clandestini
30 Giugno 2010 Share

clandestini

 

Estate, verde rigoglio di tigli

lungo il viale della ferrovia.

In fondo alla pensilina del sottopassaggio,

un nero è seduto su un muretto,

il volto e le braccia di ebano sbucati

da una maglietta bianca.

Mangia un biscotto. Si riposa.

Canta rauca la cicala nel cespuglio.

Stridono i freni del treno sulle rotaie.

Pensa alla sua Africa con afosa nostalgia:

l’ombra delle foreste in quest’ora accaldata,

la leggera fuga delle gazzelle

all’orizzonte di luce,

le donne presso le capanne

i bimbi festosi del villaggio.

Solleva il vento del meriggio

la polvere rossa e ne porta l’odore.

La piattaforma su cui sosta

è arido sito che schiaccia ogni verde.

La città dei bianchi, miraggio del benessere,

non ha il respiro della sua terra.

Qui c’è frastuono, fretta, ruvidezza.

Il suo lavoro precario. La dimora instabile.

Con sé un fardello di solitudine,

insicurezza, disagi.

Ombra nera che passa tra la folla.

Non è ancora nostro fratello.

Non è figlio di questo paese.

È clandestino.

Lina D’Incecco

 

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