Frugare nella calza
7 Gennaio 2022
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Frugare nella calza

“La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col cappello alla romana
viva viva la Befana!”

E chi non ricorda la filastrocca dedicata alla vecchietta più aerea d’Italia, tanto popolare da moltiplicarsi in varianti sul tema da regione a regione? Io devo averla imparata a scuola, non so, di sicuro quando già conoscevo la Befana, con la sua vecchia scopa di saggina e le sue calze ricucite che mi accompagnano dalla prima infanzia.

Da piccola, a dire il vero, mi dava un po’ai nervi il fatto che gli altri bambini ricevessero dei doni a Natale, che quei doni fossero impacchettati con carte eleganti e luminose, che vi avesse provveduto Babbo Natale, panciuto e di rosso vestito, mentre io e mio fratello – chissà perché, per quale minorità – dovevamo attendere dieci giorni dopo il Natale per vederci recapitata da una vecchia grinzosa e dall’aspetto mattoide una calza sghemba e sbocconcellata, di colore improbabile, null’affatto setosa, con dentro solo qualche soldino, cioccolatini e caramelle in modica quantità, mandarini e carbone doc, aglio alla bisogna, un breve biglietto, sempre.

Poi, però, alla bizzarra Befana mi sono finanche affezionata e le sue calze le ho attese con ansia ben oltre gli “anta”, anzi, da che con mio padre è venuta a mancare la mia personale befana, sento in quel giorno una dolceamara nostalgia dei piccoli doni intrufolati nella calza da rovesciare a fatica sul tavolo, soprattutto avverto la mancanza dell’amore fatto di attenzione discreta che essi volevano significare; naturalmente, poiché dopo le rivendicazioni e i distinguo giovanili si tende ad essere assai simili ai propri genitori, la tradizione della Befana alla bisogna l’ho resa mia e destinata ai nipoti, ai quali preparo con cura le mie calze consunte e colme in misura uguale a quella paterna di dolcetti da poco, carbone e mandarini, aglio e bigliettini, qualche spicciolo, un indicibile affetto.

Oltre al vincolo familiare e sentimentale, mi lega alla Befana una simpatia che ha diversi “perché”. La Befana mi piace perché è stramba, sui generis, e non si vergogna affatto di esserlo; mi piace perché briosa vola in cielo e con un mezzo di fortuna, e di notte, e al gelo; mi piace perché è ben vecchia e piuttosto sgraziata e non lo nasconde; mi piace perché è burbera e non regala a iosa, ma utilizza una misura equilibrata, temperante, di premio e privazione; mi piace perché nelle sue calze tra il dono dolce, il soldino, l’immangiabile carbone c’è un concentrato di umanità, ci siamo noi con i nostri piccoli e grandi difetti, con le immancabili meritorie virtù; mi piace la sua apparizione, la sua epifania, perché è una bella dritta morale, solo che guardiamo al contenuto delle nostre calze e riflettiamo sul buono e sul cattivo che siamo stati e ne gioiamo o ci proponiamo di correggerci, a seconda: intanto la vecchietta, deposta la sua scopa nodosa e schiacciato un pisolino, sarà già affaccendata a predisporre l’ennesimo giro, per recapitarci puntuale il suo memento l’anno che verrà.

Se mio padre fosse stato ancora qui a complottare con la Befana, sono sicura che avrebbe infilato nella mia calza carboni e agli, mandarini e caramelle, un consiglio accorato; io, con uno sforzo di fantasia, voglio frugarci lo stesso nella calza che non c’è, e vederci il bello e il brutto, per ravvedermi ed agire al meglio e continuare a sperare.

L’anno appena passato tra un anno passerà: in onore della infaticabile vegliarda italica, degli affetti che mi suscita, dello sguardo vigile che mi ha dedicato per una vita, farò in modo che non sia questa l’unica novità.

A presto.☺

 

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