geografia sovversiva
24 Febbraio 2010 Share

geografia sovversiva

Fra le varie cenerentole della scuola italiana, quella a cui spetta il più accorato attestato di solidarietà è la geografia. Una disciplina poco amata da chi la insegna, poco considerata da chi è – suo malgrado – costretto a infilarla fra i compiti pomeridiani, poco seguita da chi dovrebbe curare la formazione e l’aggiornamento dei docenti. Un errore metodologico, culturale, educativo, cui da più parti, faticosamente, da almeno trent’anni, si sta cercando di rimediare cercando di metterne in luce la profonda valenza pedagogica ed interculturale, considerato che nello spazio fra il soggetto e il mondo in cui si situa l’educazione, la geografia costituisce un osservatorio privilegiato di primaria importanza per sviluppare una relazione solida con il mondo e con le persone, maturando un atteggiamento di apertura e curiosità verso le culture “altre”, verso la diversità, verso il lontano.

La geografia, disciplina interculturale quasi per statuto epistemologico, attende di essere riscoperta anzitutto dai docenti, dei quali la spontaneità, la buona volontà, il senso di responsabilità e l’entusiasmo non bastano per affrontare la gestione di processi educativi come quelli che il mondo globalizzato oggi richiede: occorre padroneggiare una solida didattica progettuale, una metodologia innovativa e sperimentale, delle competenze specifiche nell’uso di strumenti nuovi.

Emergenze che l’ASAL – una Ong che opera in stretta collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune di Roma – si è caricata volentieri sulle spalle, proponendo un kit di tutto rispetto, “Mondovisioni” (a cura di E.M. Taviani, G. Brezzi, S. Garofalo e S. Seghizzi – www.asalong.org), ricco di percorsi didattici fra geografia e intercultura e centrato in modo particolare sulla valorizzazione della cartografia “intercul- turale”.

Quanti docenti di geografia la utilizzano? Chi ha la fortuna di poter appendere un planisfero alle pareti della propria aula (visto che talvolta nelle segreterie scolastiche ci si litiga lo spicciolo per il sapone del bagno… Tant’è, scenette italiane), quest’anno potrebbe anche appenderne due: quello di Mercatore e quello di Peters.

È noto che non esistono carte geografiche giuste e carte sbagliate, poiché l’unica rappresentazione fedele del pianeta resta il mappamondo e, di conseguenza,

 

ogni sua trasposizione su una superficie piana (ovvero ogni planisfero) comporta delle deformazioni: ogni cartografo, tuttavia, può scegliere cosa deformare, cosa sacrificare e perché.

E se Mercatore (al secolo Gerard Kremer, geografo fiammingo vissuto nel XVI secolo) scelse di sacrificare la reale superficie delle nazioni pur di costruire un planisfero funzionale alle rotte di navigazione e utile agli esploratori che in quel periodo inauguravano la lunga stagione delle conquiste coloniali europee, non si vede perché oggi il suo metodo di misurazione sia ancora quello esclusivamente utilizzato per la realizzazione di tutte le carte e gli strumenti didattici nelle scuole.

Viene da sé che il mondo rappresentato da Mercatore (in cui l’Europa è al centro del mondo e l’America Latina, l’Africa e l’Asia meridionale sono sacrificate e rimpicciolite in maniera geograficamente inaccettabile) è diventato funzionale ad una concezione eurocentrica, frutto della volontà egemone dell’Europa sul mondo e nell’imposizione della sua presunta superiorità cultuale sull’emisfero meridionale della Terra.

A guardarla bene, l’immagine del globo veicolata da Mercatore (e da tutti i planisferi che a lui ancora si rifanno per indiscusso rispetto ad un’indiscussa autorità), fa comodo a quel sistema globalizzato che vede il Nord dominante (economi- camente, culturalmente, finanziariamente) e il Sud oppresso e sfruttato, poiché riduce sensibilmente le superfici di tutti i territori che si estendono al di sotto dell’Equatore. Un errore che Arno Peters, storico tedesco, nel 1973 ha voluto correggere proponendo una nuova immagine del mondo, che restituisca dignità e spazio al Sud del mondo rispettando le reali proporzioni fra le superfici dei continenti.

Perfetto non è neanche il suo planisfero, che rispetto a quello di Mercatore deforma i contorni dei continenti e distorce a sua volta la percezione esatta dell’aspetto delle terre emerse. Ma è pur vero che propone simbolicamente, con garbata provocazione, un ribaltamento dell’ordine mondiale e della concezione etnocentrica che da secoli domina i rapporti Nord-Sud del mondo.

Insomma, una scuola che lavora per la liberazione dell’uomo, per l’umanizzazione della Terra e per la formazione della coscienza planetaria nelle giovani generazioni, può e deve saper fare un uso critico di certi strumenti che condizionano la lettura del mondo in un senso o in un altro.

“Mentre si fa strada la consapevolezza dell’ugua- glianza di tutti i popoli, occorre analizzare criticamente la nostra immagine geografica del mondo, che si basa ed è frutto di una rappresentazione cartografica condizionata da una mentalità ed una cultura eurocentriche”. Parola di Arno Peters. Che ben sapeva come in ogni carta geografica è custodita non la descrizione oggettiva e fotografica di un territorio (equivalenza errata con cui si identifica ancora troppo spesso la stessa geografia!), bensì il modo in cui un popolo, una cultura, un’epoca ha vissuto il suo rapporto col mondo, oggettivandolo graficamente.

Lo troviamo un po’ di spazio alle pareti delle nostre aule? Lo facciamo capire ai nostri ragazzi che domani mattina nell’ora di geografia non li interrogheremo sulle capitali ma ci prepareremo a essere cittadini del mondo, aperti e consapevoli? Tutti uguali sulla carta, per esserlo poi nella realtà. Si  deve, si può. ☺

gadelis@libero.it

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