cultura dello stupro       di Loredana Alberti
28 Febbraio 2012 Share

cultura dello stupro di Loredana Alberti

 

Nel 1997 scrissi un atto unico sullo stupro e sull’arte di Artemisia Gentileschi; all’inizio dello spettacolo un attore leggeva l’arringa di un avvocato difensore di uno degli imputati, di “un processo per stupro” del 1979, primo fra tutti, documento storico ripreso da sette registe e mandato in Rai e poi ovunque con difesa (di imputati, ovvio!) rimasta famosissima, quella dell’avvocato di difesa Zeppieri. Sembrò ad alcuni eccessivo l’accostamento dei due argomenti: lo stupro di Artemisia e il processo del 1979; in realtà volevo mettere in evidenza due punti

a) anche con il passare dei secoli era sempre la donna stuprata a pagare;

b) fino a quando la società maschile non cambierà la propria cultura, nulla cambierà.

Artemisia fu sedotta, abbandonata, calunniata. (Dopo lo stupro, Artemisia, stuprata e sverginata, nemmeno si ricompone, corre alla tavola della cucina, prende un coltello e si avventa contro l’uomo, ma lo ferisce solo leggermente. Datemi la mano che vi prometto di sposarvi, dice solennemente Agostino dopo averla calmata, sapendo già di compiere spergiuro). Orazio, il padre, quarantottenne affermato e valente pittore, quasi un anno dopo i fatti, nel febbraio del 1612, denuncia alle autorità lo stupro subìto dalla figlia; ma gli era stata rubata una Giuditta e lui sospettava di Agostino. Un ritardo sospetto, perché la giovane non gli aveva tenuto nascosto il “vittuperio” subìto. Probabilmente più che la volontà di giustizia fu la rivalità fra artisti – e il mancato rispetto della promessa matrimoniale avanzata dal Tassi – a spingere il Gentileschi a chiedere al Papa di procedere contro il pittore, che aveva forzatamente sverginata e carnalmente conosciuta più e più volte la figlia.

Illusa dalla promessa di matrimonio, Artemisia si concesse più volte ad Agostino, che davanti al magistrato l’accusò di portarsi da puttana. Tanti uomini, raccontò, andavano da Artemisia per chiavarla, perché una volta mentre ch’io passavo di lì alzando gli occhi alla finestra viddi che Artimitia haveva un braccio su la spalla a quel vestito di Longo (un uomo con l’abito talare, ndr) e quando mi viddero si retirorno. Adombra che anche Orazio abbia abusato della figlia.

Tassi scontò otto mesi nella prigione di Corte Savella ma alla fine il caso fu archiviato. Agostino e Orazio riprendono la loro amicizia pittorica.

Artemisia, un mese dopo il processo, nel novembre 1612, sposò Pietro Antonio Stiattesi, lasciando Roma per Firenze. Artemisia era già un’artista di grande livello. Nel 1612-1613, ventenne, a Firenze dipinse uno dei suoi capolavori, Giuditta che uccide Oloferne, replicato nel 1620. Nel quadro sono evidenti i legami con la violenza subìta in casa, il rancore per le umiliazioni patite, la volontà di staccarsi da quell’incubo fissandolo fuori da sé. Indubbiamente        ad Artemisia costò molta fatica riabilitarsi, tramite un matrimonio ma soprattutto tramite la carriera, agli occhi della società dalla vicenda dello stupro. Non tutti ebbero comprensione per le sue traversie: crudele e volgare suona in tal senso l'epitaffio dedicatole dai veneziani (1653), in cui si ironizza sul suo nome Arte / mi / sia / Gentil / esca: Co'l dipinger la faccia a questo e a quello / Nel mondo m'acquistai merto infinito / Nel l'intagliar le corna a mio marito / Lasciai il pennello, e presi lo scalpello / Gentil'esca de cori a chi vedermi / Poteva sempre fui nel cieco Mondo; / Hor, che tra questi marmi mi nascondo, / Sono fatta Gentil'esca de vermi.

1979: “Un processo per stupro” il primo atroce documento ripreso da un collettivo femminile (sette registe romane fra cui Annabella Miscuglio, Loredana Rotondo), una ragazza  stuprata denuncia i suoi aggressori, viene difesa da Lagostena Bassi. Il documentario vince il premio Italia. È uno spaccato della società dell’epoca: da una parte un’Italia che vuole cambiare, dall’altra avvocati, giudici, stupratori, amici, poliziotti, con risolini e schiamazzi di avvocati difensori, sorelle e madri  degli imputati (non le hanno fatto nulla, mica l’hanno ammazzata) che “recitano” la parte di un’Italia triviale e retriva.

Nella sua arringa difensoria l’avvo- cato Zeppieri pronuncia le famose parole: “Vi confesso che abbiamo una passione per le donne, le amiamo, le rispettiamo, ci alziamo in tram e offriamo sempre  il posto…non disprezziamo affatto la prostituzione che in tempi lontani e anche vicini, ci può aver visto partecipi di momenti di piacere…che è questo odio repressivo contro chi dedica la sua vita a dare piacere agli altri?… qui si tratta di una ragazza che non versa in condizioni economiche floride, ha degli amici-amanti. Questa ragazza ha inventato la sua storia e adesso viene in udienza sull’incrociatore del femminismo con tutte le bandiere al vento e chi la ferma più! Le signorine dicono, non siamo fiche, non siamo qua! Qui si stanno rovesciando i termini, qua ci violentano signori se non stiamo attenti! (risate  generali…

Signori una violenza con fellatio può essere interrotta da un morsetto, l’atto mal si coniuga con la violenza tutti e quattro avrebbero abbandonato incautamente nella bocca della propria vittima il membro, eh sì mi posso abbandonare ma non sono io che posseggo. È lei la parte attiva. Sono loro passivi inermi, abbandonate alle fauci avide di costei …”. Consiglio la ri-lettura del libro e se possibile la visione del documentario

Oggi 3 febbraio 2012 la Corte di Cassazione cancella una legge del 2009, occupandosi di una violenza di due diciannovenni su una minorenne avvenuta a Cassino; ha accolto il ricorso di R.L. e di L.B. nei confronti dei quali il tribunale di Roma, il 5 agosto 2011, aveva confermato la custodia in carcere. I due giovani erano stati denunciati dalla squadra mobile di Frosinone dopo il racconto della ragazzina. La minorenne aveva trascorso la serata in un pub e stava tornando a casa a piedi assieme alla sorella maggiorenne, che poi però aveva proseguito da sola. La ragazza era stata avvicinata dai due che l’avevano fatta salire in auto, portandola poi in una zona di campagna e violentandola a turno. Il gip aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare per i due diciannovenni con l’accusa di violenza sessuale di gruppo.

Nel 2009, con l’approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale, dopo che gli episodi si erano moltiplicati creando un diffuso allarme sociale, non era consentito al giudice (salvo esigenze cautelari) applicare, ai presunti stupratori (con carico gravi indizi di colpevolezza) misure cautelari diverse dal carcere. Ma la Corte Costituzionale, nell’estate del 2010, ha ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto sì alle alternative al carcere “nell’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dal quale risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure”.

Le donne insorgono, alcuni giornalisti le deridono dicendo che non hanno compreso la Cassazione.

Abbiamo capito, invece, signori!

Se da una parte si intuiscono le ragioni legate agli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione, tutto sembra che finisca per stridere innanzi a quel reato così disumano e annichilente. Per i reati di mafia lo stato giustifica misure eccezionali in quanto riconosce una generalizzazione di criteri e comportamenti criminali nella cultura mafiosa; non così per i reati sessuali che non sarebbero – nonostante l’allarme sociale costante che determinano – connotati da omogeneità. Non vi sarebbero comportamenti, cause, mezzi, modalità generalizzate, sicché ogni caso si differenzia dall’altro. Il punto politico è proprio questo. Non basta qualche centinaio di donne uccise ogni anno, magari in casa loro da mariti o da “innamorati” respinti, non basta qualche migliaio di donne stuprate ogni anno, non basta che 1.400.000 donne abbiano subito molestie, non basta la prostituzione endemica. Nel nostro paese non esiste un sostrato culturale diffuso, omertoso, strisciante che fonda il suo potere sulla minaccia, sulla violenza, sulla prevaricazione e su talune coperture istituzionali, proprio come la mafia? È pura fantasia femminista che esista una consistente e persistente compatta e omogenea cultura dello stupro nel nostro paese?☺

 ninive@aliceposta.it

 

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