In memoria di leo
13 Aprile 2016
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In memoria di leo

“Io mi sono più volte lamentato col Signore perché morendo non ha tolto a noi la necessità di morire. Sarebbe stato così bello poter dire: Gesù ha affrontato la morte anche al nostro posto e morti potremmo andare in Paradiso per un sentiero fiorito. E invece Dio ha voluto che passassimo per questo duro colle che è la morte ed entrassimo nell’oscurità che fa sempre un po’ paura. Ma qui sta l’essenziale: mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle “uscite di sicurezza”. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio. Ciò che ci attende dopo la morte è un mistero che richiede un affidamento totale: desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani”.
Con queste parole del Card. Carlo Maria Martini, ieri sera dopo aver appreso della triste e dolorosa notizia della morte di Leo, ho pregato il Signore. Una preghiera come un lungo e doloroso “lamento” “perché morendo non ha tolto a noi la necessità di morire”. Poi ad “occhi chiusi” mi sono consegnato nelle mani di Dio Padre. Oggi, giorno della domenica in cui ricordiamo la morte e resurrezione di Gesù, ci ritroviamo a salutare Leo e lo facciamo con il linguaggio del ricordo grato e del pianto commosso.
Da diversi mesi la morte sedeva accanto a lui. Lo sapeva ma questo non lo terrorizzava, ma nemmeno se ne innamorava, perché Leo è stato sempre dalla parte della vita: la vita più forte della morte. Aveva detto alla moglie Concetta: “non ti preoccupare, io sono pronto”.
Chi era Leo lo attesta la vostra numerosa presenza a questa liturgia di commiato ma lo attesta ciò che ognuno di noi ha avuto modo di condividere con lui. Leo era un uomo buono e umile, intelligente e giusto, di grande dedizione soprattutto nei confronti di chi era nel bisogno. Era soprattutto l’uomo dell’ amicizia sincera e fedele, che accompagnava sempre con un dolce sorriso.
Hanno scritto che non c’è nella vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. Tutta la vita bella di Leo, soprattutto nelle esperienze di volontariato, è stata di chinarsi perché altri, stringendosi al suo collo, potessero rialzarsi. Si appassionava ai problemi del mondo e della società, come se il futuro fosse sempre dalla sua parte, quella di coloro che – ci insegna Gesù – sono beati perché “hanno fame e sete di giustizia”.
Nella sua esistenza ha seminato nella coscienza di noi tutti delle provocazioni, la sua parola dolce e tagliente ha aperto squarci che non si richiudono. Mi diceva che una delle esperienze più belle della sua vita era quella della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino” della Caritas di Trivento. Scuola che lui aveva contribuito non solo a fondare ma di cui era coordinatore e insegnante. Oggi ci sentiamo orfani di amicizia.
Infine voglio ricordare come la vita di Leo era fondata nella fede profonda. Una fede che nasceva dall’ascolto attento della Parola di Dio e nutrita dal pane dell’Eucarestia.
A Concetta e a Paolo e a tutti i famigliari di Leo l’abbraccio e la condivisione del loro dolore. A loro consegno le parole di Girolamo:
“È un grande dolore averlo momentaneamente perduto, ma ti ringraziamo, o Dio, per averlo avuto, anzi di averlo ancora, perché chi torna al Signore non esce di casa”.
Ringrazio il Signore per il dono che ci ha fatto incontrando Leo. Da oggi sarà una lampada che illumina la casa dei suoi amici. I suoi numerosi scritti e le sue conferenze resteranno come compagni tra noi e ci aiuteranno nel faticoso cammino della vita. Anche se è difficile frenare l’emozione, vi invito con fraterna convinzione a ringraziare il Signore perché mai come in questo caso si può dire che la morte dei santi è una benedizione.
Oggi, in questa domenica di quaresima, davanti a Leo, io sento già un’atmosfera di Pasqua, sento l’aroma che segna l’inizio della vita vera, quella eterna fra le braccia di quel Padre che, nonostante le delusioni subite, si ostina ad amarci.
Ci rivedremo nel cielo, amico Leo.

Alberto Conti
caritastrivento@gmail.com

io gli volevo bene
Il cattolicesimo democratico, quello che ha nella Gaudium et spes la sua carta costituzionale, non gode di buona salute nel Molise. Già il vescovo Dini, con preziosa sincerità, dalle colonne di Jesus disse che “il clero molisano non ha assorbito il Concilio”.
Leo Leone era uno di quei rari laici molisani che il Concilio lo indossarono come un abito fatto su misura. Fortissimo e trasparente, addirittura contagioso, fu in lui il senso e il valore della comunità che si raduna, si organizza, si mobilita, macina dialogo, confronto, idee, si nutre di valori e di ideali. E contrasta il Palazzo. La comunità delle persone di buona volontà fu la sua vera casa. Perché per Leo la “persona” era la prima e principale istituzione, la più sacra, civilmente e religiosamente sacra, la più inviolabile.
Lo ebbero maestro legioni di ragazzi e ragazze, a scuola e sui prati dello sport; ma lo ebbero maestro anche i colleghi e i collaboratori. Tutti imparammo da lui che la politica può essere una cosa di cui non vergognarsi, quando sia animata da una carica etica autentica e costante e quando sia nobilmente pedagogica. E così gli vedemmo “fare” politica.
Leo insegnò filosofia e pedagogia ma senza i libri: la cattedra fu la sua vita, con la sua passione civile, con le accensioni di sdegno verso le ingiustizie e i soprusi, con la sua rara virtù di agganciare ai progetti i sogni, ai problemi le speranze, ai bisogni dei singoli il supremo “bene comune”. Forse don Milani gli ha già fatto posto sulla sua nuvoletta.
Eppure quest’uomo di fede soda e combattiva, difensore dei diritti, vicino agli ultimi, agli emarginati, agli scarti sociali – del cui “odore” portato addosso si vantava – aveva una dote in penombra, che neutralizzava in lui il rischio della deriva accigliata e seriosa, che affligge molti rivoluzionari da piazza e da salotto: aveva talvolta lampi di candore, uno sguardo stupito e fanciullo su uomini e cose, una innocente refrattarietà a invelenire il confronto con l’avversario.
Leo era, in sintesi, un uomo anti sistema. Rifuggiva dalla logica degli apparati, preferiva la vitalità, pur rischiosa, dei movimenti alla mortifera burocrazia dei partiti; amava i volontari e fiutava lontano un miglio i carrieristi travestiti da samaritani. Uomo immerso fino al collo nelle turbolenze e nel frastuono del sociale veniva “rapito” dal silenzio dei suoi boschi, dal misterioso planare dei falchi nel cielo azzurro di Capracotta.
E pregava. Evangelicamente, con rare concessioni alla ritualità opaca e meccanica, pregava chiudendosi assorto nel suo colloquio con Dio.
Io gli ho voluto bene.

Andrea de Lisio

…la memoria di Leo Leone è viva…
è una perdita umana,
ma preziosa eredità morale,
che si innesta vigorosa
per spingere quanti faticano,
combattono con la penna e il pensiero
per tenere alto lo spirito di unità regionale.
Questi tempi, per alcuni oscuri,
tanto da sollevare la polvere della disgregazione,
non fiaccheranno il futuro;
dal degrado, donne e uomini
sapranno seminare germi di tempi nuovi…
Fraternamente.

Gaetano Jacobucci

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