Casa della comunità e fragilità
8 Marzo 2022
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Casa della comunità e fragilità

Secondo le ultime rilevazioni ISTAT, un molisano su quattro ha più di 65 anni, mentre il 5,8% dei cittadini si trova in condizione di disabilità. Il report del Fondo sulla non autosufficienza 2019 evidenzia che circa 950 molisani si trovano in condizione di non autosufficienza, ossia dipendono h24 da altre persone, prevalentemente familiari. Questi cittadini sono portatori di bisogni complessi, che intercettano la sfera sanitaria (es. necessità di assistenza domiciliare, te- rapie periodiche, dialisi, trasfusioni) e la sfera sociale, essendo facilmente esposti al rischio di esclusione. Ad essi dobbiamo aggiungere la altre categorie di persone in condizioni di fragilità, come ad esempio i bambini, i senza fissa dimora, i migranti, che pure sono portatrici di bisogni complessi.

La Casa della Comunità, prevista dal PNRR attraverso il coordinamento tra l’azione 5 e l’azione 6 del Piano, può rappresentare un’innovazione cruciale per realizzare un’efficace integrazione sociosanitaria, così come prevista prima dalla legge 104/92 e poi dalla legge 328/2000, capisaldi del diritto italiano spesso inapplicati. Infatti, ad oggi l’integrazione sociosanitaria è limitata a scarni protocolli di concertazione e/o tavoli di dialogo, spesso demandata alla buona volontà degli operatori; manca quella necessaria visione unitaria che pone al centro il cittadino come portatore di diritti individuali e di intrinseca dignità in quanto persona.

L’integrazione sociosanitaria non può che passare attraverso il piano individualizzato, previsto anche dall’art. 14 della legge 328/2000 nel quale tutti gli attori che ruotano intorno alla persona diventano protagonisti attivi, quindi non solo istituzioni sanitarie e sociali, ma anche le famiglie e gli enti del terzo settore, attraverso un dialogo costante e fattivo che può svolgersi all’ interno della Casa, quale luogo fisico in cui tutti i protagonisti sono presenti, anche attraverso l’ausilio degli strumenti di digitalizzazione che consente un costante e continuo monitoraggio interattivo delle condizioni di vita di un individuo.

Perciò la prospettiva deve essere completamente rovesciata, non dobbiamo più pensare all’inclusione sociale di determinate ca- tegorie di persone, bensì pensare a “luoghi inclusivi” per tutti i cittadini, capaci di accogliere qualsiasi individuo a prescindere dalla propria condizione fisica o sociale. Questo luogo può diventare il punto di partenza per realizzare obiettivi specifici, come la progettazione del dopo di noi, degli interventi di vita indipendente, per immaginare l’accesso agli strumenti di scree- ning per la prevenzione delle malattie anche per le persone con disabilità (per le quali persino una rituale visita dentistica o ginecologica può rappresentare una chimera irraggiungibile), per ragionare attraverso un’ ottica di genere anche rispetto alle cure mediche.

Nel corso degli ultimi due anni, diritti che sembravano acquisiti sono stati messi in discussione: per la prima volta si è sentito parlare di priorità delle cure in base all’età ed alcuni governatori di regione hanno addirittura pesato l’uomo in base alla sua capacità o meno di produrre reddito; nel corso del primo anno di pandemia molti bambini sono stati privati del diritto allo studio perché in condizione di disabilità o per mancanza dei mezzi tecnici adeguati: in questo orizzonte, perciò non c’è solo da costruire, ma davvero da ricostruire una nuova idea di dignità umana, che non può che essere di paradigma per tutti gli interventi futuri.

In Molise ad esempio, un piccolo passo sarebbe quello di cominciare a restituire dignità alle persone con autismo, riconoscendo finalmente il diritto all’ accreditamento delle terapie. Sono anni che le famiglie attendono a fronte dell’inerzia totale delle istituzioni regionali.☺

 

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