
Il buon discepolo
“A chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Queste parole dette da Gesù probabilmente in origine erano un proverbio che affermava un’ovvietà: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Gesù, come è suo solito, usa queste parole in modo paradossale, per dire, cioè, esattamente il contrario. La frase in questione doveva piacere molto a Gesù e ai primi cristiani perché ricorre non solo in tutti e tre i primi vangeli, chiamati sinottici, ma in due di essi ricorre per ben due volte. In Matteo e Luca, infatti, troviamo le parole in questione sia all’interno dell’insegnamento in parabole, come in Marco (Mc 4,25; Mt 13,12 e Lc 8,18), sia alla fine della parabola dei talenti (Mt 25,29) o delle mine (Lc 19,26). In questo ultimo contesto il senso è abbastanza facile da capire: i discepoli di Gesù non saranno dei nababbi per le ricchezze di questa terra, ma hanno ricevuto dei doni che devono far fruttare; chi non lo fa e sotterra il talento (o la mina) non è un buon discepolo.
Un po’ più complicato è invece capire il senso di questo proverbio a proposito delle parabole, dove l’uso che se ne fa sembra un po’ stiracchiato. Prendiamo il testo più antico, cioè quello di Marco, che costituisce il modello anche per gli altri due vangeli, anche se con qualche variante sia nella collocazione (Mt) che nella formulazione (Lc): “Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mc 4,24-25). Il proverbio viene riferito alla capacità o meno di ascoltare dei discepoli che, poco prima, invece, sono stati indicati da Gesù come quelli degni di ricevere la spiegazione delle parabole, a differenza di altri che rimangono fuori dal “cerchio magico”: “A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole” (Mc 4,11). Il legame tra le due affermazioni è costituito dal verbo “dare”. I discepoli hanno ricevuto l’ insegnamento di Gesù perché sono stati pronti ad ascoltare, come il terreno della parabola che fa fruttificare il seme; con la frase successiva quindi Gesù dice ai discepoli di non adagiarsi sugli allori: non basta averlo ascoltato una volta, è necessario mantenersi sempre in atteggiamento di ascolto. Matteo ha capito così bene la questione che addirittura mette insieme i due detti: “A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mt 13,11-12). In tal modo, però, identifica coloro che non hanno con quelli che sono fuori dal cerchio magico, probabilmente i giudei che hanno rifiutato Gesù. In tal modo i discepoli di Gesù sono considerati in uno stato permanente di accoglienza del messaggio. Luca invece mantiene distinte le due frasi ma allo stesso tempo approfondisce il significato dell’affermazione sul dare e avere: “Fate attenzione a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere” (Lc 8,18). Non basta ascoltare, è necessario anche sapere come si ascolta, cioè la condizione in cui il discepolo si trova; quello che infatti Gesù rimproverava ai suoi interlocutori che non lo accoglievano può diventare la condizione anche di chi dice di averlo accolto ma continua a interpretare le parole di Gesù a modo suo.
Mi piace riportare una riflessione di Alex Zanotelli a proposito del luogo dove si legge il vangelo: un conto, diceva, è leggerlo abitando a New York, un conto è leggerlo mentre si abita a Korogocho, la baraccopoli di Nairobi. Il senso del vangelo cambia radicalmente, perché è la condizione di chi legge a stabilire cosa significhi, non solo la corretta comprensione grammaticale o teologica. I discepoli possono capire veramente le sue parole solo e nella misura in cui hanno assunto lo stile di Gesù, vivono la sua radicalità; altrimenti si corre il rischio di agitare un vangelo stampato mentre si sputa addosso agli immigrati, oppure elogiare la povertà di san Francesco rivestiti con i sontuosi orpelli del guardaroba clericale. Il miglior commento all’uso paradossale di un proverbio creato per l’ovvia costatazione dell’opulenza dei ricchi, ci è ancora fornito da Luca, con delle parabole altrettanto paradossali: “Chi di voi volendo costruire una torre non siede prima a calcolare la spesa?…Quale re partendo in guerra non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?…Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,28-33).
Chi si dichiara discepolo di Gesù senza seguirlo come lui vuole essere seguito, crede di farlo, ma è come quelli che hanno occhi e non vedono. Non gli sarà tolto nulla alla fine perché in fondo non ha nulla che valga la pena di essere salvato per la vita futura.☺