Curare la democrazia
9 Febbraio 2022
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Curare la democrazia

Guardando i bivacchi alla stazione delle grandi città mi viene da pensare che la civiltà di un popolo si misura non solo dalla condizione delle carceri, che in pochi possono valutare, ma anche dalla condizione dei propri abitanti e dall’esercizio del diritto alla casa. Di recente mi è capitato anche di assistere ad una assemblea all’interno di un centro occupato e di verificare quanto sia difficile, per chi non mastica interventi sociali, aiutare concretamente i senza dimora. Questo a dimostrazione di quanto sia necessario “socializzare il politico”, ovvero mettere in condizione chi si occupa di pensiero, di attivare pratiche sociali. Di converso chi si occupa di sociale rifugge la partecipazione alla politica, ma questo significa cercare sempre i riferimenti giusti per poter portare avanti progetti concreti in una fase di emergenza sociale ed economica. Costoro dovrebbero imparare a “politicizzare il sociale”.

 La “sindemia” non ci ha trasformato, ma schiacciato nella nostra condizione precedente, è stato un detonatore e un acceleratore di fenomeni e processi già in essere: l’acuirsi di impoverimenti, di esclusioni e di privatizzazioni dei beni comuni ne sono un esempio. Dopo la permanente condizione di pandemia, la sanità pubblica doveva essere al centro delle politiche e degli investimenti e così non è; la scuola pubblica doveva tornare ad essere un motore di conoscenza, tutelata, promossa e destinataria di ingenti investimenti pubblici, ma così non è. Tanti esempi di beni comuni potrebbero essere fatti in tal senso: avrebbero dovuto essere ancor di più al centro della vita politica, anche perché senza di essi in cosa si sostanzierebbe la democrazia? I “percorsi di convergenza” in atto in Italia tra movimenti, associazioni, reti, centri sociali, spazi occupati, dimostrano quanto desiderio ci sia di non restare da soli e di “sortirne insieme” come diceva Lorenzo Milani.

Curare la democrazia mi sembra sia il desiderio autentico che anima le attività dei movimenti in molte parti del paese. Solo aree marginali del paese lo percepiscono come tale, senza che questo sentimento diventi collettivo, diffuso e centrale nella vita nostra e degli altri fatta di molti elementi di sopravvivenza in cui versano le lavoratrici ed i lavoratori. La precarietà è marginalità, l’impoverimento è la conseguenza di diritti mancati, come il lavoro non retribuito, sottopagato, senza qualità, senza riposo, senza dignità. Le imprese, alle prese con i ridotti volumi di affari, con i costi in aumento, non garantiscono il rispetto dei diritti dei lavoratori e spesso gli stessi imprenditori sono sottopagati, senza riposo e svolgono un lavoro tartassato e incerto. Tutte e tutti dentro un ingranaggio mostruoso e pericoloso che porta allo svuotamento di ogni speranza e al venir meno di ogni desiderio di cambiamento.

Cosa bolle in pentola? Il desiderio di autoformarsi, di comprendere il presente per liberarsi da inerzie e passività. Libertà e conoscenza non possono essere separate: solo la conoscenza porta alla libertà e solo la libertà può assicurare la conoscenza. Nelle nostre caverne mentali c’è ancora un desiderio inespresso di comprendere quello che ci sta succedendo e di prevederne gli effetti, di non brancolare più nel buio e nella nebbia. Bolle in pentola anche il desiderio di partecipazione e di creare uno sbocco politico alle attività delle associazioni, movimenti culturali e sociali. Nonostante i processi depressivi collettivi, c’è un attivismo di base che consente a molti diseredati di continuare a vivere e non sentirsi soli, ma c’è anche uno svuotamento di diritti solo in parte colmato dalla necessaria dipendenza da ristori e dall’ansia rispetto all’approssimarsi dell’utilizzo dei fondi del PNRR. Certo, tutto questo è soprattutto frutto dell’immaginario di frange marginali, mentre in realtà il paese arranca e tenta di sopravvivere, dedicandosi, nel tempo che resta, ad una fuga dalla realtà che ha prezzi alti in termini di dipendenza dal sistema e perdita di consapevolezza. Non c’è più, come in passato, il bisogno diffuso di contadini e operai, che dopo una giornata di duro lavoro, andavano a scuola per aprirsi alla conoscenza e al confronto, ma c’è un ripiegamento individualistico, a volte necessario, per ricomporre la giornata faticosa e sfibrante. Accanto a bisogni di vita essenziale si diffonde la necessità di governare i processi sempre più imposti dalle multinazionali, dalla finanza o da quelle che consideriamo poteri e entità sovrastatali o dalla criminalità, entrambi con l’effetto di desertificare le possibilità di lavoro svuotando i diritti.

Per uscire da questo buco nero occorre, da parte di chi come noi vive di lotte e di pensiero, una consapevolezza rafforzata, da una parte, per offrire e condividere conoscenza attraverso forme nuove di trasmissione dei saperi, come nuove scuole popolari, divulgative, coinvolgenti e orientate all’azione e, dall’altra, di considerare arrivato il momento di uno sbocco politico e di una rinnovata partecipazione diretta che, con linguaggi semplici e comprensibili, abbia una visione diversa che curi la democrazia.

In questo contesto sono necessarie nuove alleanze, da una parte di tipo educativo, e dall’altro di tipo politico, entrambe per governare e guidare l’umanità ad affrontare i cambiamenti epocali in  atto. Mentre sulla questione delle scuole popolari i movimenti devono solo organizzarsi ed utilizzare risorse che ci sono, la grande questione dello sbocco politico diretto dei movimenti è spesso considerata superata, in realtà non è mai stata presa in carico realmente dalle realtà associative, mentre invece rappresenta un banco di prova ineliminabile. Sicuramente l’invito non è alle associazioni di confluire in soggetti politici, ma di sicuro come singoli cittadini è importante investire personale qualificato sulla partecipazione diretta in politica per il governo dei comuni, delle città, delle regioni e dello stato.

“Riprendiamoci il comune” allora potrebbe essere il titolo di un percorso di formazione di base e lo slogan per un progetto di partecipazione diretta di alcuni di noi alla vita politica. Ed è su questo doppio livello che l’intero universo dei movimenti dovrà misurarsi.☺

 

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