Finanza taroccata
25 Febbraio 2010 Share

Finanza taroccata

La visione ideologica dell’econo- mia in crescita infinita in un mondo finito, nel sistema della assoluta libertà dei mercati (non delle persone), sosteneva che la ricchezza prodotta dalle classi medie, dalle imprese mondializzate o dai nuovi protagonisti del mercato, prima o poi, sarebbe sgocciolato a valle beneficiando anche i più poveri. Lo sgocciolamento, in realtà, non è mai accaduto. Di fatto, l’umanità così globalizzata non solo non ha ridotto lo zoccolo duro di un costante miliardo di poverissimi, sotto la soglia simbolica di un dollaro al giorno (cfr gli obiettivi del Millennio già dichiarati in parte irraggiungibili), ma ha prodotto ulteriori poveri tra i poveri e ha generato devastanti dinamiche di povertà dentro i paesi più ricchi. 

La  crisi  attuale è definita dall’ag- gettivo finanziaria ma nella sostanza si è rivelata come economica e sociale: ha reso molti, in ogni continente, più poveri e ha disarticolato il tessuto sociale sia dei poveri che dei ricchi. Venuta meno l’intelaiatura vincolante di regole, controlli, azioni di governo, complemento necessario a bilanciare la libera ricerca del tornaconto personale, la crisi si svela politica ed istituzionale: è il fallimento della politica economica prima che della finanza dei mercati. Le radici attingono ad una certa cultura intellettuale e antropologica; alimentata, comunque, da atteggiamenti divenuti prevalenti e accettati acriticamente nelle nostre società. Quante volte abbiamo sentito i rappresentanti degli opposti schieramenti politici autodefinirsi innanzitutto liberali e sostenitori del mercato, quasi avessero vergogna a pronunciare e unire la parola sociale. I due aggettivi, liberale e sociale, non confliggono con il sostantivo democrazia, anzi si accompagnano ad essa ma ne delineano due prospettive con orientamenti, percorsi e obiettivi diversi.  Purtroppo «il mondo dormiva nel sonno dogmatico della perfezione del  mercato», in una sorta di «contagio sociale» nel quale l’opinione dominante impediva di sentire le voci discordanti che pure c’erano – soprattutto dal sociale – quasi fossero ultrasuoni che l’orecchio non percepiva. La crisi finanziaria dei mutui americani e annesso fallimento di banche d’affari è “l’epifenome- no”, il punto in cui la tela intessuta, da anni sottoposta a tensioni, si è strappata.

            La recente  bolla speculativa sui prodotti agricoli – ha vertiginosamente innalzato i costi dei prodotti finali al mercato, mentre ha distrutto i prezzi alla produzione – non lascia dubbi sui danni che un certo modo di fare impresa, mercato e finanza può generare nell’economia reale e nella vita sociale. La presunta scarsità, per alcuni, sarebbe legata alla esplosione demografica mondiale. La presunta crisi non è prodotta dalla scarsità rispetto alle bocche ma dalle strategie dei mercati opulenti. La frontiera delle possibilità tecnologiche, ammonisce la Fao, è ben al di là dei bisogni attuali, anche se in futuro dovrà misurarsi con una sostenibilità ambientale oculata e programmata. E’ sintomatico, inoltre, come solo nel 2009, per la prima volta in trent’anni di esistenza, il G8 ospitato in Italia abbia messo a tema l’agricoltura.

La crisi finanziaria

Ci sono tre date spartiacque. Il sistema di Bretton Wood (1944) aveva  avocato nelle mani di autorità pubbliche (governi e banche centrali) la fissazione dei tassi si cambio e la gestione dei flussi internazionali di capitale, imponendo così una forte collaborazione tra le banche centrali; inoltre ogni moneta aveva un cambio fisso col dollaro e questo con l’oro. Il 15 agosto 1971, esaurite le riserve auree per la guerra del Vietnam, Richard Nixon dichiarò gli USA liberi da quest’impegno. Le monete furono sciolte dall’ancoraggio: quella americana dalla conversione in oro e le altre dal cambio fisso col dollaro. Nell’ottobre 2002 George W. Bush annuncia: «vogliamo che tutti gli americani siano proprietari della loro casa» e l’anno successivo firmò il «Dream Dowpayment Act» che offriva sussidi alle famiglie meno abbienti per l’acquisto di un’unità immobiliare. Ciò ha scatenato una corsa a mutui con volumi  altissimi di crediti da parte delle banche. Come recuperare i crediti concessi? Aspettando il ritorno a rate come da sempre si usa. Ciò comporta, per la banca, avere meno liquidità disponibile mentre sono tenute ad averne circa un 10% del volume complessivo come capitale solido, reale. Come risolvere il problema? Con due operazioni semplici: i prestiti, passivi per la banca, non vengono iscritti in bilancio, sebbene questi vengano approvati dagli organi preposti, mentre il volume dei prestiti viene recuperato subito con il sistema delle cartolarizzazioni. Una banca di affari acquisisce e trasforma in nuovi titoli da piazzare sul mercato il credito/debito di una banca commerciale: sono i cosiddetti “subprime” nella categoria dei “derivati”, con offerte allettanti di un maggior guadagno, connesso però ad un maggior rischio su cui normalmente si tace. È un’operazione finanziaria sempre avvenuta in occasione di grandi prestiti per grandi opere, ma normalmente solo tra banche o tra grandi imprese. Ora il vantaggio del mercato mondiale senza vincoli consente di spalmare simili operazioni su tutto il globo: un mondo intero di clienti. Si moltiplicano così le “agenzie finanziarie” i cui operatori sono pagati a “cottimo” o a “portafoglio” ovvero secondo la quantità di operazioni/clienti che racimolano, in una fantasmagorica creazione di titoli, che in fondo non si sa a cosa corrispondono. Per convincere il piccolo cliente le banche, e, da noi, finanche le poste puniscono il risparmio vero con insignificanti tassi utili e seducono a guadagnare di più e subito con dubbie proposte di operazioni finanziarie. Perché dubbie, direbbe qualcuno, ci sono le società di “rating” che puntualmente danno un voto ai titoli, consentendo di essere tranquilli. Non si dice però che queste società sono pagate dalle banche e sono agenzie private non “istituzionali”. Non sono – per intenderci – come i NAS dei carabinieri -istituzione pubblica – che controllano a favore del cliente se un prodotto sia buono, scadente o scaduto ed, eventualmente accadesse, puniscono il produttore e il commerciante a tutela della salute del consumatore. Le società di rating dichiarano “buono” un titolo a favore delle banche secondo una prevedibile, a loro parere, “solvibilità” (= buon esito) dell’operazione. Gli operatori di tutti questi processi finanziari  sono stati pagati, nei vari livelli, con cifre stratosferiche.

            Questo coacervo di operazioni fu detta finanza creativa. Proprio i maggiori speculatori, come Soros, avvertivano che era una bolla speculativa (conteneva solo aria non beni reali) ma i governi, le istituzioni pubbliche, le banche centrali hanno lasciato fare, sebbene fosse evidente un processo non trasparente, ingannevole, ad utilità di alcuni (da noi “i furbetti del quartiere”), con possibile e purtroppo reale danno per tutti: una vera attività criminogena anche se di alto livello. Oggi conosciamo il valore di quella bolla: ha prodotto una quantità smisurata di titoli “tossici”; nel 2002 il valore totale dei “derivati” corrispondevano a 106 mila miliardi di dollari, nel 2007 erano arrivati a 596 mila miliardi di dollari. I governi hanno dovuto ricomprare una quantità enorme di titoli anche “tossici” con i soldi, questi sì, “veri e buoni” dei contribuenti.

            La ricostruzione pecca volutamente di assenza di linguaggio tecnico e di eccessiva semplificazione per individuare il nodo fondamentale della crisi oggetto del prossimo passaggio: il punto dolente dell’assenza della politica, dell’omissione di governo. ☺

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