Il coraggio di esporsi
22 Marzo 2023
laFonteTV (3895 articles)
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Il coraggio di esporsi

Quanto siamo sensibili alla pubblicità? Quanto ci influenzano i divertenti spot che altro scopo non hanno se non quello di indurci all’acquisto di un determinato prodotto? E se poi protagonisti di tali amabili ‘trovate’ sono persone che stimiamo, ammiriamo, seguiamo sui media, qual è la nostra reazione?

Il messaggio pubblicitario caratterizzato dalla presenza di un personaggio noto, il quale garantisce al pubblico la qualità del prodotto reclamizzato, è espresso dal vocabolo inglese testimonial; in aggiunta il personaggio stesso, quasi sempre proveniente dal mondo dello spettacolo o dello sport, quindi una persona nota o di successo, è chiamato con lo stesso appellativo.

Il termine è stato adottato – e possiamo accorgercene nel nostro parlare quotidiano – compiendo una reinterpretazione semantica: originariamente, infatti, testimonial è “una referenza, una attestazione sui requisiti o sul carattere di qualcuno o qualcosa”. Si trattava in pratica di una presentazione scritta, molto formale, che il datore di lavoro redigeva a conclusione di un periodo lavorativo ed in cui venivano descritte le qualità di un ex dipendente. Questa lettera di referenze veniva (ma viene tuttora) rilasciata per facilitare la ricerca di un nuovo impiego.

Oggi, e in particolare nella nostra lingua, testimonial non è un resoconto scritto ma una persona famosa, in carne ed ossa, che pubblicizza un particolare prodotto. E per estensione sostiene una causa, denuncia una condizione, promuove iniziative filantropiche.

Possiamo facilmente cogliere la derivazione latina di questo vocabolo, che richiama l’italiano “testimone” e/o “testimo- nianza”: l’inglese, però, per questi ultimi ha un termine più lontano linguisticamente dal registro neolatino; propriamente, infatti, è witness la voce germanica per “testimone”, dove wit sta ad indicare le facoltà mentali, e di conseguenza allude alla persona che è in grado di riferire di un evento a cui ha assistito.

Perché ci soffermiamo su questa parola? Mentre scrivo, da qualche settimana è stata celebrata la Giornata della memoria, che puntualmente ha portato con sé anche le poche (si spera!) ridicole voci di dissenso; in questo anno 2023 sono purtroppo continuati gli insulti verso i testimoni – quelli sì, autentici – del tragico evento della Shoah: mi riferisco in particolare alla senatrice Liliana Segre, oggetto di offese da parte di coloro che negano la storicità di quei drammatici episodi del secolo scorso. E costoro altro non sono che coloro che, in rete, classifichiamo con altrettanti appellativi anglofoni (hater [pronuncia: heiter], troll, ed anche hacker); ad essi aggiungerei influencer, tanto di moda e con altrettanto seguito da parte delle più disparate “classi” di età. Sono, questi vocaboli – e i corrispettivi individui che li “impersonano” – tutto il contrario di testimonial!

Il nostro tempo esprime purtroppo, come nota Donatella Di Cesare, “la terribile superficialità con cui si usano le parole e con cui – in questo drammatico periodo – si ragiona (o si sragiona) di questioni epocali”. E prosegue, nel suo articolo del 27 gennaio scorso: “Lo spazio pubblico pullula di funamboli ed equilibristi, camaleonti della politica e acrobati della comunicazione. Ne abbiamo già viste letteralmente di ogni colore. Se la flessibilità può essere un vanto della ‘nazio- ne’, la furfanteria è l’altra faccia della medaglia. Doppiezza e simulazione, quasi ormai, non scandalizzano più”.

Allontanandoci dall’ambito pubblicitario, che com’è noto soggiace alle leggi del mercato,  testimonial indica colui/colei che difende una causa benefica, ne condivide le finalità e gli obiettivi, si adopera affinché ne siano compresi tutti gli aspetti, si rallegra in presenza di risultati soddisfacenti.

Pur se nella nostra lingua è presente il vocabolo “testimone”, è necessario riconoscere che esso non veicola il medesimo significato di testimonial poiché è assente l’ elemento di positività offerto dalla condivisione di quanto viene sostenuto e dichiarato, a fronte di altri tipi di testimonianza inerenti fatti di cronaca o azioni delittuose, il cui unico fine è l’accertamento della verità.

Chi svolge il ruolo di testimonial prende a cuore ciò per cui si sta impegnando, accoglie quella disposizione d’animo che don Lorenzo Milani sintetizzava nell’anglismo I care [pronuncia: ai cher] (= Io mi interesso) e non la abbandona rifugiandosi nel proprio egoismo.

Alla stazione centrale di Milano, il Binario 21 da alcuni anni è diventato il Memoriale della Shoah ed ha lo scopo di rendere omaggio alle vittime dello sterminio e, soprattutto, di non dimenticare. All’ ingresso i visitatori possono leggere una scritta, a lettere maiuscole, che riporta una parola: indifferenza. “Questa parola è stata scelta con cura e sta a rappresentare il sentimento che, più di ogni altro, ha fatto patire gli ebrei: l’indifferenza della gente nei confronti di ciò che stava accadendo durante tutto il periodo, non soltanto durante la deportazione”.

Un freddo muro come testimonial! Esso sta per ammonimento contro l’ indifferenza e la superficialità: per ognuno/a di noi restano valide le parole che il commediografo latino Terenzio fa dire ad un suo personaggio: “Sono uomo, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me”.☺

 

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