il secolo d’oro
27 Marzo 2010 Share

il secolo d’oro

 

Per conoscere la situazione della pittura napoletana sul far del Seicento si dovrebbe semplicemente entrare nella chiesa di S. Maria la Nova, alzare gli occhi al cielo e contemplare lo splendido soffitto cassettonato, che da solo costituisce una vera e propria pinacoteca di quasi cinquanta dipinti ed una vera e propria antologia delle correnti pittoriche napoletane. Possiamo così ammirare la maniera dolce e pastosa in tutte le declinazioni possibili che affollano il clima del nuovo secolo. Al centro giganteschi quadroni di Francesco Curia, di Girolamo Imparato, di Fabrizio Sanfede, ai lati i siciliani Gian Bernardino Azzolino e Luigi Rodriguez, il greculo Belisario Corinzio ed il fiammingo Cesare Smet.

I Maestri di bottega

Fabrizio Santafede, nato a Napoli intorno al 1560, è citato per la prima volta nell’atto di matrimonio del 1576 e ritenuto già all’epoca “famoso pittore”. Si forma sotto l’influsso del senese Marco Pino, operante a Napoli nell’ultima fase della sua attività. L’impronta del manierismo toscano, presente soprattutto nelle opere dell’ottavo e del nono decennio, cede il passo nella produzione più tarda non solo nello studio del Caravaggio, ma anche e soprattutto, a quello composto e aggraziato dei pittori riformati toscani, come Santi di Tito e il Passignano, sensibili agli echi della pittura veneziana. All’artista, lodato dalle fonti storiche, vengono assegnate importanti commissioni, le tele della chiesa di S. Maria la Nova (incoronazione della Vergine 1601-02), le due tele della cappella del Monte di Pietà (1603 e 1608), la Madonna e Santi (Monte Oliveto). Di rilievo  è inoltre l’attività di ritrattista svolta da committenza privata. Dalla ben organizzata bottega, le sue opere trovano diffusione in tutta l’area meridionale.

Girolamo Imparato inizia la sua carriera nella bottega di Silvestro Buono, come pittore devozionale,  intorno al 1570, per collaborare in seguito con Giovannangelo D’Amato e con alcuni artisti nel cantiere della Certosa di San Martino. Nel suo lungo percorso fino alle soglie del Seicento mostra una chiara evoluzione da una cultura di marca fiamminga, piena di cangiantismi, ad una pittura tenera di matrice barocca. Giunto alle soglie del secolo d’oro contribuirà con sprazzo estroso e visionario all’ultima stagione della pittura tardomanierista, prima della rivoluzione caravaggesca, dando luogo a composizioni luminescenti e turbinose, spesso arricchite da panneggi che sembrano seta rigida quanto leggera. Tra le sue opere seicentesche ricordiamo il Sant’Ignazio in estasi(16019), La Natività per il Gesù Nuovo, L’Annunciazione e l’Assunta, firmata e datata (1602 – 1603), opere per il cassettonato di S. Maria La Nova, Il Martirio di S. Pietro da Verona per la chiesa di S. Pietro Martire.

Francesco Curia è il più abile tra i pittori tardomanieristi napoletani; figlio d’arte, è nella bottega del padre Michele dal 1588 al 1594. Entro il secolo realizza numerose ed importanti opere per evolvere sotto la spinta degli esempi degli artisti fiamminghi presenti in città, sostenitori della maniera tenera, verso una forma elegante e mossa, che farà di lui il campione indiscusso di una pittura fresca e dal forte impatto emozionale, bizzarra e surreale, visionaria e fantastica. La sua pennellata morbida e densa, quasi lanosa, dà un’impressione tattile sulla superficie pittorica.

Il 1602 è la data della celebre Gloria del Nome della Vergine incastonato nel cassettonato di S. Maria La Nova, animata da uno sfrenato dinamismo con l’Angelo che sembra volare al di fuori della composizione. Il Battesimo di Cristo della Cappella Brancaccio del Duomo è collocabile intorno al 1605, un dipinto nel quale le pose fisse dei protagonisti trasportano in una dimensione irreale e che rappresenta l’ultimo guizzo di genio dello svagato pittore. ☺

jacobuccig@gmail.com

 

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