analisi e discussioni allontanano dalla Verità (Gibran)
Il Concilio Vaticano II è risultato un evento della storia della Chiesa e della storia del Novecento, nel senso di un fatto accaduto nell’intreccio di un tempo storico preciso e ancor più nel senso di un accadere che rompe la continuità del tempo ordinario e rappresenta una irrompente novità. Si può dire con termine biblico un kairòs – tempo opportuno, tempo favorevole – che attraversa quello ordinario o consueto e gli dà l’opportunità di prendere un’altra direzione. È occasione, ma in quanto sia colta; il kairòs, infatti può anche passare invano, dipende dalla misura in cui sia messo a frutto. Un evento non si caratterizza tanto per la fine di qualcosa, ma soprattutto per ciò a cui da inizio: “un inizio di inizio” come lo definiva il teologo K. Rahner.
L’11 ottobre 1962 a Roma 2.240 vescovi avviano il cammino conciliare. Ogni assemblea plenaria iniziava con la preghiera, sostenuta dal canto gregoriano, e l’intronizzazione del Vangelo; al termine risuonava l’invito perentorio “extra omnes” (fuori tutti) da parte del segretario del Concilio. I padri, nel segreto della loro esclusiva presenza, passavano all’esame dei documenti preparati: il primo a dibattito fu la riforma liturgica. Apparentemente tra la cupola principale del cattolicesimo e la storia degli uomini c’era tanta distanza quanto correva tra la religione e la vita, tra la Chiesa e il mondo. Nel corso della seconda guerra mondiale Bonhoeffer, dalla cella in cui Hitler lo aveva gettato, ammoniva “chi non urla per gli ebrei, non può cantare in gregoriano”. La storia degli “omnes” rientrò violentemente nell’aula conciliare.
A Cuba tecnici russi e operai lavoravano notte e giorno a costruire le basi di lancio per istallare quarantadue missili nucleari di media portata; un convoglio di venticinque navi mercantili sovietiche, alcune cariche dei missili nucleari, faceva rotta nell’Atlantico verso Cuba. Su ordine di J. F. Kennedy novanta navi da guerra statunitensi appoggiate da otto portaerei dotate di sessantotto squadriglie di aerei erano sulla stessa rotta per intercettare e perquisire i mercantili inviati da Kruscev, mentre in Florida e stati limitrofi si radunavano forze di invasione mai viste dalla fine della seconda guerra mondiale. Al Concilio si discuteva e si cantava in gregoriano mentre la pace mondiale correva il rischio più catastrofico da quando il fungo atomico di Hiroshima aveva chiuso un’epoca e il trattato di Yalta l’aveva riaperta.
I responsabili del Vaticano presero in considerazione il pericolo di sospendere il concilio appena iniziato; il 20 ottobre l’assemblea conciliare approvava – per la prima volta nella storia dei concilii – un “messaggio al mondo” generoso ma generico. Per la prima volta un organo di stampa sovietico, la Tass, dedicava alcune righe all’avvenimento del concilio e ne riportava testualmente un passaggio: “Non esiste uomo che non detesti la guerra e che non tenda verso la pace con ardente desiderio. La Chiesa non cessa di proclamare la sua volontà di pace e la sua leale collaborazione a ogni sforzo sincero a favore della pace”. Rispecchiava in pieno il pensiero di Giovanni XXIII che aveva affermato: “La provvidenza sta conducendo il mondo a un nuovo ordine di rapporti umani. L’esperienza ha fatto toccare con mano agli uomini l’assoluta insufficienza della forza bruta delle armi”.
Purtroppo sembrava che la storia lo stesse smentendo: il 22 ottobre Kennedy ordina il blocco navale e la messa in quarantena delle navi dirette a Cuba. Si profilava, come qualcuno scrisse in quei giorni, “la fine del mondo”. A. Schlesinger – tra i più stretti collaboratori di Kennedy – annotò nel suo diario: “Ormai siamo al di là di ogni manovra tattica: tutte le strade portano alla catastrofe. Gli obblighi ai quali né il Cremlino né la Casa Bianca possono sottrarsi sono tali da produrre una inevitabile reazione a catena”. In quel contesto l’incontro di Andover, in Maryland, che riuniva una ventina di scienziati sovietici e altrettanti americani radunati per accordi culturali tra le due superpotenze si trasformò nel luogo da cui tentare un’ultima carta di dialogo. Kennedy stesso aveva telefonato a uno dei Co-presidenti Norman Cousins la sera del 23: “Forse dovrò premere il pulsante, e questo significa che prima che tutto sia finito ci possono essere un miliardo e duecento milioni di morti”. Cousins era convinto e suggerì che solo un “terzo” non coinvolto nelle mischie politiche, e dotato di autorità morale riconosciuta, avrebbe potuto spezzare con qualche probabilità di successo la reazione a catena alla quale i ”falchi” dei due fronti spingevano: Giovanni XXIII.
Non si può narrare tutta la trama febbrile di incontri, intrecci che si svilupparono in pochi giorni. Kennedy fu il primo ad approvare l’idea, ai sovietici fu prospettato che l’intervento avrebbe contribuito alla credibilità del processo di revisione avviato dal Cremlino con il XX congresso del PCUS del 1966. Giovanni XXIII il 25 ottobre alle 12 diffuse tramite radio vaticana l’appello: “Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere. Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angosciato che da tutti i punti della terra, … sale verso il cielo: pace! pace! Noi supplichiamo tutti i governanti… che essi facciano tutto ciò che è in loro per salvare la pace… Che essi continuino a trattare… promuovere, favorire, accettare colloqui, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira le benedizioni del cielo e della terra”.
La Pravda il 26 ottobre pubblica in prima pagina l’appello sottolineando la ragionevolezza dell’invito al negoziato sollecitato dal papa. Ci furono scambi mediati e diretti di missive tra Cremlino e Casa Bianca in cui si accettava la via dell’accordo negoziato. Il 28 ottobre arrivò la risposta di Kruscev che si impegnava a sospendere la costruzione delle basi e a far rientrare le navi con le ogive nucleari; era il quarto anniversario della elezione di Giovanni XXIII sulla soglia di Pietro.
La storia degli altri (extra omnes), fuori dall’aula, irrompeva dentro l’aula conciliare e al vertice del cattolicesimo e interpellava i credenti. Accadeva la realtà della storia come luogo in cui cogliere l’appello di Dio, all’interno di una parola chiave che animava Giovanni XXIII e che troverà accoglienza meno decisa nel corso del concilio: leggere i “segni dei tempi”. Ma i credenti avranno ancora capacità di lasciarsi sorprendere per interpretare le attese degli uomini al di là dei giochi dei poteri in conflitto? ☺
concilio vaticano II
Il Concilio è stato un evento enorme. Senza di esso non è immaginabile cosa sarebbe oggi la Chiesa Cattolica, né lo stesso mondo, data la influenza che esso ha avuto.
Da una Chiesa che si considerava una società perfetta si è passati ad una Chiesa come comunità di credenti. Dal mondo come nemico dell’anima al mondo come luogo di vita della fede. Dalla condanna della modernità e delle religioni non cristiane al dialogo multilaterale. Dalla condanna dei diritti umani al loro riconoscimento e alla loro proclamazione. Dalla condanna della secolarizzazione alla sua difesa nel senso del riconoscimento dell’autonomia delle realtà temporali. Da Chiesa immutabile e immobile a Chiesa che deve essere in riforma costante. Dall’integrismo cattolico al rispetto per le altre credenze. Dall’autoritarismo centralizzato, a Roma, alla collegialità episcopale. Dalla Cristianità al cristianesimo. Dall’appartenenza alla Chiesa come condizione necessaria per la salvezza alla libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Da una Chiesa europea ad una Chiesa veramente universale.
Ci sono stati dei limiti? Alcuni, e fra i maggiori, malgrado una certa apertura al mondo, il carattere eurocentrico – l’orizzonte di comprensione è stato la modernità europea e, in questo quadro, la problematica della crisi di Dio nel mondo occidentale e il fenomeno della non credenza – e la non centralità dell’opzione per i poveri, non dandosi la dovuta attenzione alle maggioranze popolari del Terzo Mondo. L’Occidente ha finito per essere il destinatario principale del Concilio. Inoltre, l’antropocentrismo esacerbato ha fatto sì che la problematica ecologica fosse ignorata.
Anselmo Borges
Verità è figlia dell’Ispirazione;
analisi e discussioni allontanano dalla Verità (Gibran)
Il Concilio Vaticano II è risultato un evento della storia della Chiesa e della storia del Novecento, nel senso di un fatto accaduto nell’intreccio di un tempo storico preciso e ancor più nel senso di un accadere che rompe la continuità del tempo ordinario e rappresenta una irrompente novità. Si può dire con termine biblico un kairòs – tempo opportuno, tempo favorevole – che attraversa quello ordinario o consueto e gli dà l’opportunità di prendere un’altra direzione. È occasione, ma in quanto sia colta; il kairòs, infatti può anche passare invano, dipende dalla misura in cui sia messo a frutto. Un evento non si caratterizza tanto per la fine di qualcosa, ma soprattutto per ciò a cui da inizio: “un inizio di inizio” come lo definiva il teologo K. Rahner.
L’11 ottobre 1962 a Roma 2.240 vescovi avviano il cammino conciliare. Ogni assemblea plenaria iniziava con la preghiera, sostenuta dal canto gregoriano, e l’intronizzazione del Vangelo; al termine risuonava l’invito perentorio “extra omnes” (fuori tutti) da parte del segretario del Concilio. I padri, nel segreto della loro esclusiva presenza, passavano all’esame dei documenti preparati: il primo a dibattito fu la riforma liturgica. Apparentemente tra la cupola principale del cattolicesimo e la storia degli uomini c’era tanta distanza quanto correva tra la religione e la vita, tra la Chiesa e il mondo. Nel corso della seconda guerra mondiale Bonhoeffer, dalla cella in cui Hitler lo aveva gettato, ammoniva “chi non urla per gli ebrei, non può cantare in gregoriano”. La storia degli “omnes” rientrò violentemente nell’aula conciliare.
A Cuba tecnici russi e operai lavoravano notte e giorno a costruire le basi di lancio per istallare quarantadue missili nucleari di media portata; un convoglio di venticinque navi mercantili sovietiche, alcune cariche dei missili nucleari, faceva rotta nell’Atlantico verso Cuba. Su ordine di J. F. Kennedy novanta navi da guerra statunitensi appoggiate da otto portaerei dotate di sessantotto squadriglie di aerei erano sulla stessa rotta per intercettare e perquisire i mercantili inviati da Kruscev, mentre in Florida e stati limitrofi si radunavano forze di invasione mai viste dalla fine della seconda guerra mondiale. Al Concilio si discuteva e si cantava in gregoriano mentre la pace mondiale correva il rischio più catastrofico da quando il fungo atomico di Hiroshima aveva chiuso un’epoca e il trattato di Yalta l’aveva riaperta.
I responsabili del Vaticano presero in considerazione il pericolo di sospendere il concilio appena iniziato; il 20 ottobre l’assemblea conciliare approvava – per la prima volta nella storia dei concilii – un “messaggio al mondo” generoso ma generico. Per la prima volta un organo di stampa sovietico, la Tass, dedicava alcune righe all’avvenimento del concilio e ne riportava testualmente un passaggio: “Non esiste uomo che non detesti la guerra e che non tenda verso la pace con ardente desiderio. La Chiesa non cessa di proclamare la sua volontà di pace e la sua leale collaborazione a ogni sforzo sincero a favore della pace”. Rispecchiava in pieno il pensiero di Giovanni XXIII che aveva affermato: “La provvidenza sta conducendo il mondo a un nuovo ordine di rapporti umani. L’esperienza ha fatto toccare con mano agli uomini l’assoluta insufficienza della forza bruta delle armi”.
Purtroppo sembrava che la storia lo stesse smentendo: il 22 ottobre Kennedy ordina il blocco navale e la messa in quarantena delle navi dirette a Cuba. Si profilava, come qualcuno scrisse in quei giorni, “la fine del mondo”. A. Schlesinger – tra i più stretti collaboratori di Kennedy – annotò nel suo diario: “Ormai siamo al di là di ogni manovra tattica: tutte le strade portano alla catastrofe. Gli obblighi ai quali né il Cremlino né la Casa Bianca possono sottrarsi sono tali da produrre una inevitabile reazione a catena”. In quel contesto l’incontro di Andover, in Maryland, che riuniva una ventina di scienziati sovietici e altrettanti americani radunati per accordi culturali tra le due superpotenze si trasformò nel luogo da cui tentare un’ultima carta di dialogo. Kennedy stesso aveva telefonato a uno dei Co-presidenti Norman Cousins la sera del 23: “Forse dovrò premere il pulsante, e questo significa che prima che tutto sia finito ci possono essere un miliardo e duecento milioni di morti”. Cousins era convinto e suggerì che solo un “terzo” non coinvolto nelle mischie politiche, e dotato di autorità morale riconosciuta, avrebbe potuto spezzare con qualche probabilità di successo la reazione a catena alla quale i ”falchi” dei due fronti spingevano: Giovanni XXIII.
Non si può narrare tutta la trama febbrile di incontri, intrecci che si svilupparono in pochi giorni. Kennedy fu il primo ad approvare l’idea, ai sovietici fu prospettato che l’intervento avrebbe contribuito alla credibilità del processo di revisione avviato dal Cremlino con il XX congresso del PCUS del 1966. Giovanni XXIII il 25 ottobre alle 12 diffuse tramite radio vaticana l’appello: “Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere. Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angosciato che da tutti i punti della terra, … sale verso il cielo: pace! pace! Noi supplichiamo tutti i governanti… che essi facciano tutto ciò che è in loro per salvare la pace… Che essi continuino a trattare… promuovere, favorire, accettare colloqui, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira le benedizioni del cielo e della terra”.
La Pravda il 26 ottobre pubblica in prima pagina l’appello sottolineando la ragionevolezza dell’invito al negoziato sollecitato dal papa. Ci furono scambi mediati e diretti di missive tra Cremlino e Casa Bianca in cui si accettava la via dell’accordo negoziato. Il 28 ottobre arrivò la risposta di Kruscev che si impegnava a sospendere la costruzione delle basi e a far rientrare le navi con le ogive nucleari; era il quarto anniversario della elezione di Giovanni XXIII sulla soglia di Pietro.
La storia degli altri (extra omnes), fuori dall’aula, irrompeva dentro l’aula conciliare e al vertice del cattolicesimo e interpellava i credenti. Accadeva la realtà della storia come luogo in cui cogliere l’appello di Dio, all’interno di una parola chiave che animava Giovanni XXIII e che troverà accoglienza meno decisa nel corso del concilio: leggere i “segni dei tempi”. Ma i credenti avranno ancora capacità di lasciarsi sorprendere per interpretare le attese degli uomini al di là dei giochi dei poteri in conflitto? ☺
concilio vaticano II
Il Concilio è stato un evento enorme. Senza di esso non è immaginabile cosa sarebbe oggi la Chiesa Cattolica, né lo stesso mondo, data la influenza che esso ha avuto.
Da una Chiesa che si considerava una società perfetta si è passati ad una Chiesa come comunità di credenti. Dal mondo come nemico dell’anima al mondo come luogo di vita della fede. Dalla condanna della modernità e delle religioni non cristiane al dialogo multilaterale. Dalla condanna dei diritti umani al loro riconoscimento e alla loro proclamazione. Dalla condanna della secolarizzazione alla sua difesa nel senso del riconoscimento dell’autonomia delle realtà temporali. Da Chiesa immutabile e immobile a Chiesa che deve essere in riforma costante. Dall’integrismo cattolico al rispetto per le altre credenze. Dall’autoritarismo centralizzato, a Roma, alla collegialità episcopale. Dalla Cristianità al cristianesimo. Dall’appartenenza alla Chiesa come condizione necessaria per la salvezza alla libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Da una Chiesa europea ad una Chiesa veramente universale.
Ci sono stati dei limiti? Alcuni, e fra i maggiori, malgrado una certa apertura al mondo, il carattere eurocentrico – l’orizzonte di comprensione è stato la modernità europea e, in questo quadro, la problematica della crisi di Dio nel mondo occidentale e il fenomeno della non credenza – e la non centralità dell’opzione per i poveri, non dandosi la dovuta attenzione alle maggioranze popolari del Terzo Mondo. L’Occidente ha finito per essere il destinatario principale del Concilio. Inoltre, l’antropocentrismo esacerbato ha fatto sì che la problematica ecologica fosse ignorata.
analisi e discussioni allontanano dalla Verità (Gibran)
Il Concilio Vaticano II è risultato un evento della storia della Chiesa e della storia del Novecento, nel senso di un fatto accaduto nell’intreccio di un tempo storico preciso e ancor più nel senso di un accadere che rompe la continuità del tempo ordinario e rappresenta una irrompente novità. Si può dire con termine biblico un kairòs – tempo opportuno, tempo favorevole – che attraversa quello ordinario o consueto e gli dà l’opportunità di prendere un’altra direzione. È occasione, ma in quanto sia colta; il kairòs, infatti può anche passare invano, dipende dalla misura in cui sia messo a frutto. Un evento non si caratterizza tanto per la fine di qualcosa, ma soprattutto per ciò a cui da inizio: “un inizio di inizio” come lo definiva il teologo K. Rahner.
L’11 ottobre 1962 a Roma 2.240 vescovi avviano il cammino conciliare. Ogni assemblea plenaria iniziava con la preghiera, sostenuta dal canto gregoriano, e l’intronizzazione del Vangelo; al termine risuonava l’invito perentorio “extra omnes” (fuori tutti) da parte del segretario del Concilio. I padri, nel segreto della loro esclusiva presenza, passavano all’esame dei documenti preparati: il primo a dibattito fu la riforma liturgica. Apparentemente tra la cupola principale del cattolicesimo e la storia degli uomini c’era tanta distanza quanto correva tra la religione e la vita, tra la Chiesa e il mondo. Nel corso della seconda guerra mondiale Bonhoeffer, dalla cella in cui Hitler lo aveva gettato, ammoniva “chi non urla per gli ebrei, non può cantare in gregoriano”. La storia degli “omnes” rientrò violentemente nell’aula conciliare.
A Cuba tecnici russi e operai lavoravano notte e giorno a costruire le basi di lancio per istallare quarantadue missili nucleari di media portata; un convoglio di venticinque navi mercantili sovietiche, alcune cariche dei missili nucleari, faceva rotta nell’Atlantico verso Cuba. Su ordine di J. F. Kennedy novanta navi da guerra statunitensi appoggiate da otto portaerei dotate di sessantotto squadriglie di aerei erano sulla stessa rotta per intercettare e perquisire i mercantili inviati da Kruscev, mentre in Florida e stati limitrofi si radunavano forze di invasione mai viste dalla fine della seconda guerra mondiale. Al Concilio si discuteva e si cantava in gregoriano mentre la pace mondiale correva il rischio più catastrofico da quando il fungo atomico di Hiroshima aveva chiuso un’epoca e il trattato di Yalta l’aveva riaperta.
I responsabili del Vaticano presero in considerazione il pericolo di sospendere il concilio appena iniziato; il 20 ottobre l’assemblea conciliare approvava – per la prima volta nella storia dei concilii – un “messaggio al mondo” generoso ma generico. Per la prima volta un organo di stampa sovietico, la Tass, dedicava alcune righe all’avvenimento del concilio e ne riportava testualmente un passaggio: “Non esiste uomo che non detesti la guerra e che non tenda verso la pace con ardente desiderio. La Chiesa non cessa di proclamare la sua volontà di pace e la sua leale collaborazione a ogni sforzo sincero a favore della pace”. Rispecchiava in pieno il pensiero di Giovanni XXIII che aveva affermato: “La provvidenza sta conducendo il mondo a un nuovo ordine di rapporti umani. L’esperienza ha fatto toccare con mano agli uomini l’assoluta insufficienza della forza bruta delle armi”.
Purtroppo sembrava che la storia lo stesse smentendo: il 22 ottobre Kennedy ordina il blocco navale e la messa in quarantena delle navi dirette a Cuba. Si profilava, come qualcuno scrisse in quei giorni, “la fine del mondo”. A. Schlesinger – tra i più stretti collaboratori di Kennedy – annotò nel suo diario: “Ormai siamo al di là di ogni manovra tattica: tutte le strade portano alla catastrofe. Gli obblighi ai quali né il Cremlino né la Casa Bianca possono sottrarsi sono tali da produrre una inevitabile reazione a catena”. In quel contesto l’incontro di Andover, in Maryland, che riuniva una ventina di scienziati sovietici e altrettanti americani radunati per accordi culturali tra le due superpotenze si trasformò nel luogo da cui tentare un’ultima carta di dialogo. Kennedy stesso aveva telefonato a uno dei Co-presidenti Norman Cousins la sera del 23: “Forse dovrò premere il pulsante, e questo significa che prima che tutto sia finito ci possono essere un miliardo e duecento milioni di morti”. Cousins era convinto e suggerì che solo un “terzo” non coinvolto nelle mischie politiche, e dotato di autorità morale riconosciuta, avrebbe potuto spezzare con qualche probabilità di successo la reazione a catena alla quale i ”falchi” dei due fronti spingevano: Giovanni XXIII.
Non si può narrare tutta la trama febbrile di incontri, intrecci che si svilupparono in pochi giorni. Kennedy fu il primo ad approvare l’idea, ai sovietici fu prospettato che l’intervento avrebbe contribuito alla credibilità del processo di revisione avviato dal Cremlino con il XX congresso del PCUS del 1966. Giovanni XXIII il 25 ottobre alle 12 diffuse tramite radio vaticana l’appello: “Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere. Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angosciato che da tutti i punti della terra, … sale verso il cielo: pace! pace! Noi supplichiamo tutti i governanti… che essi facciano tutto ciò che è in loro per salvare la pace… Che essi continuino a trattare… promuovere, favorire, accettare colloqui, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira le benedizioni del cielo e della terra”.
La Pravda il 26 ottobre pubblica in prima pagina l’appello sottolineando la ragionevolezza dell’invito al negoziato sollecitato dal papa. Ci furono scambi mediati e diretti di missive tra Cremlino e Casa Bianca in cui si accettava la via dell’accordo negoziato. Il 28 ottobre arrivò la risposta di Kruscev che si impegnava a sospendere la costruzione delle basi e a far rientrare le navi con le ogive nucleari; era il quarto anniversario della elezione di Giovanni XXIII sulla soglia di Pietro.
La storia degli altri (extra omnes), fuori dall’aula, irrompeva dentro l’aula conciliare e al vertice del cattolicesimo e interpellava i credenti. Accadeva la realtà della storia come luogo in cui cogliere l’appello di Dio, all’interno di una parola chiave che animava Giovanni XXIII e che troverà accoglienza meno decisa nel corso del concilio: leggere i “segni dei tempi”. Ma i credenti avranno ancora capacità di lasciarsi sorprendere per interpretare le attese degli uomini al di là dei giochi dei poteri in conflitto? ☺
concilio vaticano II
Il Concilio è stato un evento enorme. Senza di esso non è immaginabile cosa sarebbe oggi la Chiesa Cattolica, né lo stesso mondo, data la influenza che esso ha avuto.
Da una Chiesa che si considerava una società perfetta si è passati ad una Chiesa come comunità di credenti. Dal mondo come nemico dell’anima al mondo come luogo di vita della fede. Dalla condanna della modernità e delle religioni non cristiane al dialogo multilaterale. Dalla condanna dei diritti umani al loro riconoscimento e alla loro proclamazione. Dalla condanna della secolarizzazione alla sua difesa nel senso del riconoscimento dell’autonomia delle realtà temporali. Da Chiesa immutabile e immobile a Chiesa che deve essere in riforma costante. Dall’integrismo cattolico al rispetto per le altre credenze. Dall’autoritarismo centralizzato, a Roma, alla collegialità episcopale. Dalla Cristianità al cristianesimo. Dall’appartenenza alla Chiesa come condizione necessaria per la salvezza alla libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Da una Chiesa europea ad una Chiesa veramente universale.
Ci sono stati dei limiti? Alcuni, e fra i maggiori, malgrado una certa apertura al mondo, il carattere eurocentrico – l’orizzonte di comprensione è stato la modernità europea e, in questo quadro, la problematica della crisi di Dio nel mondo occidentale e il fenomeno della non credenza – e la non centralità dell’opzione per i poveri, non dandosi la dovuta attenzione alle maggioranze popolari del Terzo Mondo. L’Occidente ha finito per essere il destinatario principale del Concilio. Inoltre, l’antropocentrismo esacerbato ha fatto sì che la problematica ecologica fosse ignorata.
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