Avvicinandosi il “giorno della memoria” ad ognuno ritorna in mente qualche aspetto di quella immane tragedia che furono i cosidetti campi di lavoro, trasformati dal regime in campi di concentramento forzato, divenuti infine campi di sterminio per la “soluzione finale” che il sistema nazista aveva progettato per ebrei e per quanti riteneva appartenenti a quella umanità da cancellare, perché impura, perché indegna di vivere.
All’ingresso di tutti questi luoghi campeggiava la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi). Ironia macabra: mentre si deportava con la forza, si proclamava la condizione di libertà che il lavoro procura; mentre si massacrava senza alcuna colpa se non quella di appartenere ad una razza ad una categoria rifiutata, si affermava il caposaldo della cultura moderna: la nobiltà e dignità del lavoro, di ogni lavoro.
Tra le due guerre mondiali, nel 1919, nasceva l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che raccoglie il precedente cammino dal 1818 (Congresso della Santa Alleanza) alla prima guerra mondiale: il tema sociale del lavoro emerge sempre più nelle attenzioni istituzionali degli Stati e dei movimenti sociali di base. La costituzione dell’ILO viene redatta, tra gennaio e aprile del 1919, dalla Commissione Internazionale del Lavoro, costituita dal Trattato di Versailles, ed è formata dai rappresentanti di nove paesi (Belgio, Cecoslovacchia, Cuba, Francia, Giappone, Italia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti). Il Preambolo recita: «una pace universale e duratura non può che essere fondata sulla giustizia sociale»; alla prima conferenza internazionale del 1919 vengono adottate sei convenzioni: la prima di esse riguarda la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore al giorno e a quarantotto ore settimanali. Nel 1946 L’ILO è la prima Agenzia specializzata ad essere associata alla nuova organizzazione mondiale delle Nazioni Unite. Prosegue il lavoro fino ai giorni nostri con una attenzione puntuale ed encomiabile sulla problematica del lavoro, così come l’evoluzione dei fatti sociali e delle economie mondiali richiedono. Tra i tanti si vuol qui richiamare una delle ultime Convenzioni, la n.182 del 2002 sulla “Adozione di misure per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile” già ratificata da 162 nazioni, divenendo così la convenzione internazionale più ratificata, nel minor tempo, in tutta la storia dell’ILO (si può approfondire l’argomento e trovare i testi nel sito:http://www.ilo.org/public/italian/region/eurpro/rome/index.htm.
Dalle carte ai fatti la storia cambia volto. Prostrati come veri adoratori della trimurti divina costituita da globalizzazione economico-finanziaria, mercato ed esternalizzazione delle imprese, il lavoro, meglio il lavoratore è stato triturato nella macchina infernale di una progressiva marginalizzazione e sfruttamento come mai la storia aveva conosciuto, neppure all’epoca di Smith o di Marx. Allora si parlava di sfruttamento per sovraccarico di ore e sfruttamento con “salari” inadeguati, “da fame”, senza garanzie. Ma oggi con tutto il cammino di impegno etico-giuridico, compiuto dalle culture, dalle convenzioni e statuti, si è precipitati scientemente nella barbarie dello sfruttamento, del lavoro minorile, della precarizzazione del lavoro, della mancanza di tutela e garanzie, dello smantellamento del welfare, avvertito come minaccia al “progresso economico”.
Allora si parlava di lavoro, salario, tutela, salute, occupazione, disoccupazione, ecc… un vocabolario in cui era comunque contenuto un soggetto: l’uomo che lavora. Oggi si parla di esuberi, costi, profitti, ecc… lo stesso linguaggio rivela l’assenza totale del soggetto: l’uomo che lavora, cancellato dal vocabolario. E’ ormai oggetto da scartare ovvero “esubero” oppure onere eccessivo, macchina, come i bambini legati ai telai per un dollaro al giorno.
Si parla di impresa lavoro, ma si progetta l’annullamento del soggetto che lavora.
Che differenza potremmo fare tra questo nostro agire e i campi nazisti al cui ingresso era scritto “il lavoro rende liberi” mentre dentro si annullava non il lavoro – sfruttato fino alla morte delle persone – ma le persone umane ridotte a “fumo” nei forni come cantavano i Nomadi.
Siamo non di fronte ad “aggiustamenti” di sistema, ma a “sistemi di annientamento”, spacciati per “nuova economia”, mentre governi, chiese, movimenti sembrano sempre più in una situazione di afasia e di complice e indecente immobilità. Dire ad un uomo “non ho bisogno di te”, traduzione di esubero, è ucciderlo nella sua dignità e speranza.☺
Avvicinandosi il “giorno della memoria” ad ognuno ritorna in mente qualche aspetto di quella immane tragedia che furono i cosidetti campi di lavoro, trasformati dal regime in campi di concentramento forzato, divenuti infine campi di sterminio per la “soluzione finale” che il sistema nazista aveva progettato per ebrei e per quanti riteneva appartenenti a quella umanità da cancellare, perché impura, perché indegna di vivere.
All’ingresso di tutti questi luoghi campeggiava la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi). Ironia macabra: mentre si deportava con la forza, si proclamava la condizione di libertà che il lavoro procura; mentre si massacrava senza alcuna colpa se non quella di appartenere ad una razza ad una categoria rifiutata, si affermava il caposaldo della cultura moderna: la nobiltà e dignità del lavoro, di ogni lavoro.
Tra le due guerre mondiali, nel 1919, nasceva l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che raccoglie il precedente cammino dal 1818 (Congresso della Santa Alleanza) alla prima guerra mondiale: il tema sociale del lavoro emerge sempre più nelle attenzioni istituzionali degli Stati e dei movimenti sociali di base. La costituzione dell’ILO viene redatta, tra gennaio e aprile del 1919, dalla Commissione Internazionale del Lavoro, costituita dal Trattato di Versailles, ed è formata dai rappresentanti di nove paesi (Belgio, Cecoslovacchia, Cuba, Francia, Giappone, Italia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti). Il Preambolo recita: «una pace universale e duratura non può che essere fondata sulla giustizia sociale»; alla prima conferenza internazionale del 1919 vengono adottate sei convenzioni: la prima di esse riguarda la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore al giorno e a quarantotto ore settimanali. Nel 1946 L’ILO è la prima Agenzia specializzata ad essere associata alla nuova organizzazione mondiale delle Nazioni Unite. Prosegue il lavoro fino ai giorni nostri con una attenzione puntuale ed encomiabile sulla problematica del lavoro, così come l’evoluzione dei fatti sociali e delle economie mondiali richiedono. Tra i tanti si vuol qui richiamare una delle ultime Convenzioni, la n.182 del 2002 sulla “Adozione di misure per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile” già ratificata da 162 nazioni, divenendo così la convenzione internazionale più ratificata, nel minor tempo, in tutta la storia dell’ILO (si può approfondire l’argomento e trovare i testi nel sito:http://www.ilo.org/public/italian/region/eurpro/rome/index.htm.
Dalle carte ai fatti la storia cambia volto. Prostrati come veri adoratori della trimurti divina costituita da globalizzazione economico-finanziaria, mercato ed esternalizzazione delle imprese, il lavoro, meglio il lavoratore è stato triturato nella macchina infernale di una progressiva marginalizzazione e sfruttamento come mai la storia aveva conosciuto, neppure all’epoca di Smith o di Marx. Allora si parlava di sfruttamento per sovraccarico di ore e sfruttamento con “salari” inadeguati, “da fame”, senza garanzie. Ma oggi con tutto il cammino di impegno etico-giuridico, compiuto dalle culture, dalle convenzioni e statuti, si è precipitati scientemente nella barbarie dello sfruttamento, del lavoro minorile, della precarizzazione del lavoro, della mancanza di tutela e garanzie, dello smantellamento del welfare, avvertito come minaccia al “progresso economico”.
Allora si parlava di lavoro, salario, tutela, salute, occupazione, disoccupazione, ecc… un vocabolario in cui era comunque contenuto un soggetto: l’uomo che lavora. Oggi si parla di esuberi, costi, profitti, ecc… lo stesso linguaggio rivela l’assenza totale del soggetto: l’uomo che lavora, cancellato dal vocabolario. E’ ormai oggetto da scartare ovvero “esubero” oppure onere eccessivo, macchina, come i bambini legati ai telai per un dollaro al giorno.
Si parla di impresa lavoro, ma si progetta l’annullamento del soggetto che lavora.
Che differenza potremmo fare tra questo nostro agire e i campi nazisti al cui ingresso era scritto “il lavoro rende liberi” mentre dentro si annullava non il lavoro – sfruttato fino alla morte delle persone – ma le persone umane ridotte a “fumo” nei forni come cantavano i Nomadi.
Siamo non di fronte ad “aggiustamenti” di sistema, ma a “sistemi di annientamento”, spacciati per “nuova economia”, mentre governi, chiese, movimenti sembrano sempre più in una situazione di afasia e di complice e indecente immobilità. Dire ad un uomo “non ho bisogno di te”, traduzione di esubero, è ucciderlo nella sua dignità e speranza.☺
Avvicinandosi il “giorno della memoria” ad ognuno ritorna in mente qualche aspetto di quella immane tragedia che furono i cosidetti campi di lavoro, trasformati dal regime in campi di concentramento forzato, divenuti infine campi di sterminio per la “soluzione finale” che il sistema nazista aveva progettato per ebrei e per quanti riteneva appartenenti a quella umanità da cancellare, perché impura, perché indegna di vivere.
All’ingresso di tutti questi luoghi campeggiava la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi). Ironia macabra: mentre si deportava con la forza, si proclamava la condizione di libertà che il lavoro procura; mentre si massacrava senza alcuna colpa se non quella di appartenere ad una razza ad una categoria rifiutata, si affermava il caposaldo della cultura moderna: la nobiltà e dignità del lavoro, di ogni lavoro.
Tra le due guerre mondiali, nel 1919, nasceva l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) che raccoglie il precedente cammino dal 1818 (Congresso della Santa Alleanza) alla prima guerra mondiale: il tema sociale del lavoro emerge sempre più nelle attenzioni istituzionali degli Stati e dei movimenti sociali di base. La costituzione dell’ILO viene redatta, tra gennaio e aprile del 1919, dalla Commissione Internazionale del Lavoro, costituita dal Trattato di Versailles, ed è formata dai rappresentanti di nove paesi (Belgio, Cecoslovacchia, Cuba, Francia, Giappone, Italia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti). Il Preambolo recita: «una pace universale e duratura non può che essere fondata sulla giustizia sociale»; alla prima conferenza internazionale del 1919 vengono adottate sei convenzioni: la prima di esse riguarda la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore al giorno e a quarantotto ore settimanali. Nel 1946 L’ILO è la prima Agenzia specializzata ad essere associata alla nuova organizzazione mondiale delle Nazioni Unite. Prosegue il lavoro fino ai giorni nostri con una attenzione puntuale ed encomiabile sulla problematica del lavoro, così come l’evoluzione dei fatti sociali e delle economie mondiali richiedono. Tra i tanti si vuol qui richiamare una delle ultime Convenzioni, la n.182 del 2002 sulla “Adozione di misure per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile” già ratificata da 162 nazioni, divenendo così la convenzione internazionale più ratificata, nel minor tempo, in tutta la storia dell’ILO (si può approfondire l’argomento e trovare i testi nel sito:http://www.ilo.org/public/italian/region/eurpro/rome/index.htm.
Dalle carte ai fatti la storia cambia volto. Prostrati come veri adoratori della trimurti divina costituita da globalizzazione economico-finanziaria, mercato ed esternalizzazione delle imprese, il lavoro, meglio il lavoratore è stato triturato nella macchina infernale di una progressiva marginalizzazione e sfruttamento come mai la storia aveva conosciuto, neppure all’epoca di Smith o di Marx. Allora si parlava di sfruttamento per sovraccarico di ore e sfruttamento con “salari” inadeguati, “da fame”, senza garanzie. Ma oggi con tutto il cammino di impegno etico-giuridico, compiuto dalle culture, dalle convenzioni e statuti, si è precipitati scientemente nella barbarie dello sfruttamento, del lavoro minorile, della precarizzazione del lavoro, della mancanza di tutela e garanzie, dello smantellamento del welfare, avvertito come minaccia al “progresso economico”.
Allora si parlava di lavoro, salario, tutela, salute, occupazione, disoccupazione, ecc… un vocabolario in cui era comunque contenuto un soggetto: l’uomo che lavora. Oggi si parla di esuberi, costi, profitti, ecc… lo stesso linguaggio rivela l’assenza totale del soggetto: l’uomo che lavora, cancellato dal vocabolario. E’ ormai oggetto da scartare ovvero “esubero” oppure onere eccessivo, macchina, come i bambini legati ai telai per un dollaro al giorno.
Si parla di impresa lavoro, ma si progetta l’annullamento del soggetto che lavora.
Che differenza potremmo fare tra questo nostro agire e i campi nazisti al cui ingresso era scritto “il lavoro rende liberi” mentre dentro si annullava non il lavoro – sfruttato fino alla morte delle persone – ma le persone umane ridotte a “fumo” nei forni come cantavano i Nomadi.
Siamo non di fronte ad “aggiustamenti” di sistema, ma a “sistemi di annientamento”, spacciati per “nuova economia”, mentre governi, chiese, movimenti sembrano sempre più in una situazione di afasia e di complice e indecente immobilità. Dire ad un uomo “non ho bisogno di te”, traduzione di esubero, è ucciderlo nella sua dignità e speranza.☺
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