Del dolore
7 Luglio 2019
laFonteTV (3910 articles)
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Del dolore

Un bimbo, giocando nel parco in compagnia di mamma e papà, ad un certo punto inciampa e cade a terra. In quegli attimi cerca di metabolizzare l’accaduto e una delle prime cose che fa è quella di volgere lo sguardo ai genitori e, in funzione della loro reazione, decide se piangere o fare finta di niente. La figura genitoriale che si preoccupa e che corre in aiuto al bimbo caduto sottolinea la drammaticità dell’evento e il bimbo “vittima” si comporta di conseguenza con pianti e urla; viceversa genitori che analizzano la caduta e che non mostrano eccessiva preoccupazione, perché di fatto non c’è nulla di cui preoccuparsi, trasmettono al bimbo sicurezza e viene naturale per lui rialzarsi e cominciare  di nuovo a correre, incurante di eventuali doloretti. Siamo, tutto sommato, sempre correlati all’altro ed è bello che sia così perché ogni emozione deve essere condivisa e la nostra reazione diventa funzionale a come l’altro sa accogliere, nell’ascolto, il tuo dolore.

In questo numero voglio dare il mio contributo di riflessione e di denuncia partendo da ciò che inevitabilmente, prima o poi, colpisce ciascuno di noi: il dolore. Dolore fisico, dolore ideologico, dolore interiore; vari livelli di dolore che possono essere sopportati agevolmente o che, invece, provocano un disagio notevole. Un mal di denti diventa atroce quando non si riesce a controllarlo e diventa necessario l’estrazione ossia rimuovere alla radice il problema. Una delusione amorosa, che toglie il respiro, ti fa sentire inadeguato rispetto ai sentimenti che vibrano nel tuo cuore per l’altro a tal punto da dire basta e voltare pagina. Una ideologia, che qualcuno rivestito di autorevolezza  stravolge, ti fa sentire vittima di un sistema che non ti appartiene e che vorresti con tutte le tue forze combattere accorgendoti poi di essere una pagliuzza in mezzo ad un cumulo di grano, apparentemente solo ma insieme a tante pagliuzze che messe insieme possono prendere fuoco e rendere cenere tutto ciò che è prevaricazione, ingiustizia. Dolore interiore che provi quando ti vengono meno gli affetti più cari e sperimenti che non puoi fare nulla per vincere o risolvere questo dolore.

Genitori che perdono drammaticamente dei figli, figli che perdono genitori, mariti o mogli che perdono la compagna o il compagno dei progetti di vita. Tutti siamo toccati nel profondo, nell’intimo quando si subisce uno strappo carnale che non è sanabile. Puoi limitare il sanguinamento, puoi sopire il dolore, ma non lo puoi eliminare. Come si può eliminare dai propri pensieri qualcuno che non c’è più? Tanti detti popolari sostengono che l’assenza dell’altro la si avverte proprio quando questi non c’è più fisicamente… troppo tardi, purtroppo. Ho avuto la grazia di metabolizzare strada facendo la possibilità di perdere un fratello, l’unico fratello di sangue.  Metabolizzare è una parola grossa poiché significa aver digerito l’evento ma non è proprio cosi. Oggi cominciano a mancare le telefonate, gli incontri, il dialogo a quattr’occhi, il confronto a 360 gradi, la condivisione a tavola dei piacere della gola. Un dolore inestinguibile di cui sei partecipe solo nel momento in cui ti tocca nel DNA. Tanti lutti abbiamo vissuto e ognuno di esso ci ha tolto qualcosa tanto che la macchina umana sembra non camminare più ma, nonostante tutto, i giorni passano, alcuni progetti svaniscono, altri si concretizzano e viene fuori lo stupore che ti fa chiedere da dove viene fuori tanta forza. L’uomo ha riposto nella fede tutto ciò che non riesce ragionevolmente a giustificare e questo gli consente di andare avanti e di fare sempre del proprio meglio.

Continuiamo ad arrabbiarci, anche per cose futili, continuiamo ad essere osservatori rigidi di un sociale che spesso non ci appartiene; vorresti dare il tuo contributo ma questo non è gradito anzi infastidisce non poco. Vorresti essere ascoltato ma ti devi sottomettere ad ascoltare perché comprendi che chi ti parla ha bisogno del tuo ascolto e non possiamo prevaricare l’altro. Milan Kundera nel suo Il libro del riso e dell’oblio sostiene che l’uomo tra i suoi simili lotta per accaparrarsi l’orecchio altrui. Per colui che cede il proprio orecchio sembra una sconfitta letale per l’equilibrio interiore. Non è così: un orecchio accaparrato non provoca dolore ma dona forza a chi lo cede perché sta sostenendo chi si rifugia nel parlare per condividere un dolore che lo logora.  Ecco che spesso hai bisogno di staccare tutto e pensare solo a te stesso per risollevarti e il processo può essere più o meno lungo ma estremamente necessario poiché il dolore è sempre un peso che per essere portato deve trovare un fisico ben allenato e ben disposto alla fatica.

Ritengo che il dolore possa diventare uno strumento per rigenerarsi ma lo devi attraversare, conoscere, affrontare e lo devi vincere per non diventarne vittima.☺

 

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