e il fuoco avanza. Sicuramente dietro c’è la regia e la mano criminale dell’uomo che ha approfittato di questo clima per mettere fuoco al territorio, ad oggi (metà Luglio) sono stati bruciati 26.000 ettari tra campi coltivati e aree boschive che lo Stato non è capace di tutelare.
Ai piromani si unisce la mano ignorante di chi la terra la lavora e dovrebbe rispettarla, quegli stessi agricoltori che con il presunto vantaggio di bruciare le stoppie rimanenti dalla trebbiatura del grano, tecnica ancora molto praticata e vista come panacea dei mali della terra, spesso arrecano seri danni al territorio. Una tradizione secolare, che ormai persiste solo al Sud e che vede i “vantaggi” della bruciatura delle stoppie soprattutto nella riduzione della flora infestante, ma non gli svantaggi agronomici che sono maggiori: dalla riduzione delle attività batteriche, fino alla maggiore capacità erosiva del terreno durante le piogge, oltre che la distruzione di parte della sostanza organica presente nei primi 10 cm di terreno di superficie. Quando invece si potrebbe provvedere all’interramento dei residui vegetali, nella prospettiva di conservare risorse e non contribuire all’inquinamento atmosferico e, meglio ancora, vendere solo mietitrebbie con trinciapaglia.
Arriva Agosto e oltre al fuoco si comincia a parlare di acqua, quella che non c’è purtroppo. Da mesi ormai, un po’ ovunque, nel patrio stivale non piove. Una grande siccità imperversa in campagna e ora anche in città, risorse idriche risicate, fiumi e laghi in secca. Primi allarmismi.
Viviamo in un Paese in cui si continua, purtroppo, ad aspettare e a lavorare sulle emergenze, senza mai programmare interventi a lungo andare (10-20anni). Non si educa ad un consumo giusto dell’acqua in agricoltura (primo consumatore) come nelle nostre case, se pensiamo che quotidianamente ognuno di noi consuma/spreca più di 230 lt. di acqua potabile rispetto ai 180 lt. di un cittadino del Nord Europa. Utilizzare l’acqua con parsimonia non solo è rispettoso per l’ambiente e il senso civico ma, per i più venali, può comportare anche un risparmio in bolletta;se poi pensiamo che nei paesi meno fortunati due litri di acqua pulita sono il prezioso fabbisogno giornaliero per la sopravvivenza, ci rendiamo conto del valore di questa risorsa.
E se volutamente in periodi di emergenza si parla solo della fatidica dispersione delle nostre reti colabrodo, chi scrive e dice ciò per me è alla pari di chi accende fuochi per distruggere, un’unica regia maligna. Perché allora, continuo a chiedermi e chiedervi, come mai di fronte ad una rete colabrodo non c’è mai stato un governo che negli ultimi 20/30 anni abbia pensato al bene comune, ripristinando gli acquedotti e creando migliaia di posti di lavoro?
Sappiamo bene, per quanto ci propinano i media, che gli acquedotti italiani hanno perdite: passiamo da un 16% di perdite a Milano al 64% di Potenza. Di sicuro il territorio a qualcuno agevola il lavoro. ad altri no, ma è pur vero che chi è in difetto non cerca di copiare da chi fa meglio. “…a Torino per esempio la società di servizi idrici da anni si preoccupa dei cambiamenti climatici e investono in ricerca e infrastrutture idrauliche di accumulo, ben sapendo che dovranno servirsene nei prossimi anni” (L. Mercalli – Il Fatto Quotidiano 25/7/17). Come pure non sempre ci sono politiche private (vedi ACEA a Roma ma anche a Termoli), che fanno investimenti in merito.
Questo articolo lo leggerete a settembre, con l’autunno alle porte, politicamente caldo da decenni, spero fresco e ristoratore climaticamente parlando; che sicuramente porterà con sé qualche brusco temporale, anche lui figlio dei cambiamenti climatici, che farà, sicuramente danni in qualche zona dello stivale. Frane? Alluvioni? Ma soprattutto che non si imprechi contro una natura “sovrannaturale” ma contro l’uomo che non ha interesse e/o capacità a gestire il territorio.☺