diversità invisa
19 Aprile 2010 Share

diversità invisa

 

Strana storia quella del libro di Ester: esso narra le vicende di una ragazza ebrea che viveva in diaspora e che per la superbia e mancanza di furbizia di un’altra donna riesce a diventare regina. E qui si potrebbe chiudere il racconto, in quanto non ha nulla di diverso dalle tante favole di una volta che si concludevano con la frase: “e vissero felici e contenti”. Invece il racconto contiene un imprevisto: il popolo di Ester diventa oggetto di una persecuzione e la neoregina è sollecitata a intervenire, anche a costo della propria vita. Alla fine l’intervento di Ester sortisce un buon effetto e coloro che volevano uccidere gli ebrei sono messi a morte a loro posto: un lieto fine con qualche condanna a morte!

La stranezza di questo libro, in realtà, consiste nella stessa forma in cui è giunto fino a noi: esso ci è tramandato in due redazioni: quella ebraica (riconosciuta come testo sacro dagli ebrei e dai protestanti) e quella greca (riconosciuta come testo sacro dai cattolici). La differenza tra i due racconti consiste nello spazio dato a Dio: nel testo ebraico Dio è del tutto assente, tranne una piccola allusione in 4,14: “Se tu in questo momento taci, aiuto e liberazione sorgeranno per i Giudei da un altro luogo; ma tu perirai insieme con la casa di tuo padre”. Nel testo greco, invece, tutto quanto avviene è in qualche modo ricondotto alla richiesta di intervento di Dio e di protezione per i personaggi. Penso che sia significativa questa doppia tradizione, in quanto la persecuzione a cui il popolo di Israele è stato sottoposto soprattutto nel secolo scorso (ma anche in molte occasioni precedenti e successive) non ha avuto una motivazione esclusivamente religiosa e gli stessi ebrei perseguitati spesso lo erano solo perché ebrei di sangue, anche se ormai non più credenti o praticanti.

Il diverso modo di raccontare la stessa storia rende giustizia di ogni categoria, non rende maggiormente martire chi viene ucciso per la fede, né allo stesso tempo giustifica i carnefici se non toccano i privilegi della religione, quando decidono di colpire alcune categorie di persone. In fondo, il motivo per cui il perfido Aman, plenipotenziario del re persiano, decide di prendersela con gli ebrei, non è la religione, ma il loro ostinarsi a voler essere diversi dagli altri: “Vi è un popolo segregato e anche disseminato fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re; non conviene quindi che il re lo tolleri!” (3,8). E’ la diversità del popolo che lo rende inviso agli altri, è la diversità espressa dall’uomo in tante forme (naturali o culturali che siano) che provoca la diffidenza, che pian piano monta in odio aperto, scaricando su chi è diverso tutta la rabbia per le proprie frustrazioni: siamo di fronte alla costruzione del capro espiatorio, sempre presente in tutte le società che decidono di abdicare alla propria ragione per farsi guidare da un istinto collettivo di sopraffazione.

Il giorno della memoria che si celebra in gennaio, ricorda non la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, ma piuttosto l’ostentazione al mondo di quale abiezione l’umanità sia capace. Noi, infatti, celebriamo innanzitutto il ricordo dei figli di Israele sterminati a milioni dai nazisti e dai loro accoliti (fascisti compresi!); ma insieme a loro ricordiamo tutti coloro che volevano vivere la loro diversità all’interno del consesso umano: omosessuali, zingari, persone di colore, testimoni di Geova, oppositori politici, cristiani senza chiesa e ecclesiastici coraggiosi, credenti in Dio e semplici credenti nell’uomo e anche, magari, quelli che volevano credere solo in se stessi e avevano il diritto di farlo per il semplice fatto di essere uomini; infine, milioni di bambini che ancora non sapevano che cosa significasse la diversità ma avevano una vita davanti per lottare ed arrivare ad essere se stessi.

La vergogna di Auschwitz, purtroppo, non ha insegnato molto a un’umanità che si ostina ancora a mettere paletti, ad escludere chi è diverso, magari appellandosi a sacrosanti principi naturali oppure a pretese superiorità di religioni conformi alla ragione, come se le ragioni del cuore fossero meno degne di quelle della fredda logica mentale. Il libro di Ester nella doppia veste religiosa (greca) e laica (ebraica) ci ricorda che Dio è dalla parte di ogni uomo perseguitato, per il fatto stesso di essere perseguitato, emarginato, oppresso; il fatto, poi, che Dio si è incarnato in un figlio di Israele, deve ricordare a noi cristiani, spesso tentati dal conformismo, che se Dio ha scelto di manifestarsi nella diversità, non possiamo imporre un punto di vista spacciandolo per universale, ma piuttosto dobbiamo servire semplicemente l’uomo affinché possa arrivare ad essere pienamente se stesso, per costruire un mondo di preziosi pezzi unici e non di banali riproduzioni industriali.

Che non ci accada, con il nostro perbenismo, di trovarci a combattere contro Dio oppure di rimanere inerti mentre la dignità umana viene calpestata, perché altrimenti Dio farà sorgere altrove la liberazione, e noi saremo condannati all’estinzione per inutilità.  ☺

 

 

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