Gesti inusuali
13 Ottobre 2023
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Gesti inusuali

Il mondo corre veloce, la tecnologia si perfeziona sempre di più e l’intelligenza artificiale acquista sempre più potere. Il progresso ha avvicinato il mondo e noi che lo abitiamo.
Personalmente faccio un po’ fatica a stare dietro a tutte le novità e sigle varie di oggetti tecnologici che non sono più chiamati con il loro nome ma identificati da sigle e numeri. Quando lavoro con i ragazzi, quello che io chiamo ancora telefono per loro è un X15, X16… smartphone di non so quale numero e serie ed io non ci capisco nulla. Non mi arrendo, però, e cerco di entrare in questo mondo di sigle imparando e scoprendo cose a me sconosciute dove io divento alunna e loro maestri.
In questi pomeriggi prescolastici e di recuperi, uno di loro mi ha chiesto di andare in bagno. Non avevo fatto in tempo a riempire il dispenser con il sapone liquido ma ero tranquilla perché c’è sempre una saponetta a disposizione. Dopo un po’ mi sento chiamare: “Non c’è il sapone. Come faccio?”. Rispondo che c’è una saponetta e che può usarla tranquillamente. “Non la so usare!!!” è la risposta. Così mi sono ritrovata ad insegnare l’uso della saponetta ed il divertimento legato ad essa perché continuava a scivolargli dalle mani. Da non crederci! Due minuti prima avevo davanti a me piccoli ‘Steve Jobs’ e due minuti dopo ridevano per una saponetta! Ancora una volta i gesti, quelli semplici, ritornano a farla da padrone. Forse andando troppo avanti nel semplificare la vita e quella dei nostri figli ci siamo persi qualcosa per strada.
Ora pigiamo, scorriamo, postiamo e ci relazioniamo in questo modo con gli amici e con il mondo. Mi chiedo se lo facciamo per davvero o se tutto ci scivola dalle mani, proprio come una saponetta. Che sapore hanno le emozioni e i sentimenti? Sono diventati automatismi di regole e princìpi o sono ancora frutto di una naturale spontaneità? Piccoli insignificanti gesti non andrebbero mai dimenticati.
Da bambina, mia zia mi portava sempre vicino al mare per farmi sentire il suo odore e mi raccontava di mio nonno, marinaio, le sue storie e mi parlava delle mie radici. Rimanevo incantata davanti a quel blu infinito e quell’odore e le sue parole le sento ancora. Ogni volta che ritorno nella mia città vado a sentire l’odore del mare.
Ora il mio sguardo ammirato si posa sul verde delle colline di fronte casa mia e si perde tanto da desiderare, pur sapendo di non esserne capace, un pezzetto di terra da lavorare e veder nascere nuovi frutti. È questa la ricchezza. La terra. Ed anche se a lavorarla ci sono mani straniere le nostre possono diventare di stimolo e di accoglienza anche per chi è forestiero. Far parte di una comunità non è solo sentirsi al sicuro perché si conoscono le persone giuste o perché si è entrati a far parte di una “noblesse oblige” che vanta un passato glorioso, che non vive attualizzandolo nel presente se non per i propri interessi e non alza lo sguardo ad un futuro prossimo.
È notizia di questi giorni che in Svezia i bambini, tornando a scuola, al posto dei dispositivi digitali introdotti negli anni passati, perché convinti migliorassero l’apprendimento, hanno trovato libri di carta, quaderni, fogli e penne che usavano i loro genitori. È più che giusto educare le nuove generazioni al “nuovo”, al progresso ma al tempo stesso ricordare piccoli gesti di usanze, cultura, appartenenza. La sfida è non lasciare che tutto ci possa scivolare dalle mani come una saponetta. Lottare invece per ciò che abbiamo e ci appartiene.
Questa poesia è tratta da una raccolta Conchiglie scritta da poeti africani. È un viaggio che parte dalle origini, si va dalle radici arrivando infine alla nostalgia che non passa mai, nostalgia per ciò che si è lasciato. Ma al tempo stesso volge lo sguardo al nuovo e all’amore nonché alla scoperta dell’altro. Ed anche alla fiducia e alla vita.
“Sento che le tue radici manifestano vigore e debolezza;
nel mio corpo, nella mia testa, nel mio sangue,
e tutto in me lo afferma.
Non so da dove vengo,
ma so che arrivo”.
(Perpetue Kassy)☺

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