la parola alle donne  di Michele Tartaglia
28 Febbraio 2012 Share

la parola alle donne di Michele Tartaglia

 

Se si guarda alla storia del cristianesimo, si può notare che molto spesso il riferimento alla Parola di Dio è stato condizionato dalla cultura delle diverse epoche, come d’altronde la stessa Scrittura. Ovviamente i vari testi biblici non sono solo frutto del loro tempo ma sono andati oltre, così come Gesù, Parola fatta carne, ha vissuto, sì, pienamente la sua epoca, ma l’ha rivoluzionata. Tuttavia un fiume in piena prima o poi viene imbrigliato e riportato nell’alveo, fino alla prossima esondazione. Fuor di metafora, ciò che Gesù e i suoi discepoli hanno portato come novità è stato poi piegato, da chi se ne è appropriato, alla propria sensibilità culturale. La profezia, ce lo insegna la storia, non dura all’infinito, ma a un certo punto si nasconde come un fiume carsico, sotto le strutture che la inglobano, salvo poi riemergere in alcuni momenti, come fu, ad esempio, con Francesco di Assisi.

Tra le tante novità che Gesù ha portato c’è il suo rapporto particolare con la donna, non vissuto sul piano della sottomissione dei sessi (e forse è questo il motivo principale che lo ha portato alla scelta del celibato, visto che nel matrimonio del suo tempo la donna era considerata alla stregua di una proprietà dell’uomo), ma sul piano della parità, ammettendo anche alcune donne nella cerchia dei discepoli (Marta, Maria, la Maddalena e altre ne sono testimonianza). Tuttavia i suoi discepoli hanno presto dimenticato questa rivoluzione sessuale di Gesù e hanno ripreso le loro mogli (1 Cor 9 dice che Cefa, cioè Pietro, si portava dietro la moglie), escludendo le donne dalla guida della comunità. Chi realmente ha seguito Gesù nella via della parificazione è stato Paolo, che accolse Lidia, Priscilla, Evodia e Sintiche tra i discepoli, dando loro ruoli di responsabilità nelle comunità, così che nelle riunioni comunitarie, tanto gli uomini quanto le donne potevano pregare e profetizzare: “Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra” (1 Cor 11,4-6).

A Paolo, tuttavia, succede ciò che è successo a Gesù: le sue comunità ricaddero in una mentalità patriarcale, arrivando ad attribuirgli delle lettere, che vietavano alle donne di avere ruoli nella comunità, anche con un tono sprezzante (1 Tim 2,11-15; Tt 2,3-5); anzi, si è arrivati persino a interpolare la I Corinzi dove, in alcune tradizioni manoscritte poi entrate nel canone ufficiale della chiesa, si dice senza mezzi termini che le donne devono tacere, in evidente contrasto con quanto Paolo aveva appena detto nel cap. 11. “Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea” (1 Cor 14,34-35). E fu così che alle donne fu tolto il diritto di parola e fu lasciato l’obbligo di indossare il velo in chiesa: in realtà era solamente un elemento culturale che Paolo volle mantenere per evitare che i cristiani fossero giudicati sediziosi per questioni di abbigliamento, facendo così passare in secondo piano la vera novità cristiana, cioè quella di trattare l’altro non in base alla posizione sociale ma in base alla sua dignità innata. Ciò che la storia ha nascosto, è tuttavia ogni tanto riemerso: fu così che nacque anche il monachesimo femminile con comunità in cui le donne si gestivano in modo autonomo; anche in questo caso il voto di castità è da considerare come una critica al modo in cui la donna era trattata nella famiglia, anche se poi nella cultura maschilista della chiesa queste donne (monache e suore) sono state di nuovo ridotte al rango di serve del clero. Anche Francesco di Assisi ebbe una sponda imprescindibile nel genio di Chiara, che fondò il ramo femminile di un nuovo stile di vita improntato al vangelo, anche se ben presto la sua comunità fu riportata al cliché della clausura. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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