Dammi un altro colore, Dio. In tinta col pane buono.
Rimane la notte senza traccia alcuna,
sulle strisce pedonali non transitano demoni
ricordo Beatles in fila indiana
angeli di una generazione psichedelica
strisce come ponte levatoio.
Marciapiedi senza resurrezione, oggi
borsite ai talloni, troppe scarpinate scalzo
volevo emulare Paul o gli indios Guaranì.
Dammi un altro colore, Dio
fai finta che l’Ohio sia Mexico city.
Rolex taroccato il mio, sul lato opposto
da tutte le parti venditori d’hashish, bucanieri,
stupratori seriali, lancia coltelli,
vecchi capelloni reduci del Vietnam.
Siamo tutti nella giungla travestiti da vietcong.
Dammi un altro colore, Dio
che non sia transitorio, nessun bianco edulcorato,
– vero – un colore vero, definitivo.
Mi piacerebbe crescere figli al suono dell’arpa
poi guardo oltremare altri figli abbandonati,
a cassetta frustano sempre idioti mercenari.
Quelle strisce bianche e nere calpestate
da milioni nelle frette allucinate sono colori stinti
ogni tanto operai del comune rinfrescano.
Dammi un altro colore, Dio
quello che hai smarrito per seguire rotte complicate
ma forse non è abbastanza il colore di tante battaglie:
Lincoln, King, Gandhi, Guevara, Francesco d’Assisi.
Tu stesso in piazza quella volta scendesti
a trasformare arie viziate, il sangue in amore.
Sulla lattina smaltata campeggia l’arcobaleno,
consumismo accecante, cagnara illusionistica.
Scendi ancora se vuoi, bisogna ripulire filtri intasati.
poesia vincente il Premio “Arturo Giovannitti”
a Oratino, XVII Ed. 7 Agosto 2020