
Economia di pace
Alla presenza di economisti, rappresentanti di Attac Italia, Pax Christi, e di movimenti in lotta per l’ambiente, abbiamo confermato la volontà di organizzare un seminario residenziale sullo stato dell’arte dell’economia di pace. L’ipotesi è di coinvolgere, oltre i promotori, anche i referenti di “Economy of Francesco”, dell’associazione “Laudato Sí”, delle economie trasformative. Faremo il punto anche sull’economia Ghandiana. L’obiettivo è di organizzare, dal 28/30 aprile a Tocco Casauria (PE), un evento formativo di contronarrazione e di azione per valorizzare esperienze in atto sul tema “Finanza, guerra e ambiente”, ma anche “Città e finanza”. Vorremmo affrontare in una delle sessioni anche il tema della conversione delle industrie belliche catalogandole come attività economiche improduttive e distruttive. Centrale comunque il tema più realistico delle riduzioni delle spese militari. Sarà nostro ospite il protagonista del docufilm Il successore alla presenza del protagonista, ex titolare dell’industria di mine ora dismessa.
Dai grandi impegni per una economia disarmata, contro una economia che uccide o per una riconversione dell’economia, ora è giunto il momento di mettere a tema che cos’è l’economia di pace. Al contrario l’economia bellica è il braccio armato dell’economia di mercato. La sicurezza nazionale è il totem attraverso il quale si superano le regole e il commercio internazionale. L’industria bellica è trainante rispetto alla ricerca, sfugge alla logica di riduzione dei costi e alle regole del mercato, in cui non esiste il problema dell’efficienza ma solo dell’efficacia. Questa impostazione. che proviene anche dagli USA. genera negli ambienti accademici forti preoccupazioni. L’economista Jeffrey Sacks durante le elezioni statunitensi che contrapponeva Hyllary Clinton a Trump dichiarò, in un articolo, che Hyllary avrebbe rilanciato l’industria bellica. La vera sicurezza nazionale è la sopravvivenza del pianeta e semmai quella di riconvertire la tecnologia bellica a beneficio di settori ambientali. L’industria bellica è improduttiva, distruttiva e crea instabilità anche quando è solo deterrente. La società della guerra non è la sorella cura. Negli USA esiste una preoccupazione forte per il divario tra l’élite e la vita della gente comune. Anche guardando altre parti del pianeta in conflitto, come la Palestina, potremmo dire che quello che accade lì, anche in termini di sorveglianza, è una anticipazione della condizione globale. In questo la finanza ha contribuito alla concentrazione di ricchezza.
Da qui le élite ipotizzano che per arginare l’insostenibilità di questo modello socio-economico, si possono percorrere due strade: riduzione generalizzata del livello di vita e dei consumi o riduzione drastica della popolazione mondiale. Esiste un livello di vita della gente comune che i modelli economici attuali non prendono in considerazione, per esempio in questo momento il PIL non fa registrare la crisi economica delle persone alle prese con il caro bollette e i prezzi sempre crescenti dei prodotti compensati dai profitti delle industrie delle armi e delle multinazionali delle fonti fossili. Ci si chiede: è possibile un altro modello? Un’ economia di pace mette in discussione il modello liberista del capitalismo e forse non solo quello. Quale potrebbe essere un’altra via? In Sardegna ci sono tentativi di sottrarsi al ricatto del lavoro connesso agli armamenti, alcuni comuni si sono dichiarati war-free e hanno iniziato pratiche di economia non bellica. Ridurre l’impatto dell’economia sulla natura è la soluzione, non ipotizzare soluzioni demografiche aberranti. Se l’economia aumenta il suo impatto distruttivo, l’incremento del PIL per chi è? Vi sono esperienze di trasformazione dell’economia da bellica a war free.
Rispetto a questo occorre avere una traccia comune, una presa di coscienza collettiva ed un agire. Occorre provare a ragionare sulle false narrative, ricalibrare lo sguardo. La finanza, la guerra e l’impatto sull’ambiente non sono il nostro modello di sviluppo. Occorre proporre gruppi di movimenti sociali interessati alla trasformazione.☺