la statuaria lignea di Gaetano Jacobucci | La Fonte TV
La statuaria lignea, molto più economica di quella in marmo, ebbe una notevole diffusione in età moderna. Nel regno di Napoli chiese e conventi si rivolgevano, dalla provincia alla capitale, alle migliori botteghe per avere prodotti di alta qualità anche se realizzati nel materiale più modesto. I risultati di ricerche e il ritrovamento di opere lignee d’interesse notevole tra la Campania e le regioni limitrofe hanno consentito il superamento della diffusa prevenzione circa la scultura lignea, quasi una popolaresca parafrasi o rustico sottoprodotto della scultura in marmo o in bronzo. Questi cimeli artistici ci sono pervenuti in pessimo stato di conservazione: deturpati i caratteri originali e spesso cancellati da volgari ridipinture, ripetute anche diverse volte; modificati anche negli aspetti per adattarli a mutate esigenze di culto; occultati da vestimenti di stoffa, goffe parrucche e mitrie, ex voto di ogni sorte. Nei centri di restauro si fatica non poco per rimuovere spessi e ripetuti strati colore, per rimettere in luce la policromia originale. Nella scultura lignea il rivestimento cromatico è parte integrante ed inseparabile del risultato estetico perseguito dall’artista.
Fortunato sodalizio
La bottega del Colombo, in concorrenza con quella di Nicola Fumo, operosi nello stesso periodo, si contese le commissioni di molte opere in varie province del Regno. La formazione artistica del Colombo, secondo lo storico d’arte De Dominici, si instrada nella bottega di Domenico Di Nardo, formazione che si inserisce nel contesto della tradizione della scultura lignea barocca, fortemente influenzata in quegli anni a Napoli dagli esempi spagnoli, densi di comunicativa drammatica. Ma se il Di Nardo ebbe influenza sulla formazione del Colombo, non minore, su di lui, fu l’ascendente di Nicola Fumo, già affermato artista della Napoli di fine secolo; così i due rimangono gli artisti più in vista nell’ambito napoletano tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. I due riceveranno richieste su vasta scala, non solo in ambito napoletano ma anche da Puglia e Molise.
Scultore devozionale
Il nome di Nicola Fumo (nato a Saragnano, Salerno il 1647) è forse più famigliare agli studiosi spagnoli che italiani. Il fatto non sorprende se si considera il ruolo non marginale riconosciuto in Spagna alla scultura in legno, rispetto ai compiti solo devozionali nei quali la critica italiana aveva confinato lo stesso intaglio.
Bernardo De Dominici, con vistosa eccezione, aveva dedicato allo scultore una biografia breve ma lusinghiera, in coda a quella del Fanzago. La notorietà acquisita oltremare si riverbera in patria con la committenza più varia: dalle cattedrali alle chiese madri nonché a quelle dei vari ordini religiosi, francescani, domenicani. La committenza costante di questo artista, non in conflitto con il Colombo ma in simbiosi, rispondeva molto bene al gusto e alle esigenze emozionali dell’epoca.
L’assunta di Ripalimosani
Nella Chiesa Madre di Ripalimosani (Cb) è custodita un’opera di Nicola Fumo, che campeggia nell’abside, situata nella nicchia sul coro ligneo. Quest’opera, ed altre dello stesso tema, come l’Assunta della cattedrale di Lecce, datata 1689, l’Assunta di S. Maria De Foras a Campobasso, depredata degli angioletti, hanno una palese somiglianza con angeli e cherubini dell’Immacolata di Siviglia. In particolare l’angioletto di sinistra della statua spagnola trova il suo corrispettivo in quello più alto dell’Assunta di Lecce e di Ripalimosani, con la stessa posa e ineguagliabile vivacità del moto e nell’espressione, definibile quasi come firma distinguibile dell’artista. I gorghi del panneggio, spettacolarmente ondeggianti e avvolgenti, l’accompagnano con virtuosismo tecnico, imprimendo alle forme un moto ascensionale. Le braccia allargate e il busto in flessione all’indietro donano all’opera una libertà compositiva, formato nel quale il Fumo si cimentò nei suoi anni migliori. ☺
jacobuccig@gmail.com
La statuaria lignea, molto più economica di quella in marmo, ebbe una notevole diffusione in età moderna. Nel regno di Napoli chiese e conventi si rivolgevano, dalla provincia alla capitale, alle migliori botteghe per avere prodotti di alta qualità anche se realizzati nel materiale più modesto. I risultati di ricerche e il ritrovamento di opere lignee d’interesse notevole tra la Campania e le regioni limitrofe hanno consentito il superamento della diffusa prevenzione circa la scultura lignea, quasi una popolaresca parafrasi o rustico sottoprodotto della scultura in marmo o in bronzo. Questi cimeli artistici ci sono pervenuti in pessimo stato di conservazione: deturpati i caratteri originali e spesso cancellati da volgari ridipinture, ripetute anche diverse volte; modificati anche negli aspetti per adattarli a mutate esigenze di culto; occultati da vestimenti di stoffa, goffe parrucche e mitrie, ex voto di ogni sorte. Nei centri di restauro si fatica non poco per rimuovere spessi e ripetuti strati colore, per rimettere in luce la policromia originale. Nella scultura lignea il rivestimento cromatico è parte integrante ed inseparabile del risultato estetico perseguito dall’artista.
Fortunato sodalizio
La bottega del Colombo, in concorrenza con quella di Nicola Fumo, operosi nello stesso periodo, si contese le commissioni di molte opere in varie province del Regno. La formazione artistica del Colombo, secondo lo storico d’arte De Dominici, si instrada nella bottega di Domenico Di Nardo, formazione che si inserisce nel contesto della tradizione della scultura lignea barocca, fortemente influenzata in quegli anni a Napoli dagli esempi spagnoli, densi di comunicativa drammatica. Ma se il Di Nardo ebbe influenza sulla formazione del Colombo, non minore, su di lui, fu l’ascendente di Nicola Fumo, già affermato artista della Napoli di fine secolo; così i due rimangono gli artisti più in vista nell’ambito napoletano tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. I due riceveranno richieste su vasta scala, non solo in ambito napoletano ma anche da Puglia e Molise.
Scultore devozionale
Il nome di Nicola Fumo (nato a Saragnano, Salerno il 1647) è forse più famigliare agli studiosi spagnoli che italiani. Il fatto non sorprende se si considera il ruolo non marginale riconosciuto in Spagna alla scultura in legno, rispetto ai compiti solo devozionali nei quali la critica italiana aveva confinato lo stesso intaglio.
Bernardo De Dominici, con vistosa eccezione, aveva dedicato allo scultore una biografia breve ma lusinghiera, in coda a quella del Fanzago. La notorietà acquisita oltremare si riverbera in patria con la committenza più varia: dalle cattedrali alle chiese madri nonché a quelle dei vari ordini religiosi, francescani, domenicani. La committenza costante di questo artista, non in conflitto con il Colombo ma in simbiosi, rispondeva molto bene al gusto e alle esigenze emozionali dell’epoca.
L’assunta di Ripalimosani
Nella Chiesa Madre di Ripalimosani (Cb) è custodita un’opera di Nicola Fumo, che campeggia nell’abside, situata nella nicchia sul coro ligneo. Quest’opera, ed altre dello stesso tema, come l’Assunta della cattedrale di Lecce, datata 1689, l’Assunta di S. Maria De Foras a Campobasso, depredata degli angioletti, hanno una palese somiglianza con angeli e cherubini dell’Immacolata di Siviglia. In particolare l’angioletto di sinistra della statua spagnola trova il suo corrispettivo in quello più alto dell’Assunta di Lecce e di Ripalimosani, con la stessa posa e ineguagliabile vivacità del moto e nell’espressione, definibile quasi come firma distinguibile dell’artista. I gorghi del panneggio, spettacolarmente ondeggianti e avvolgenti, l’accompagnano con virtuosismo tecnico, imprimendo alle forme un moto ascensionale. Le braccia allargate e il busto in flessione all’indietro donano all’opera una libertà compositiva, formato nel quale il Fumo si cimentò nei suoi anni migliori. ☺
La statuaria lignea, molto più economica di quella in marmo, ebbe una notevole diffusione in età moderna. Nel regno di Napoli chiese e conventi si rivolgevano, dalla provincia alla capitale, alle migliori botteghe per avere prodotti di alta qualità anche se realizzati nel materiale più modesto. I risultati di ricerche e il ritrovamento di opere lignee d’interesse notevole tra la Campania e le regioni limitrofe hanno consentito il superamento della diffusa prevenzione circa la scultura lignea, quasi una popolaresca parafrasi o rustico sottoprodotto della scultura in marmo o in bronzo. Questi cimeli artistici ci sono pervenuti in pessimo stato di conservazione: deturpati i caratteri originali e spesso cancellati da volgari ridipinture, ripetute anche diverse volte; modificati anche negli aspetti per adattarli a mutate esigenze di culto; occultati da vestimenti di stoffa, goffe parrucche e mitrie, ex voto di ogni sorte. Nei centri di restauro si fatica non poco per rimuovere spessi e ripetuti strati colore, per rimettere in luce la policromia originale. Nella scultura lignea il rivestimento cromatico è parte integrante ed inseparabile del risultato estetico perseguito dall’artista.
Fortunato sodalizio
La bottega del Colombo, in concorrenza con quella di Nicola Fumo, operosi nello stesso periodo, si contese le commissioni di molte opere in varie province del Regno. La formazione artistica del Colombo, secondo lo storico d’arte De Dominici, si instrada nella bottega di Domenico Di Nardo, formazione che si inserisce nel contesto della tradizione della scultura lignea barocca, fortemente influenzata in quegli anni a Napoli dagli esempi spagnoli, densi di comunicativa drammatica. Ma se il Di Nardo ebbe influenza sulla formazione del Colombo, non minore, su di lui, fu l’ascendente di Nicola Fumo, già affermato artista della Napoli di fine secolo; così i due rimangono gli artisti più in vista nell’ambito napoletano tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. I due riceveranno richieste su vasta scala, non solo in ambito napoletano ma anche da Puglia e Molise.
Scultore devozionale
Il nome di Nicola Fumo (nato a Saragnano, Salerno il 1647) è forse più famigliare agli studiosi spagnoli che italiani. Il fatto non sorprende se si considera il ruolo non marginale riconosciuto in Spagna alla scultura in legno, rispetto ai compiti solo devozionali nei quali la critica italiana aveva confinato lo stesso intaglio.
Bernardo De Dominici, con vistosa eccezione, aveva dedicato allo scultore una biografia breve ma lusinghiera, in coda a quella del Fanzago. La notorietà acquisita oltremare si riverbera in patria con la committenza più varia: dalle cattedrali alle chiese madri nonché a quelle dei vari ordini religiosi, francescani, domenicani. La committenza costante di questo artista, non in conflitto con il Colombo ma in simbiosi, rispondeva molto bene al gusto e alle esigenze emozionali dell’epoca.
L’assunta di Ripalimosani
Nella Chiesa Madre di Ripalimosani (Cb) è custodita un’opera di Nicola Fumo, che campeggia nell’abside, situata nella nicchia sul coro ligneo. Quest’opera, ed altre dello stesso tema, come l’Assunta della cattedrale di Lecce, datata 1689, l’Assunta di S. Maria De Foras a Campobasso, depredata degli angioletti, hanno una palese somiglianza con angeli e cherubini dell’Immacolata di Siviglia. In particolare l’angioletto di sinistra della statua spagnola trova il suo corrispettivo in quello più alto dell’Assunta di Lecce e di Ripalimosani, con la stessa posa e ineguagliabile vivacità del moto e nell’espressione, definibile quasi come firma distinguibile dell’artista. I gorghi del panneggio, spettacolarmente ondeggianti e avvolgenti, l’accompagnano con virtuosismo tecnico, imprimendo alle forme un moto ascensionale. Le braccia allargate e il busto in flessione all’indietro donano all’opera una libertà compositiva, formato nel quale il Fumo si cimentò nei suoi anni migliori. ☺
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