Didattica e inclusione
9 Marzo 2022
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Didattica e inclusione

Didattica e inclusione, se ne parla molto. Un binomio che si cerca di rendere sempre più concreto e operativo, ma che tuttavia nasconde ancora alcuni aspetti poco chiari.

Per approfondire meglio qualche nodo della questione, utile risulta la lettura di Un’altra didattica è possibile, il nuovo volume che Dario Ianes (docente ordinario di Pedagogia e didattica dell’inclusione all’ Università di Bolzano e cofondatore del Centro Studi Erickson di Trento, nonché saggista e direttore della rivista DIDA) ha dedicato al tema, spiegando essenzialmente qual è il punto di partenza per costruire questo nuovo approccio didattico, non più solo “raccoman- dato”, o “possibile”, ma assolutamente necessario.

È la didattica di tutti i giorni, quella ordinaria, il luogo dove si vince o si perde la scommessa dell’inclusione, questa la tesi fondamentale su cui si regge tutto il saggio. Sono infatti gli insegnanti curricolari, afferma Ianes, che fanno l’inclusione, che non può dunque essere delegata ai soli insegnanti di sostegno.

“Su queste basi – scrive – abbiamo raccolto esempi possibili di pratiche di ordinaria inclusione, tanti tasselli verso una scuola che abbia tre grandi valori costitutivi: l’equità, l’efficacia e un deciso orientamento ai saperi e non alle nozioni. Se crediamo che la scuola debba essere il grande luogo della grande giustizia, cioè dell`equità, del coraggio di fare parti disuguali tra disuguali, se crediamo che la scuola debba essere il luogo dove tutte/i vivono occasioni davvero efficaci di apprendimento, in grado di cambiare in meglio le loro traiettorie di vita, se crediamo a una scuola dei saperi profondi, essenziali e non del barocchismo dei fantacurricoli di conoscenze destinate a un rapido oblio, allora siamo pronti per discutere di universalità, pluralità delle esperienze di apprendimento, autodeterminazione e libertà di scelta, valutazioni formative invece di paranoie dei voti… Questa è l’altra didattica che non è solo possibile, ma è anche necessaria”.

Una buona inclusione, è noto, parte da una conoscenza approfondita della propria realtà, e da una disamina onesta dei punti di forza e di debolezza. Analisi che non viene sempre fatta in maniera concreta, efficace, nelle varie esperienze territoriali e che si accompagna anche ad un altro “nemico” di una didattica sinceramente inclusiva: quel sostanziale scetticismo verso la sua applicazione, e la colpevole scarsità, in particolare nel nostro paese, di ricerca. Ianes ne parla apertamente, definendo l’Italia il paese della retorica autocelebrativa e della finzione. La scuola, e l’ inclusione, spesso non sfuggono a queste trappole. Molto spesso, nella realtà, incontriamo nella didattica ordinaria un’inclusione di facciata, che nasconde microesclusioni, discriminazioni, situazioni di incapacità, di delega del “caso” al solo insegnante di sostegno, e così via. Diciamo pure che, dietro un falso atteggiamento sincero, (della serie “all’inclusione ci si deve credere, o almeno far finta di crederci, perché è cosa buona e giusta”), si trovano molti inclusioscettici, che non si scandalizzerebbero per delle moderne classi speciali, naturalmente ridefinite”.

Leggendo il bel volume di Ianes, si evince che una nuova, interessante chiave di lettura e di azione rinnovante potrebbe essere rappresentata da quelle che lui stesso definisce “nuove ecologie” di supporto all’ inclusione, ossia una serie di attività di aiuto metodologico, tecnico, formativo, di supervisione agli insegnanti perché non si sentano soli ad affrontare le difficoltà quotidiane, sia dell’ apprendimento che del comportamento, delle relazioni e delle emozioni.

“Accanto ai docenti di sostegno, esistono ormai varie figure professionali, educatori, assistenti all’ autonomia e comunicazione, esperti ABA, tutor dell` apprendimento, sportelli autismo, eccetera, che costituiscono, accanto ai sevizi pubblici, una serie di ecosistemi di supporto alla scuola e alle famiglie”. È il cambio di paradigma secondo il quale queste figure non lavorano più in via esclusiva sull’alunno con difficoltà ma “abilitano i contesti naturali di vita dell’ alunno”, formando e supervisionando sul campo le competenze necessarie.

Un ultimo aspetto, approfondito nel libro, sul quale vale la pena di soffermarsi, riguarda la “codocenza”, un nuovo modo di gestire la classe partendo da una programmazione condivisa e coordinata. Ianes la sintetizza in modo efficace: “La codocenza implica tempo per progettare insieme, sufficiente stima reciproca, una visione condivisa del proprio ruolo professionale e della scuola che si vorrebbe, e una chiara divisione di ruoli nel processo di gestione delle occasioni di apprendimento, secondo vari copioni e approcci di cui oggi è disponibile una sufficiente letteratura, ad esempio gestire due gruppi eterogenei, supervisionare il lavoro di cinque piccoli gruppi cooperativi, regolare il flusso di alunni in una didattica aperta a stazioni, interpretare ruoli che stimolino diversi processi di pensiero negli alunni, come quello convergente, divergente, analitico, globale, ecc. Con una codocenza inclusiva i docenti possono entrare più da vicino nei processi microrelazionali e cognitivi dell’apprendimento, gestendo molto meglio i feedback e la valutazione formativa che è uno dei motori fondamentali dell’ apprendimento”.

C’è da attingere soprattutto entusiasmo e fiducia nelle buone prassi che possono migliorare qualitativamente il nostro lavoro, a vantaggio dei più fragili. Buona lettura.☺

 

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