Il patriarcato è morto?
Questo governo non ci fa certo mancare motivi di sdegno e preoccupazione, ma soprattutto non finisce mai di sbalordirci con l’assoluta inadeguatezza dei suoi componenti.
A pochi giorni dalla giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il ministro Valditara pensa bene di mandare un video (non sia mai poi vengano poste domande scomode in diretta) alla cerimonia di inaugurazione della Fondazione sorta in memoria di Giulia Cecchettin, e dopo sconcertanti affermazioni sul patriarcato che ormai sarebbe un fenomeno scomparso, si esibisce in frasi che attribuiscono ai migranti l’aumento dei femminicidi: contro ogni statistica, contro ogni evidenza fattuale, con la serena sicumera di chi comanda e quindi dice ciò che vuole.
Poco importa al ministro che, come subito gli fa notare la sorella della povera Giulia, il femminicidio sia stato commesso da un italiano bianco e “per bene”, come d’altronde risulta a chiunque si informi su questa tragica realtà.
Pensavamo di avere fatto qualche passo avanti, nella consapevolezza di quanto sia disastroso il fenomeno delle violenze e delle uccisioni di donne; se non nel mondo, almeno nella “civile” Europa. Non è così, se dobbiamo sentir dire ancora che sono gli stranieri brutti e cattivi che uccidono e violentano le donne. Razzismo, ignoranza, che come sappiamo è un requisito importante dei razzisti, scarsa consapevolezza dell’emergenza violenza femminile: una perfetta summa dell’ ideologia di destra, che rischia di giustificare il fenomeno e minimizzarlo, oltre a creare il capro espiatorio ideale nel migrante, magari irregolare.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di violenza e di femminicidi? I numeri sono importanti, perché dato oggettivo: 600 donne uccise negli ultimi quattro anni, circa una ogni due giorni, per lo più dal partner o ex. Una donna su tre dichiara di essere stata vittima di violenza. Violenza che non si limita al solo danno fisico, perché la violenza di genere, nella definizione data da EUROSTAT, include violenza fisica, emozionale, riproduttiva e finanziaria. Ed è per questo che la Commissione Europea ritiene l’ eliminazione della violenza di genere e l’acquisizione di dati completi e attendibili un’assoluta priorità. Anche se come è facilmente intuibile il fenomeno può rimanere sottostimato perché devono essere le vittime a denunciarlo, e questo non sempre accade.
Ogni gesto di violenza contro le donne è “non folle o malato, ma figlio sano del patriarcato”: questo slogan, nato nel Cile e nell’Argentina attraversati, come del resto tutta l’America Latina, da disuguaglianze di genere enormi, rende bene ciò che sappiamo un po’ tutti (tranne evidentemente il Ministro di cui sopra), e che lo splendido film di Paola Cortellesi ha raccontato magistralmente: più esistono disuguaglianze di genere (econo- mico, culturale, sociale e di partecipazione politica), più le violenze e i femminicidi aumentano; mentre dove i mutamenti a livello sociale e di istruzione sono rapidi, tendono a diminuire altrettanto rapidamente.
Potremmo pensare che in Italia questa disuguaglianza sia ormai superata: ma il soffitto di cristallo è sempre lì, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini a parità di incarico lavorativo, e faticano ancora a farsi largo nell’agone politico. E che dire delle violenze coniugali, ancora sotto sotto considerate un “diritto” del marito? Non a caso uno degli slogan scelti quest’anno è proprio: se io non voglio tu non puoi. Se la donna poi denuncia uno stupro e affronta il processo, rischia ancora domande umilianti sul proprio abbigliamento e sul perché si trovasse in strada a ora tarda. A riprova che non basta l’esistenza di una legge per cancellare stereotipi introiettati in una cultura secolare, come il patriarcato.
Si sta facendo tanto, nelle scuole e nelle famiglie, per educare al rispetto e all’ idea che siamo persone, non esseri etichettati da un genere; ma non basta, se ancora in questi dieci mesi del 2024 sono state 90 le donne uccise. E certo le politiche di questo governo, patriarcale nel pieno senso negativo del termine, rendono difficile questo percorso che è necessariamente culturale. Niente educazione sessuale nelle scuole, divieto di parlare di casi in cui l’identità sessuale non coincide con quella emozionale, e via dicendo. Arriveremo ai libri vietati nelle scuole come nell’America di Trump? Non lo escluderei, considerando come la libertà costituzionale di espressione viene tutelata nel nostro Paese (vedi professor Raimo, al quale va tutta la nostra solidarietà…).
Ma certo non possiamo darci per vinti; il lavoro da fare è ancora enorme: per questo nelle piazze, nelle scuole, nelle associazioni, sul lavoro dobbiamo esserci, oggi più che mai. E soprattutto non tacere, non dimenticare, non lasciar correre. Lo dobbiamo anche a tutte le donne vittime di stupro, violenza e uccisione nei Paesi del mondo in guerra; donne che sono maggioranza silenziosa. Come se la perdita della vita di una donna, ancora oggi, fosse solo un “danno collaterale”.☺
